Kirigakure no Sato, Mizu no Kuni, 27 Gennaio 253 DN
[Al Presente]
Certi rumori di fondo diventano improvvisamente evidenti, quando un'immobilità forzata costringe ogni movimento accessorio ad arrestarsi: il respiro contro la maschera di porcellana, ad esempio, breve e più frequente di quanto ella stessa non si aspettasse o lo sciabordio leggerissimo delle onde contro le fiancate dell'imbarcazione, più lento e placido.
Dapprima si sente come una sorvegliante all'Accademia ninja, piazzata lì a controllare oziosamente che i bambini non si facciano male con gli shuriken durante la pausa pranzo, la sensazione che emerge subito dopo, sembra quasi il fastidio che proverebbe, se sotto la sua sorveglianza due imbecilli si fossero preso a pugnalate: le sopracciglia si scontrano - ormai lo fanno sempre più spesso... le verranno presto delle rughe lì in messo alla fronte, se lo sente - mentre prima il bramito del plantigrado, poi i commenti di Honikawa-san denunciano una situazione, come dire, differente da quanto atteso.
Un paio di falcate e ha raggiunto la murata, scrutando dall'alto la scena: il clone che torna ad essere uno col mare, la botte scoperchiata che galleggia verso la barca, la voce tesa della donna che ordina di tirare a bordo il recipiente e...
"NO!" - abbaia, la voce che esplode contro la porcellana come un petardo, ma che nessuno la fuori pare ascoltare -
"Lasciatela dov'è... cazzo. Arata, sta' indietro" - intima al bambino, premendogli una mano sul petto per sospingerlo all'indietro.
"Non toccate NIENTE", ordina agli altri, mentre rapidamente cerca di ricordare dove accidente sia appesa la cassetta del pronto soccorso di bordo. Sul ponte si spande rapidamente un odore penetrante che conosce bene: che le venga un colpo, se non è formaldeide. Ha lanciato appena un'occhiata al contenuto della botte ed è bastato quello a farle drizzare i peli sul collo: superfluo far presente che di patogeni ne ha già abbastanza, e se fosse per lei darebbe fuoco a tutto - botte, liquido nero merdoso e tizia stecchita.
Vero, non può essere matematicamente certa che sia stecchita, ma se la logica non l'ha abbandonata, l'odore di formaldeide dovrebbe parlare da sé.
"Arata, la cassetta arancione dietro la porta" - ordina all'allievo, la voce carica di tensione, malumore, ansia e una generica collera nei confronti della vita. Avverte finalmente la presenza di Mizuguchi: non che non fosse lì con loro sin dall'inizio, per carità... è che l'attesa snervante di quanto richiesto - seppur brevissima - ha l'effetto di acuire le sue percezioni.
o meglio.
Esasperarle.
Nota con la coda nell'occhio il braccio sollevato del Diavolo, già teso verso la katana:
kami, se non vorrebbe poter risolvere i problemi come lui. Due mazzate e via. E invece no, obbligata a usare il cervello, dove i muscoli non possono arrivare.
Quanto odia essere nata femmina."Jorogumo ritiene che non avrebbe mai dovuto essere tratta a bordo" - schiocca, replicando apparentemente all'osservazione del suo collega, tuttavia rivolta in realtà all'equipaggio, fin troppo svelto a fare di testa propria.
Arata è un bravo soldatino; è troppo nervosa per ringraziarlo però, quando le porta quello che ha chiesto. Forse se ne ricorderà più tardi. Apre con le dita agili i fermi della cassetta ed è solo con un enorme sforzo che evita di buttarne all'aria il contenuto, mentre cerca i guanti -
"Mizuguchi, non a mani nude" - lo richiama, guidata da un barlume di spirito di squadra. O di autoconservazione, chi può dirlo: sta di fatto che l'idea di perdersi per strada
quello là, non le piace per niente, anche se pare non aver sentito affatto la parte del
non toccare. Gli lancia il primo paio di guanti che trova, tenendo il secondo per sé.
Cosa diamine voglia fare con un campione di fluido, se lo farà spiegare dopo: adesso non ha testa di interrogarlo.
Sulla scena è accorso anche il ragazzo dei tarocchi naturalmente - Jiro, se non va errato - che sembra allibito: occhi strabuzzati e pallido come un cencio; cerca di escluderlo dai propri pensieri, mentre indossa i guanti con gesti bruschi e si accosta al corpo, senza riuscire a reprimere i brividi. Cerca il polso radiale, poi quello carotideo; accosta indice e pollice al volto che pare addormentato, per schiuderle le palpebre e farsi raccontare da quegli occhi chiusi qualcosa in più di quanto non appaia all'esterno. I muscoli rigidi parlerebbero di morte, ma quante volte è capitato che una tossina sconosciuta rendesse inerte chi defunto non era?
"Jorogumo era convinto che Spruzzo le avesse completamente disintegrato la testa"- commenta con voce sufficientemente forte da farsi sentire da tutti, in particolar modo dal Diavolo: i segni lasciati da Shibuki sono evidenti, ma meno devastanti di quanto non ricordasse. Coi polpastrelli ripercorre i segni di sutura sul collo, cercando i segni rivelatori di una guarigione in corso; indaga quel misero corpo a stento coperto da ciò che resta degli indumenti, rivoltandolo in quella sorta di utero carico di bitume, ricordando vagamente la ferita al fianco che aveva versato fiumi di sangue sulla battigia. Quasi si aspetta, ad ogni gesto, di percepire attraverso il lattice una debole eco di quel tepore che le membra umane vive dovrebbero emettere...