覚醒 Kakusei: scontro finale, [Fase 4]

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~Eldarius
view post Posted on 25/4/2018, 09:48 by: ~Eldarius
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CITAZIONE
Narrato
Parlato: Masaru - Oosamu - Rin
Pensato



Non aveva forse accettato quell'incarico perché non voleva passare per chi non era?

No. O meglio, non solo.

Aveva paura?

Doveva essere una folle per non averne, ma quella parte di lei era stata talmente anestetizzata dal suo vissuto che oramai era impercettibile, ridotta a un mero sussurro che in casi estremamente rari l'aveva scossa.
Era da sciocchi pensare di poterla annullare dalla propria esistenza e poteva tornare sempre utile se la si usava con intelligenza, in quanto permetteva di comprendere la gravità i pericoli.
Da idioti era anche sopravvalutarsi, con avversari del genere una simile spavalderia poteva essere terribilmente fatale e lei conosceva perfettamente i suoi limiti.
Nonostante tutto però, Masaru percepiva una tenue, vibrante eccitazione, che tuttavia non riuscì davvero a smuovere il suo animo.

In modo solenne fece scorrere le dita lungo il corpo lucido in legno di noce della sua arma, quella che da troppo tempo aveva conservato dentro una custodia del medesimo materiale, in un angolo della sua stanza da lavoro. Un oggetto che portava il peso dei suoi ricordi. Un regalo della sua vecchia fiamma, assieme a quella katana che giaceva spezzata in due nel suddetto angolo, ambedue armi utilizzate quando lavorava al fianco di lui.

Rivide davanti agli occhi frammenti di quelle scene, la investirono come un'ondata in piena e lei chiuse le palpebre e ritrasse istintivamente la mano. Rimase così per un lungo istante, un silenzio religioso nel quale il tempo parve essersi congelato. Non si sarebbe mai aspettata che la ferita si sarebbe potuta riaprire in un simile modo.
Uno schiocco di lingua tra i denti.


Smettila...


Un rimprovero verso sé stessa e si forzò a cicatrizzare di nuovo quella ferita, rendendone sordo il dolore. Lo sguardo cinereo tornò quindi verso la balestra, stavolta con una solennità velata di risolutezza e notò il modo in cui l'arma a gittata riluceva sotto i tiepidi raggi della luce artificiale, come se essa la stesse tentando ad impugnarla di nuovo. E così avrebbe fatto. Del resto l'aveva tirata fuori apposta per l'occasione.
Quando la sollevò dal banco da lavoro e mentre controllava che non fosse deteriorato le sembrò di tornare di nuovo assieme a lui, che probabilmente, ovunque si trovasse attualmente, stava desiderando di poterla riabbracciare.


"Non ci sperare troppo, Roki,"
pacata e sicura, anche ironica, quasi fosse sicura che il ragazzo la stesse sentendo.

Roki, un vezzeggiativo che gli aveva dato la donna, perché a detta sua Rynosuke era troppo lungo. Mei, era quello che per tutta risposta le aveva dato lui.

...perché diamine si era messa a pensare a certe cose? Proprio lei. Scosse la testa accondiscendente per l'assurdità della cosa.

Finito di sistemare l'equipaggiamento la Takeda uscì poi di casa, puntando verso le porte a sud. Qualche passo sotto i caldi raggi del sole pomeridiano, tra le vie desolate come quella volta nell'era di Watashi, eccetto per gli shinobi che erano stati chiamati a presidiare il villaggio.
Neanche compiuto l'ennesimo passo decise di fermarsi, volgendo in direzione del suo clan con una questione alla mente.


No. Non aveva intenzione di renderlo di sola andata, quel viaggio. Indice e medio della destra tirarono su gli occhiali, sistemandoli, e la kunoichi riprese il cammino.
A tal proposito, la Tsuchikage quel giorno l'ebbe sorpresa, quel discorso sulla morte non eroica le aveva fatto capire quanto la donna non fosse dissimile da lei. Davvero curioso.

Non le ci volle molto per raggiungere la destinazione, a metà strada però ebbe modo d'incontrare un suo vecchio collega:


"E così eri davvero tu a Palazzo, allora sono vere le voci che girano."


Si voltò alla sua destra senza fermarsi, adocchiando il trentenne albino, al punto da avere i capelli bianchi, che al Palazzo aveva a sua volta riconosciuto.


"Ho avuto lo stesso dubbio su di te, Oosamu."


"Sempre quel bel caratterino, vero Masaru?"


E come poteva esserci il suddetto senza la sua fedele amante... e sorella?


"Non vedo perché cambiarlo, Rin,"
ribatté la Takeda nel voltarsi a sinistra, verso quella donna che sembrava lo specchio del fratello quanto a statura - sul metro e ottanta - e tratti somatici. Solo gli occhi rendevano possibile una distinzione, lei azzurri, lui rossicci.

