Laudatio Funebris, Quest di 2o livello per Disciplina Avanzata, per Ardyn, 2o pg

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view post Posted on 5/7/2021, 15:58     +1   -1
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Tutta quella pressione non voluta, quell’umidità al livello della pancia e quel fastidiosissimo rumore di singhiozzi non lo sopportavo proprio. Avrei voluto stenderlo e infilarlo in un sacco assieme alle due siamesi finché non tornavamo ad Oto.
Però stranamente la mia mano cominciò a muoversi avanti e indietro tra i suoi ciuffi e non me ne accorsi finché ad un certo punto non rimasi impigliato in un nodo.


-Ok, ora basta. Staccati.-



Il piccolino però non mi mollò. Provai a ripetermi e a spingerlo via con la mano, ma per tutta risposta lui affondò ancora di più la faccia stringendo le braccia attorno ai miei fianchi. Non potei far altro che desistere e sospirare mentre riprendevo ad accarezzargli la testa.


-Sigh. Mannaggia la miseriaccia...-





Era finita. Un senso di sollievo misto a grande sofferenza gli opprimeva il petto, spingendo come un diaframma le lacrime agli occhi. Un pianto ininterrotto, antico, liberatorio. In quel momento, tra loro, un contatto che sa di famiglia.
Ma non era destinato a durare. Qualcosa glielo diceva. Difficile dire cosa, con esattezza, ma il piccolo Hanna lo sapeva in cuor suo. Presto si sarebbero separati, e non si sarebbero mai più rivisti.
Non in questa vita.


GDROFF///E si va.
Libertà di role, ma se hai capito dove ci troviamo, allora non è così libera. ///GDRON
 
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view post Posted on 27/11/2021, 10:34     +1   -1
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Ancora non riusciva a credere che quell’incubo fosse finito. Quanto aveva portato avanti, quella storia? Si era trascinata a lungo, per troppo tempo, ed ogni istante passato con quel peso, quel macigno sulla coscienza, erano stati una tortura. Sua madre non era mai stata una santa e, anzi, a dirla tutta non era nemmeno possibile definirla davvero come una madre, eppure era stata lei a dargli la vita, generarlo… Non era mai riuscito a capire il perché del suo comportamento, rimasto un mistero anche per suo padre, a dirla tutta.

Conoscendola, sapendo della sua instabilità mentale, di quella sua cupa ed ingorda fame che la muoveva, spingerla a comportarsi peggio di un belva feroce, perché non lo aveva mai preso e portato via da lei, perché si era ostinato, suo padre, a voler continuare a vivere sotto il suo stesso tetto, col rischio di venir divorati a loro volta? Forse aveva sperato, in qualche modo, di salvarla?

Difficile dirlo, ma, tutto sommato, non aveva fatto lo stesso anche lui, ostinandosi a conservare la bambola in cui aveva legato l’anima di quella donna, quella fatidica notte in cui uccise suo padre? Forse aveva sperato di salvarla anche lui?

Ma quelle, ormai, erano domande prive di importanza: i resti di quel pupazzo infernale giacevano ormai inerti, lo spirito di sua madre libero di vagare in qualsiasi luogo fosse diretta l’anima dopo la morte…. E ora, stretto contro Hiroki, non poté far a meno di dar sfogo a quel pianto liberatorio, le cui lacrime, tracimando, non facevano altro che portare via con sé tutto il peso di quegli anni passati con quella spada di Damocle sulla testa.

Singhiozzando, incurante di avere gli occhiali completamente appannati, le gote paonazze e bagnate, gli occhi arrossati, Hanna si scostò lentamente, incerto, tirando su col naso e stropicciandosi gli occhi nel vano tentativo di asciugarli. «Scusami… Non dovrei piangere in questo modo… Le persone grandi e forti non dovrebbero piangere così… E io voglio diventare grande e forte… proprio come te, fratellone. » Tirò su col naso, strofinandosi gli occhi con le mani, così da poterseli un minimo asciugare.

