Perché tutto doveva essere così dannatamente, maledettamente difficile? La mente di quell’uomo sembrava essere saldamente rinchiusa in una roccaforte inespugnabile; nulla, delle sue emozioni, sensazioni o pensieri, filtrava attraverso la maschera di cera del suo volto. Da che aveva memoria, quella era la prima volta, in assoluto, dove le sue capacità telepati ed empatiche risultavano tanto inutili, e la cosa lo infastidiva non poco.
Certo, da quando era apparso il Morbo le sue capacità extrasensoriali ne avevano particolarmente risentito, ma era riuscito, ciononostante, a conservarne una piccola traccia, quel tanto di necessario ed utile per permettergli di svolgere al meglio quei suoi “giochetti mentali” che gli avevano insegnato a fare. Anche plasmare le Anime Arenate non era mai stato così complesso: se avevi accesso, anche un minimo spiraglio, alla mente di chi ti sta intorno, risultava facile plasmare quelle energie ad immagine e somiglianza delle persone defunte a loro legate, ma adesso… Possibile che le capacità mentaliste così tipiche degli Yamanaka avessero così fortemente influenzato la sua abilità di manipolazione della Chiralina?
Una constatazione dei fatti più che logica da trarre, ma Kacchan, in quel momento, non ne era ancora davvero consapevole: la rabbia e la frustrazione non lo rendevano abbastanza lucido da giungere a tale conclusione. Forse, se avesse compreso questo suo limite, avrebbe potuto trovare la forza necessaria per salvarsi?
Il carceriere, semplicemente, ignora l’ennesimo sproloquiare del più giovane: è del mestiere, sa perfettamente come tenere sulle spine i suoi prigionieri, come farli crollare, a livello fisico e mentale. Dopotutto la tortura non è solo fisica, ma anche psicologica: questo Kacchan lo sa bene, ed è quando l’uomo mostra il suo interesse verso il suo occhio destro che sente la poca stabilità che ha vacillare. Al solo pensiero di perdere un occhio, il cuore dello Yamanaka perde un colpo: no, non può assolutamente permetterselo! È un fottutissimo cazzo di medico, senza un occhio perderebbe la percezione della profondità e come cazzo avrebbe fatto, allora, ad operare, a portare avanti i suoi esperimenti? Cazzo, lui era diventato ninja solo ed esclusivamente per questo!
Cosa cazz… Fermo, razza di idiota! Non è il fottuto Sharingan! Avrebbe voluto pronunciare, ma la mano dell’uomo soffoca le sue parole in mugugni incomprensibili, esacerbando la sua esasperazione. Si divincola, cerca in tutti i modi di liberare il volto, i tendini sul collo tesi come corde pronte a spezzarsi per la troppa tensione, mentre le cinghie sui polsi, semplicemente, segano la carne, nel vano tentativo di liberarsi. Così peggiora solo le cose: sarebbe bastato uno spasmo involontario della mano del carceriere unito ad un suo movimento e la lama del bisturi si sarebbe potuta facilmente conficcare nel suo bulbo oculare, tanto era vicina.
Lo sguardo spalancato, vitreo, dello Yamanaka si sposta oltre la spalla dell’uomo, in cerca delle ombre lì presenti: vede Chiyo atterrita quasi quanto lui, come se non sapesse in che modo essere d’aiuto. Seriamente? Lei, una Achimichi alta intorno ai due metri, cento chili di peso, una stazza tale da poter facilmente sovrastare per forza e mole il suo aguzzino, trema come una bambina di cinque anni? Ormai Kacchan non ragiona più: completamente in balia degli eventi, non può far altro che riversare la sua rabbia sullo spirito della sua defunta compagna, l’unico viso distinguibile in quella moltitudine di ombre che, esattamente come lei, sembra inebetito, incapace di prendere alcuna decisione autonomamente.
”Renditi utile, cazzo! Fa qualcosa!” La maledice, il ragazzo, riversandole uno sguardo furente che, in vita, Chiyo non gli aveva mai visto, pieni di un odio viscerale, tanto oscuro e profondo da render ancora più inquietante il progredire dell’emorragia intraoculare tipica dell’incremento della produzione di chiralina.
Se non fosse stato per lui, per la sua capacità di manipolare la Chiralina, lei sarebbe stata solo un mero ricordo nel cuore dei suoi cari, semplice energia che fluttua nel circolo naturale delle cose… Era grazie a lui se quello spettro poteva anche solo sperare di poter avere un qualche peso decisionale sulle faccende di questo mondo terreno… Era solo grazie a lui se… Era quel che era in vita… Perché lui aveva voluto che quella sua energia rimasta assumesse quella forma, quell’aspetto, quella caratterizzazione, in modo tale da farlo sentire meno solo, meno sporco quando li usava per sopravvivere. Era la sua fottuta umanità, quella sua spiccata empatia verso gli altri a spingerlo a rendere umane quelle forme: erano Energie Residuali di gente morta. Appunto. Sono morte. Non sono più nulla, non hanno più nulla, quindi perché chiedere loro il permesso di poterle utilizzare? Perché farsi scrupoli di coscienza, nel cercare di assecondare loro richieste o capricci? Perché doveva assoggettarsi al loro volere, quando erano loro che dovevano piegarsi al suo? Lui era il solo a poter produrre e manipolare chiralina, sviluppare e sfruttare quella naturalmente presente nell’ambiente intorno a lui, quindi perché doveva lasciarsi suggestionare da quel che potevano pensare o volere persone ormai morte e sepolte?
