Una replica comprensibile, quella di Yurei, alla quale lo Hyuga non osò porre obiezione. Lo aveva già aiutato - fin oltre ogni sua più rosea aspettativa, ad onor del vero - e per farlo aveva messo da parte i suoi doveri di capo di stato per quasi una settimana; insistere, in quel caso, sarebbe stato come sputare sulla mano che la kunoichi gli aveva teso, per onorare un patto siglato anni prima e che adesso, seppur flebile nei ricordi del passato, era più vivo che mai.
- Ci vedremo a Sora nelle prossime settimane, allora. Provo quasi nostalgia, a pensarci. - sorrise mesto, rimettendosi in piedi lentamente. I ricordi della guerra contro Buraindo e il Credo erano ancora vividi, quasi quanto la frustrazione scatenata dalla cieca ferocia di Masao Ryuzaki; un uomo morto, ormai, e che aveva lasciato il posto ad una nuova speranza di rinascita, per quella terra tormentata da guerre fratricide ed avidi giochi di potere. La notizia di un Summit dei Kage era quanto di meglio si potesse sperare, in quel particolare periodo storico: gli argomenti da trattare erano di primaria importanza, nonché delicati. Per Fuyuki, era giunto il momento di abbandonare le ombre dalle quali aveva agito per anni, per riavvicinarsi a quei temi in prima linea e non rimanerne estraneo. Avrebbe dovuto farlo per il suo Paese, come un leader attento a quanto stava accadendo nel mondo, anziché rimanere concentrato esclusivamente su quanto si stava verificando sotto il suo naso. Lanciò un'ultima occhiata d'intesa e gratitudine verso Mira, per poi replicare al suo saluto non appena lei si fu voltata per allontanarsi dalle segrete:
- A presto, Daimyo-dono.Poi volse lo sguardo verso il basso, finché il suo Byakugan non ebbe messo a fuoco l'espressione vacua sul volto dello Yokai di Konoha. Sorrise, mellifluo. Lui e Yurei avevano compiuto un autentico miracolo, violando le stesse leggi della vita e dell'etica... eppure,
non era ancora finita.Le ore successive furono persino più dure e faticose di quelle trascorse a combattere Akane, lama contro lama. In cuor suo, Namida era certo che avrebbe trovato ben in ordine la documentazione relativa allo stato generale del Villaggio. Dopotutto, seppur testarda, l'Uchiha era stata un Hokage precisa e zelante - anche troppo, a volte. Vi erano però questioni che non avrebbe mai potuto trovare, in un simile passaggio di consegne. Segreti scomodi, verità volutamente sepolte sotto un maestoso tappeto di stoffa pregiata, soltanto per mescolare avidità ed
apparenze. Con il sigillo di Dominazione attivo, estrapolare quelle informazioni fu come rubare caramelle ad un bambino; la kunoichi parlò senza opporre resistenza, docile e mansueta come un cane ben addestrato.
La prima cosa di cui venne a conoscenza era che, nel cuore della Foglia, si celava uno shinobi che, esattamente come Eiji Imai, teneva rinchiuso nel suo corpo lo spirito di un Bijuu: nello specifico, si trattava di Raion Kamata, custode del potere dell'Hachibi. Quel nome non era nuovo per Namida, il quale ricordava quel ragazzino che, molti anni prima, aveva salvato da morte certa, liberandolo dalla presenza di un Nukenin che altrimenti avrebbe reclamato la sua anima. Purtroppo, il Kamata si era allontanato da Konoha pochi anni addietro, proprio dopo aver scoperto di custodire lo spirito dell'Ottacoda. Per non divenire una bomba ad orologeria, nociva per lo stesso Villaggio - o almeno, era questa la sincera versione fornita dallo Yokai. Una volta coperto il seggio dell'Hokage, riavvicinarsi a Raion sarebbe stata una questione di primaria importanza, tanto quanto lo era andare a fondo sull'origine del Morbo e sulle intenzioni di quella fantomatica Compagnia delle Isole Orientali.