Rimase col capo chino, a fissarsi quelle mani piccole: erano umide per colpa delle lacrime e del sudore, in alcuni punti avevano dei piccoli calli, a cui era solito tirar via la pellicina, quando era preso dalla noia, eppure… C’era qualcosa di strano, in quelle sue mani. Oh, beh, certo, erano quelle di un bambino, tutto sommato, quando lui invece… «E di nuovo un sogno, vero?» Domandò, non trovando il coraggio di alzare lo sguardo, per timore di veder sparire la figura di Hiroki, davanti a sé.

Quanto tempo era passato, dall’ultima volta che si erano visti? «Cinque anni, quattro mesi, ventuno giorni.» Farfugliò il bambino, stringendo i pugnetti, con rabbia, cercando di cacciare indietro lacrime amare da digerire. «E io non sono stato in grado di trovarti, non ho dato fede alla promessa che ti ho fatto! Cazzo, cazzo, cazzo!» Iniziò a colpirsi la testa con quei piccoli pugni che mai sarebbero riusciti a fargli male quanto gli faceva male quella mancanza che aveva avuto nei confronti di Hiroki. E rimase così, ad autocommiserassi, a capo chino, perché non aveva il coraggio di alzare lo sguardo. Se lo avesse fatto, probabilmente non avrebbe più rivisto Hiroki, e vederlo sparire di nuovo non poteva sopportarlo. Sogno o realtà che fosse.
 
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view post Posted on 28/11/2021, 10:50     +1   -1
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Vi sembra che io abbia detto che doveva piangere? A me pare proprio di no, eppure fu proprio quello che fece e non solo. Oltre a scoppiare a piangere lui – datemi la forza di dirlo – lui... mi abbracciò. Stavo per riempirlo di botte, ma il mio pugno chiuso si bloccò a pochi centimetri dalla sua testa. Colpire quella massa di capelli rossi mi suonava brutto come tirare un pugno su un porcospino.

-Vaffanculo, oggi proprio giro al contrario.-



Dissi, mentre il ragazzino, finalmente staccatosi, prendeva a frignare e martellarsi la testa coi pugni. Di che andava blaterando?

-Pffft. Non dire stronzate. Non sei stato in grado?

Ragazzino, tu non mi hai nemmeno cercato.-


Ridacchiai, fuori dal suo campo visivo. Un'ombra ai confini della coscienza.

-E diciamocela tutta... va bene così, anche perché se mi avessi trovato avresti finito per trasformarmi in un pupazzo dei tuoi. Invece guarda.

GUARDA HO DETTO!-


Lo afferrai violentemente per i polsi, stringendoli con tutta la forza che avevo. Volevo fargli del male, volevo che soffrisse come io avevo sofferto. In me una rabbia cieca, antica, animale.
Hiroki Hyuga conosceva a malapena quel ragazzino, e anche l'avesse fatto non ne avrebbe lamentato eccessivamente la perdita. Così era fatto, così ero fatto, tanto tempo fa.
Serrai i miei artigli attorno alla sua pelle morbida, sentendola rattrappire ed aprirsi. Sotto, le ossa cedere come canne secche.


"GUARDA CHE COSA MI HANNO FATTO!"



RQH9ELJ



"Non cercarmi Hanna. Dimenticami. Dimenticami per il tuo bene..."



Riuscii a dirgli, la mia voce ridotta al suono dell'acqua sulle pietre, dei giunchi nel fango. Giacemmo sdraiati uno accanto all'altro, lasciando che la foresta ci consumasse.
Tra noi, irriducibile superstite, il ronzio delle mosche. Il loro un colore mai visto, rosso come il sangue.


Ospedale di Otogakure no Sato, 13 ottobre 252 DN, ore 2.30


Buio. Silenzio.
Nel delirio di quel terribile risveglio, il ragazzo non avrebbe riconosciuto alcun suono o odore familiare. Nausea, smarrimento, forse paura. Il suo corpo riposava su un letto morbido, ma seppe immediatamente non essere il proprio. Le braccia dolevano terribilmente, e, avesse provato a farvi ricorso, Hanna le avrebbe trovate fasciate al punto di non poter stringere il pugno o piegare il gomito.
Alla sua sinistra, recuperato un briciolo di senno, una spia verde, lampeggiante al ritmo di un suono pungente. Unica luce, la sua intermittenza incapace di mostrargli alcun profilo nel vuoto che lo circondava.