Era la sua umanità, il problema: quel suo irrefrenabile desiderio di empatizzare col mondo intero non faceva altro che tarpargli le ali, imprigionarlo, impedirgli di dare libero sfogo ai suoi impulsi, fare davvero ciò che più voleva. Ecco a cosa Jikan faceva davvero riferimento, quando parlava di avere assoluta libertà: non aveva nulla a che vedere con l’allontanare le persone da sè, lasciare che il loro parere potesse influire sulle proprie scelte, no… Era una prerogativa che nasceva dalla consapevolezza che il tutto doveva nascere dal proprio io più profondo: da quel mostro fatto di egoismo ed egocentrismo, lo stesso che aveva visto fare capolino con Giman, ma che era stato malamente tenuto a bada da quel suo dannato perbenismo, dal suo volere costantemente apparire più buono di quanto in realtà non fosse.
Basta fare il bravo ragazzo. Basta essere sempre quello prodigo ad aiutare gli altri. Basta ad essere quello pronto a subire, pur di salvaguardare il bene del prossimo. Basta farsi sopraffare dalle avversità della vita.
La vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente tra il dolore e la noia, passando per l'intervallo fugace, e per di più illusorio, del piacere e della gioia. Era stato questo il suo mantra, per una vita intera e, come tale, si era lasciato oscillare, ad aspettare, paziente, l’ennesima batosta che sarebbe giunta sul suo groppone. E lui lì, a farsi trovare pronto, perché voleva essere in grado di rendere meno esacerbante la vita per gli altri, ad aiutarli a superare l’ostacolo… Ma a lui, chi ci pensava? Chi lo aiutava a rendere più leggero il dolore? Chi lo aiutava a render più tenue la noia?
NESSUNO.
Il rumore della lama del bisturi che impatta contro la superficie del tavolo su cui è legato genera una leggera vibrazione che si irradia lungo il braccio e, in quell’attimo, Kacchan sembra ritrovare una calma che non gli appartiene, glaciale. La figura di Chiyo si rilassa, lasciando scivolare le braccia lungo i fianchi, sul viso un’espressione del tutto neutrale, indifferente. Lentamente perde colore, lineamenti, tornando ad essere un’ombra come tante, come tutte le altre presenti in quella stanza. Nulla di umano, solo banalissimi e semplici flussi energetici che lui è in grado di usare.
Lo sguardo del giovane torna sul suo aguzzino, sulla sua mano protesa, sulle dita che trovano facile accesso alla carne molle che avvolge il suo occhio. La pressione che percepisce sul bulbo oculare è rivoltante, gli attorciglia le viscere, ma non ha alcuna intenzione di lasciarsi sfuggire alcun urlo. Le sclere di entrambi gli occhi si tingono, nere come la pece, l’azzurro cobalto degli occhi quasi rifulge, le pupille dilatate. La concentrazione di Chiralina nella stanza aumenta, quella naturalmente presente amplificata dall’organismo dello Yamanaka, rendendo la luce nella stanza più smorzata, le ombre più tangibili e definite…
Erano quello che la Morte si lasciava dietro, al suo passaggio, resti lasciati lì a far da carcassa. Lui, semplicemente, era il suo Necrofago.
Levatemelo di dosso. Ordina gelido. E come un marasma informe, le ombre avrebbero trovato forma e consistenza in una accozzaglia di braccia e tentacoli, escrescenze membranose da rendere il tutto un parto raccapricciante di una qualche mente contorta e malata, da cui era difficile comprendere se si trattasse di un conglomerato di più coscienze o di una singola, grande, volontà alveare.
La creatura lovcraftiana avrebbe quindi cercato di bloccare l’aggressore o, quanto meno, rendere meno ferrea la sua presa, in modo tale da cercare di liberare almeno un braccio dello Yamanaka… Magari quello stesso dove, a pochi centimetri dalla sua mano, l’uomo aveva lasciato incautamente il bisturi…
CITAZIONE
Sfrutto l’occasione per dare un primo incipit narrativo alla modifica che voglio dare alla disciplina personale di Kacchan.
Avevo discusso con i narratori di quanto mi pesasse vedere come la capacità di interagire con i fantasmi non fosse più prerogativa unica del mio personaggio, di come, ormai, il concept fosse diventato “facilmente accessibile” a tutti.
Il mio intento, quindi, è quello di cercare di costruire un certo distaccamento dal vecchio concept e avvicinarmi a quello nuovo: una versione molto più impersonale, che tende a non voler cercare più di “umanizzare” le energie residuali lasciate da ciò che muore, ma di usarle come fini a sè stesse, ovvero energia da plasmare e usare a proprio piacimento, dove la conformazione umanoide che si dà è dettata dalla mera capacità Yamanaka di infiltrarsi nella mente altrui e cercare, quindi, di creare forme umane utili per facilitare tale processo. Quindi l’interazione verbale con gli stessi altro non è il riuscire, da parte dello Yamanaka, di racimolare info dalla mente avversaria.
Ovviamente è ancora un concept work in progress, ma mi piacerebbe iniziare a delineare un certo distaccamento, in maniera tale da poter giustificare, poi, la modifica vera e propria, quando questa avverrà.
Che poi, diciamocela tutta, la situazione casca a fagiolo. Kacchan è ancora troppo Sweet Boy, occorre togliergli del tutto quel poco di zucchero che gli rimane
Spero solo che questo suo “sviluppo mentale” sia comprensibile… Ultimamente mi sembra di aver perso la capacità di scrivere in un italiano vagamente accettabile