Quanto scoprì in seguito, invece, fu ancora più sconvolgente. Durante l'ultimo Torneo Chunin tenutosi a Kiri, Akane aveva avvicinato l'attuale Kokage, Hideyoshi Jiyuu, nella speranza di mettere le mani su di un potere sconosciuto al mondo degli shinobi, ma che la kunoichi aveva personalmente vissuto grazie alla sua vicinanza allo Shinigami, Sabaku no Keiichi: il Segno Maledetto, una fonte di potere che il Suono custodiva gelosamente e tramandava ad alcuni dei suoi shinobi più promettenti. Una maledizione capace di donare, quanto di
togliere, data la percentuale di sopravvivenza dei soggetti sottoposti a quel rituale, la quale rasentava quasi lo zero. Avvolta nella stolta presunzione di poter sottomettere quel potere, lo Yokai aveva insistito finché non aveva visto quel cancello proibito sbarrato dalla presenza ingombrante dello stesso Hideyoshi, il quale si era categoricamente rifiutato di applicarle il Segno... a differenza dell'allievo del Sandaime, Kinji Uchiha, il quale era divenuto vittima di quel rituale - stando alle informazioni della kunoichi, nel tentativo di contrastare il contagio di un chakra estraneo al suo, appartenente allo Spettro d'Argento, il cui nome riecheggiava nella memoria comune e che lo elevava ad una delle personalità più potenti e controverse della storia del Suono. Da allora, il Demone Vermiglio non aveva mai mostrato segnali di cedimento. Che avesse addomesticato il Marchio, sembrava assodato, qualcosa per la quale lo stesso Yokai avrebbe messo la mano sul fuoco. Fino a che punto, tuttavia, Namida poteva tralasciare la cosa? A quel punto, il confronto con l'Uchiha sembrava pressoché inevitabile. In fondo, lui per primo avrebbe mal digerito l'idea che uno shinobi controverso come Fuyuki avesse ucciso la sua adorata sensei - o almeno era ciò, che lo Hyuga sospettava, con solide basi: quello della vendetta era un sapore dolce, per quanto tremenda e folle essa fosse. In cuor suo, sperava che quel ciclo non si ripetesse e che Shuiroyasha si confermasse come solido pilastro della Foglia, anziché come una minaccia da abbattere per evitare che Konoha ripiombasse nel caos. Per quanto ne sapeva, lo stesso Kinji poteva reputarsi una vittima della folle avidità di Akane, nonché della sua sconfinata sete di potere.
Seguirono poi discussioni più o meno approfondite su vari argomenti, come ad esempio il parto durante il quale aveva dato alla luce due gemelli: una bambina, figlia biologica di Hachi Yamanaka, ed un maschio, della cui paternità era in dubbio. Credeva potesse trattarsi di un segno lasciato dallo Shinigami, il quale tuttavia era morto molto tempo prima del concepimento. Un'assurdità - questo pensò Fuyuki, senza dare alla cosa più peso del necessario. Dopotutto, lui per primo era un
padre, e perseguitare Hikarikage e quei bambini dopo averli privati dei genitori era una crudeltà che andava persino oltre i pesanti limiti che aveva già varcato, nel nome della Foglia. Ciò di cui volle sincerarsi, invece, erano le condizioni dei suoi allievi e Fujitaka. Per fortuna, il Sandaime confessò di non essersi imbattuta in loro e da ciò, il suo interlocutore comprese che i quattro dovevano essersi allontanati per tempo dalla loro posizione, una volta accortisi dell'arrivo dell'Hokage e degli ANBU al suo seguito.
In ultima istanza, pose alla donna l'interrogativo più importante, da un punto di vista prettamente egoistico.