"Sta calmo Hanna-san. Sei al sicuro."

Una voce femminile, da qualche parte oltre il confine del letto.
 
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view post Posted on 1/3/2022, 14:30     +1   +1   -1
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Scosse con veemenza il capo, il piccolo fanciullo, le pallide manine strette tra le morbide e riccioline ciocche fulve, quasi a volersele strappare dalla testa, tanta era la disperazione che, in quel momento, asserragliava il suo cuore. «No... No... Ti sbagli... Io... Io ti ho cercato...» Farfugliò, lo sguardo basso che saettava a destra e manca, ai suoi piedi, nascondendo occhi vitrei, spalancati e lucidi come biglie di vetro, più simili allo sguardo di un folle nel pieno di una crisi isterica.

Perché i suoi ricordi erano così vaghi e confusi? Aveva ben a mente quel loro incarico, il primo che avesse mai svolto per Oto ed insieme a lui. Insieme erano rientrati, ripromettendosi di non perdersi di vista, che sarebbe tornato a trovarlo, magari portandogli del buon the e dei biscotti, di cui sapeva esser ghiotto. Hiroki, poi, nel viaggio di ritorno, gli aveva accennato di quelle sue particolari sedute d'allenamento che svolgeva con Keigai, di come le sue capacità di ricucire sarebbero state utili, in quelle circostanze... Hanna era stato entusiasta, in quell'occasione, e fu altrettanto emozionato quando, la settimana dopo, si recò presso la dimora di Hiroki, con una pregiata scatola di legno contenente una ricercata selezione di the e biscotti caldi, appena sfornati, con cui accompagnarlo. Ricordava perfettamente la voglia sfrenata di rivederlo, di farsi raccontare dallo Hyuga aneddoti sulle sue avventure, nella speranza, magari, di ricevere qualche insegnamento, per migliorare, ma... Quando bussò alla porta dei suoi alloggi, nessuno venne ad aprire, così come nei giorni a seguire.

Inizialmente suppose che il suo Oniisan fosse partito per svolgere qualche incarico, così aveva atteso paziente, ma quando la sua assenza iniziò a protrarsi ulteriormente, iniziò ad impensierirsi, domandando in giro, ma... Chi vuoi che badi alle domande di un bambino, quando ad Oto c'erano ben altri problemi a cui pensare? Nessuno prestò attenzione alle sue preoccupazioni, inutile pure chiedere a quella tipa, Keigai: folle anche peggio di sua madre, anche lei sparì poco dopo.

Quando alla fine si decise di prendere in mano la situazione, introdursi in casa sua per cercare indizi, ecco che gli agenti che lavoravano all'orfanotrofio lo portarono via: dovevano evacuare il villaggio, lasciare quel posto divenuto ormai pericoloso, ma lui non poteva andarsene! E se Hiroki fosse tornato e non l'avesse trovato lì ad aspettarlo? Doveva lasciargli un messaggio, fargli capire dove fossero diretti e...

«Io non... Perché non ricordo? » Si mortificò il piccolo, cercando malamente di riordinare quei ricordi confusi, senza successo. La presa ferrea dello Hyuga lo fece trasalire, costringendolo ad alzare lo sguardo su di lui, rimanendo impietrito: la figura che lo stringeva con forza, tanto fargli male, non era affatto l'Hiroki di cui aveva memoria, poteva trattarsi solo di un parto contorto di una mente malata straziata dagli incubi.

Provò a parlare, ma la ferrea presa di quel mostro non gli lasciava fiato nei polmoni, stringendolo con maggior forza, il dolore tale da farlo tremare, quel non detto incastrato in gola dai suoi rantoli di sofferenza. «Hi...ro...ki...oniisan... No... NO! »

[...]

Tremava visibilmente, l'urlo rimastogli strozzato in gola dal respiro affannoso. Madido di sudore freddo, Hanna riaprì gli occhi a fatica, come se il suo corpo avesse dimenticato come si facesse. Impossibile riuscire a distinguere alcunché, intorno a lui, la vista offuscata a causa dell'assenza degli occhiali, indispensabili per correggere quel suo difetto alla vista che si portava dietro da quando aveva memoria. Perché non riusciva a muoversi, perché non riconosceva quel posto, che diavolo gli stava succedendo?

