| *Vi fu un tuono, tanto forte che la terra stessa sembrò tremare. Un lampo, tanto intenso che l'intera Kiri venne illuminata a giorno. I duri profili delle case si stagliarono contro il cielo nero, mentre la pioggia continuava a cadere, ininterrotta, inesauribile. Per quanto ancora sarebbe andata avanti? Ormai le strade erano ridotte ad un unico fiume fangoso, che sembrava muoversi lento, ma uniforme, sotto quella fitta pioggia. Il cielo riversava sui peccatori della Nebbia la sua furia, la sua tristezza, il suo pianto. Ancora una volta, sembrava che gli dei li stessero punendo per ciò che avevano fatto, per i segreti che portavano nei più oscuri recessi dei loro cuori, per quei pensieri che venivano immediatamente accantonati, tanto erano odiosi alla mente. Ma chi era, in realtà, a portare quei peccati nel fondo del proprio animo? Kiri, o quello sparuto gruppo che era rientrato pochi mesi prima, sperando di cambiare le cose, di riportare il Villaggio alla sua antica gloria? Erano stati stupidi, in quel momento, come mai prima d'allora. La Nebbia non si sarebbe mai fatta dominare tanto facilmente, specie non da dei traditori, che avevano agito per il bene di Kiri voltando le spalle alla loro patria. Come, come recuperare a quel tremendo errore? L'essenza stata di quella terra se n'era andata, perduta, forse persino per sempre. Una colpa, quella, che gli gravava sul cuore, che ogni giorno diveniva più pesante, che ogni secondo lo corrodeva, lo consumava. Avrebbe voluto piangere, sfogare la propria rabbia contro quel cielo che sembrava avergli portato via ogni cosa, verso quegli dei che, ammesso che fossero esistiti davvero, gli avevano portato via quasi tutto quello che aveva di più caro. Quando quella punizione sarebbe cessata, si chiedeva? Quando Kiri avrebbe riacquistato la sua antica gloria, il suo ardore, il suo desiderio di sangue e vendetta? Gli stessi abitanti parevano aver dimenticato il loro passato, il loro essere, la loro realtà. Quando Kiri era diventata tanto molle, tanto pacifista, tanto sottomessa? Cosa poteva mai essere accaduto in quei pochi anni?
Ryushi chiuse gli occhi. Tentò di ricordare come fossero le cose sotto il governo dei Momochi, ma quei ricordi sembravano essere talmente lontani da assomigliare più ad un sogno che alla realtà, più alla fantasia che al passato. Era davvero possibile riportare tutto a quel livello, a quel momento, alla perfezione cui si era giunti? Una domanda tormentosa, a cui il Mizukage non era in grado di trovare risposta. Il suo cuore e la sua mente erano vuoti, pieni solo delle menzogne per placare e rassicurare i suoi concittadini. Menzogne, si rese conto con orrore. Si stavano avvicinando a Konoha, a quella costruzione di illusioni e frivolezze che riusciva a dare ai suoi abitanti una vita serena. Si stavano abbassando ad un livello tanto infimo, per chiudere gli occhi dinanzi alla realtà e cercare rifugio in un caldo, speranzoso mondo che non esisteva. Lo Spadaccino si alzò all'improvviso, sentendosi colpevole di un qualcosa di orribile. Possibile che Kiri non si accontentasse più della verità, per quanto dura potesse essere, ma avesse bisogno di menzogne per essere tenuta al sicuro? Era stata la scomparsa della Nebbia a causare tutto questo, a fiaccare tanto gli animi da cambiare in quel modo le persone? Il ragazzo strinse con forza i pugni, trattenendo a stento l'impulso improvviso di prendere a pugni la scrivania. A che sarebbe servito rompere quel pezzo di legno, se la mentalità degli abitanti, insieme alla sua, non fosse cambiata? Scosse con forza la testa e si risedette, accarezzando distrattamente l'elsa della Samehada. L'ultima sua compagna, l'ultima sua amica, l'unica parte di sè stesso che ormai non disprezzava, per cui non provava ribrezzo. Solamente su di essa poteva contare; se non ci fosse stata lei, di certo la vita dello Spadaccino sarebbe terminata molto tempo prima.