Erano dei gemelli appunto, appartenenti al suo clan, che la Jinton aveva conosciuto molto tempo fa, quando ancora non c'era l'attuale Kage e lei lavorava per conto del suo mentore, ed erano stati anch'essi al servizio di qualcuno altrettanto malevolo.
La fisionomia l'avevano acquisita dalla madre, una Kaguya, mentre le capacità di clan dal padre, un Jinton.

Ricordava bene quella volta che Jin, non fidandosi del loro capo, la mandò ad accompagnarli nell'eliminazione di un personaggio scomodo per entrambi i loro superiori, così da riferire personalmente a lui.
Fu testimone della loro feroce spietatezza, tale che per un attimo avevano pensato - a voce alta - di eliminare anche lei, solo perché annoiati nell'aver eliminato una preda tanto facile. Destino volle che nonostante la poca esperienza era stata abbastanza abile da farli desistere prima che accadesse il peggio.
Era per questo che non dubitava della loro storia: nelle locande più malfamate del Paese girava voce che avessero ucciso i loro stessi genitori quand'erano ancora in fasce. Né sul perché l'accademia li avesse accolti, avevano abilità tremende, specie quando combinavano i loro attacchi.

Non era un caso se restava il più neutrale possibile con loro e continuava a tirare dritta verso la meta.


"Non ci chiedi perché siamo diventati shinobi?"
le chiese lui con un sorriso divertito, dopo qualche istante di silenzio.

Chissà perché aveva il vago sospetto che si fossero entrambi stancati di quel pallone gonfiato e l'avessero ammazzato. Ma sul perché fossero entrati in Accademia, probabilmente erano in cerca di qualcosa di nuovo da provare.


"Siamo passati di grado a Chunin,"
aggiunse vanesia la sorella, ridacchiando.

"Ma sappiamo che tu sei ancora Genin,"
non la fece neanche rispondere Oosamu, segno che alla fine volevano solo fare gossip, ignorando il suo pensiero in merito.

"E ci chiediamo, perché mai una come te è ancora Genin?"
domandò Rin con superbia e divertimento, abbracciando il braccio dell'occhialuta e avvicinando il viso al suo con fare sensuale. Volevano farla sentire alle strette, ma la Takeda mantenne assoluta calma, quasi non esistessero.

Okay, ora cominciava a pensare che c'era veramente lo zampino dei Kami dietro certe becere coincidenze, come se non ne avesse avute abbastanza con la strega, che quella notte in particolare aveva deciso per capriccio di ricordarle di quel brutto legame.
Non disse nulla né espresse reazione alcuna la Jinton dinnanzi a un simile tentativo di opprimere il loro giocatollino del momento. Fortunatamente si annoiarono quasi subito i gemelli, anche perché erano praticamente arrivati, così la donna poté tornare a respirare.

"A quanto pare avremo a che fare con i Kami stessi,"
pronunciò lo shinobi con compiacenza, "ci sarà da divertirsi."

"Vediamo chi resta in vita più a lungo!"
c'era sfida nelle parole di Rin, che ricambiò con un sorrisetto lo sguardo baldanzoso che le lanciò Masaru, ed in questo modo i fratelli Kujo la superarono per seguire gli altri verso il gruppo della missione. Lei li lasciò andare avanti, sapendo che si sarebbero comunque stufati di starle dietro.

In qualche modo incrociarli accentuò il ricordo dei suoi primi incarichi da parte di Jin, nei quali una giovanissima e poco esperta Masaru si sentiva esaltata e intimorita al tempo stesso, indecisa sul da farsi, diffidente verso alleati e nemici, con la voglia però di agire e di crescere, di diventare...

GPEcWKc

Ma questo era una volta.


Il viaggio andò ben più liscio e la kunoichi, per tutto il tempo, rimase in silenzio. Più si avvicinavano al paese della Pietra, più l'energia che percepiva si faceva intensa.
Quando, passando tra le rovine antiche di quel villaggio fantasma, arrivarono dinnanzi la barriera invisibile d'energia, Masaru si chiese se la Tsuchikage si sarebbe fermata, magari facendo avanzare qualcun'altro per sicurezza. Ancora una volta quel giorno la donna si sorprese, il loro capo avanzò con sicurezza oltrepassando quel muro misterioso.
Altrettanto fece la Takeda, che, rimasta infastidita, ebbe i brividi nell'attraversarlo. Acuì il suo tatto, fece ben più attenzione a quanto la attorniava ed ai presenti, specie nel momento in cui arrivarono di fronte agli uomini del Taisei.
Lì, si fermò come avrebbero sicuramente fatto gli altri e non avrebbe osato avanzare anche nel caso in cui l'avesse fatto la Tsuchikage, senza il suo ordine, ma si sarebbe tenuta pronta ad agire, mentre le sue grigie iridi studiavano Kataritsuen e i suoi uomini.
Solo il tempo avrebbe mostrato loro come si sarebbe conclusa quella storia.

 
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