Perché? Questo chiese. La risposta, però, lo lasciò basito. Guidata dal suo inconscio folle, la kunoichi aveva imposto quel Marchio su di lui e Chiaki soltanto per
paura. Non di indagini sul suo conto e su quelle di Keiichi, come lui aveva ipotizzato, ma per una motivazione ancor più futile. Lo Yokai aveva temuto che, con il suo ritorno ed un suo eventuale successo nello sterminare Kirinaki, avrebbe potuto acquisire consensi e popolarità, finché il nome di Fuyuki Hyuga non sarebbe divenuto persino più grande del
suo. Timore e gelosia dello scranno di Hokage, erano queste le motivazioni che avevano convinto Akane a non opporre resistenza al volere del Consiglio e, soprattutto, a tradire la fiducia di un compagno leale e devoto. Seppur stringendo i pugni, Namida non sfogò contro di lei la sua frustrazione. Rimase immobile, in silenzio, a metabolizzare la delusione e lo sdegno, come se stesse mandando giù a fatica un boccone particolarmente grande ed amaro.
Ad interrogatorio terminato, Namida era letteralmente esausto. Il fiato era pesante, la fronte fredda ed imperlata di sudore, il quale aveva reso umide persino le bende che gli avvolgevano il capo. Non aveva fatto nemmeno una pausa, durante le ultime ore, e ciò che lo avrebbe atteso richiedeva una preparazione fisica e mentale adeguata. Avrebbe riposato ancora fino all'imbrunire, poi avrebbe usato l'Hiraishin per raggiungere Konoha e mettere in moto l'ultimo atto del suo piano diabolico, lasciando ai suoi uomini il compito di ripulire quel posto e permettere a Yabuki di abbandonarlo, incolume. Si avvicinò dunque alla sedia sulla quale Akane riposava, silenziosa, con lo sguardo vuoto puntato verso un punto non definito della parete che aveva di fronte. Si posizionò dietro di lei, in piedi, lasciando cadere le proprie mani sulle spalle di lei. Un tocco morbido, un ultimo conforto che avrebbe guidato l'Uchiha verso il misero epilogo che lui aveva scelto per lei e verso il baratro del nulla, là dove avrebbe sepolto lei, Hachi Yamanaka ed i segreti che avevano appreso, grazie ai poteri di quest'ultimo, circa il Jutsu Proibito che lo steso Yokai stava sperimentando sulla sua pelle.
- Prima che la mia nemesi, sei stata una guida. Un'amica, persino. Quanto ci ha portato fino a questo punto trova radici profonde. Origini che mescolano paura ed ambizione... e che hanno scatenato una tempesta che avrebbe potuto radere al suolo l'intera Konoha. Mi chiedo quanto florido sarebbe stato il nostro adorato Villaggio, se tutto ciò non fosse accaduto e avessimo continuato a vegliare sulla nostra gente, insieme. Ormai, però, non ha più importanza. - concluse deluso, ricalcando quelle parole che avevano sancito la sua storia e con le quali aveva lasciato personalità come quelle di Mera Dotoha e della stessa Yurei, sotto un Cielo che piangeva bramando giustizia. Fu a quel punto, che il giovane piegò il capo, finché le sue labbra non si poggiarono sulla chioma corvina dell'Uchiha. Un bacio casto, che gli permise di tuffarsi nell'odore di sudore e sangue e di sentire, in un lontano ricordo, il profumo di quella chioma. Si aggrappò a quelle memorie, inspirando a pieni polmoni. Si trattenne dal versare lacrime, poiché farlo avrebbe spezzato la dignità che voleva concedere a quel momento. Il loro ultimo istante insieme, il quale veniva sugellato dalle labbra di Fuyuki che, infine, si allontanavano da lei. Con il dorso della mano le sfiorò il viso deturpato, accarezzandolo con insolita dolcezza. Poi si voltò e con passi pesanti abbandonò la stanza, conscio che sarebbe bastato un sigillo, affinché la donna scomparisse da quel posto e tornasse al suo fianco. Nella sua espressione, dolore e rassegnazione si davano battaglia, senza riuscire a trovare un netto vincitore.
Addio, Konoha no Yokai.
Continua in 終わり Owari - Atto II - Silenzio