In quell'istante, il tempo sembrò fermarsi, ogni cosa divenne immobile, tranne le nuvole, che si muovevano turbinando, fondendosi e separandosi, e i fulmini che da esse traevano vita. Lo Squalo era immerso nei propri pensieri, turbolenti come quelle scure nubi, fiammeggianti come quei lampi, dolorosi come nessuno dei due poteva esserlo, quando la porta del suo studio si spalancò all'improvviso. Gli anbu, il Lupo e la Volpe, si trovavano già alle sue spalle, anche se non avevano ancora proferito parola. Il ragazzo si voltò, corrucciando la fronte. La sua segretaria, insieme ad un altro paio di shinobi, era davanti alla scrivania, chiusa fra le scure ombre di morte che vegliavano sula vita del Kage. Tentò più volte di cominciare a parlare, ma sembrava come incapace di formulare pensieri coerenti. Impiegò un paio di minuti prima di riuscire a sussurrare qualcosa di sensato, qualcosa che fece contorcere le viscere del chunin, che fece tremare il suo cuore.*
Segretaria:"Kaminari Shozoshi... è appena tornata... nella piazza."
*Senza nemmeno una parola, s'alzò, uscendo di corsa dalla stanza. Si concesse appena il tempo per afferrare la Samehada, che fremeva come poche volte prima di allora. Davvero era tornato un altro membro dell'Oni no Shuu? Davvero Ryushi stava per rincontrare uno Spadaccino, una persona con cui realmente condivideva qualcosa? In pochi secondi, era già fuori dalla residenza e, un passo dopo l'altro, si ritrovò a correre verso la piazza. Solo dopo un centinaio di metri si fermò, il fiato pesante e gli abiti zuppi di pioggia. Che stava facendo? Perchè aveva provato tutta quell'improvvisa gioia, quella strana felicità nel sapere che al mondo ci fosse ancora qualcuno simile a lui? Strinse l'impugnatura della sua unica, vera compagna, mentre cercava di ritrovare la propria lucidità. Si sistemò la Samehada sulla schiena, scostandosi al contempo i lunghi capelli dalla fronte. Perchè lei era tornata proprio in quel momento? Perchè aveva atteso tanto, anche dopo la liberazione di Kiri, anche dopo la morte di Gin Aikido? Che altro stava cercando fuori da Kiri, che cosa poteva sperare di trovare in quel mondo fasullo e ostile?
Lo Spadaccino rabbrividì. Dov'era lei mentre i resti dell'Oni cercavano di farsi di nuovo posto nella loro vecchia casa? Dov'era mentre venivano umiliati, torturati, derisi, disprezzati? Dov'era quando era stato costretto ad uccidere il suo signore, un Mizukage che, pur non riconosciuto da lui, era il suo diretto superiore? Dov'era, soprattutto, quando Kugi era morto, quando la sua vita gl'era scivolata via dalle dita, mentre il cielo piangeva per l'allievo deceduto e la stupidità del suo maestro? Dov'era sempre stata? Ryushi si guardò attorno con un certo odio, cercando di capire cosa stesse facendo, cosa stesse sperando di fare. Si aspettò quasi di vedere dei muri di cristallo, con i freddi occhi dei cadaveri, a sbarrargli la strada, indicandogli l'unica direzione che avrebbe potuto seguire. Non c'era scelta? Era davvero obbligato a proseguire, nonostante le sue sensazioni, nonostante i suoi pensieri? Sbuffò ed un leggero tremito, forse dovuto alla pioggia ed al freddo, anche se nemmeno lui ne era sicuro. Dietro di lui scivolarono silenziose due ombre, guardandolo con scuri occhi interrogativi. Il ragazzo sorrise e riprese ad avanzare, sotto quell'incessante pioggia, un passo dopo l'altro.
Gli ci vollero diversi minuti per raggiungere la piazza, che si aprì davanti a lui. Un capannello di gente era radunato agli angoli, guardando di traverso verso quelle due figure che si ergevano, tetre, nella solitudine del temporale. Seguito dagli anbu, lo Squalo avanzò, fino a trovarsi a pochi metri dalla ragazza. Accanto a lei, una bambina, coperta da un'ampia veste verde, era in piedi, immobile, e stringeva una neonata fra le braccia. Poco più in là, Kaminari Sozoshi, il Becchino, lo fissava con occhi glaciali. Era diversa da come Ryushi la ricordava. Non aveva mai parlato molto con quella ragazza, ma il solo fatto di essere parte dello stesso gruppo, dell'Oni no Shuu, dei traditori, dei codardi, lo faceva sentire legato a lei. In mezzo a quella vera e propria tempesta, notò appena gli strappi nella maglietta e i tatuaggi che ricoprivano la sua chiara pelle.
Chiuse gli occhi e li riaprì meno di un secondo dopo. Sorrise. Un sorriso senza allegria, senza felicità, appena velata di un certa cortesia. L'unica cosa che quell'espressione poteva comunicare era la tristezza.*
Ryushi:"Bentornata, Kaminari-san."
*La chiamò con voce bassa, sicura e, sperava, anche calma, mentre i suoi chiari occhi erano fissi in quelli di lei.*
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