Quella voce femminile, che cercò di rassicurarlo, non fece altro che agitarlo ulteriormente, poiché gli giunse estranea, alle orecchie. Provò a parlare, ma quando aprì bocca la sentì secca, arida come il deserto di Suna. Dovette faticare non poco per riuscire ad emettere suono, producendo una voce rauca, strozzata, che faticò a riconoscere come la propria. «C-cosa... D-dove... H-hiroki, lui dove... »
 
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view post Posted on 6/3/2022, 09:27     +1   +1   -1
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Ospedale di Otogakure no Sato, 13 ottobre 252 DN, ore 2.40


La presenza accanto al giovane shinobi non accennò a muoversi. Egli la avvertì lì, vicina, dapprima invisibile nel contrasto tra il buio della stanza e la luce bruciante del macchinario, poi, via via che gli occhi prendevano confidenza con la realtà, appena abbozzata. Rispettò la sua paura, non intervenendo ulteriormente in gesti o parole, attendendo che Hanna venisse da solo a patti con il suo stato.
Solo allora, quando il ragazzo ebbe ritrovato una qualche forma di stabilità emotiva, la donna intervenne nuovamente.


"Sei all'ospedale, Hanna-san. Abbiamo dovuto portarti qui d'urgenza dopo la scorsa notte.
Va tutto bene ora, cerca di riposare. Non appena ti sentirai in grado, vorrei che venissi nel mio studio qui accanto."


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Detto questo, si defilò, lasciando che Hanna scivolasse nuovamente nel sonno. Uno privo di febbre e delirio, questa volta... con ogni probabilità indotto da una qualche forma di sedazione.
La veglia successiva avrebbe trovato il ragazzo in uno stato di maggior quiete, pur stordita. Il buio regnava ancora sovrano nella stanza, che, se aveva finestre, le teneva ben chiuse a qualsiasi luce esterna. Unica guida per il giovane shinobi sarebbe stato un lumicino distante, oltre il confine della spia lampeggiante del macchinario attaccato al letto: la lampadina illuminava una porta d'uscita.
Quanto tempo avrebbe impiegato a raccogliere l'invito della donna? Che alternative avrebbe avuto? Prendendosi tutto il tempo del quale aveva bisogno, Hanna sarebbe riuscito a scendere dal letto, braccia, gambe e parte del volto coperti da uno stretto bendaggio. A primo sguardo e contatto neutre, lisce e soltanto vagamente umide, le bende avrebbero rivelato alla luce della porta un'intricata serie di sigilli lungo la loro lunghezza. Le vergature erano state realizzate da mano esperta, precise ed uniformi, in un colore grigio scuro. Quale fosse il loro scopo, Hanna avrebbe dovuto scoprirlo raggiungendo lo studio della misteriosa donna, che si trovava all'altro capo del corridoio in cui il ragazzino emerse, attraversata l'uscita dalla sua stanza. Lo spazio era completamente neutro, scarno: nessun'altra porta, nessuna finestra, nessuna decorazione.
Sull'ingresso nessuna placca, nessuna presentazione. Dentro, uno studio ridotto all'osso. Una scrivania, degli scaffali con alcuni strumenti, e lei, la donna che gli aveva parlato.


"Benvenuto, Hanna-san. Sono mortificata per lo stato in cui ti sei risvegliato, ma la situazione ci ha lasciato poche alternative.
Il mio nome è Sabaku no Yumi."


Questo, Hanna, lo sapeva già. Anche non l'avesse mai vista di persona, il giovane conosceva fin troppo bene le caratteristiche fisiche del Capo Medico di Otogakure. Una donna alta, altera, dalle fattezze tanto eleganti da apparire quasi innaturali. La pelle bianca, i capelli di un nero impenetrabile, lunghi e lisci fino a confondersi in un abito dello stesso colore. L'elemento più caratteristico, tuttavia, quello che rendeva inconfondibile la figura, erano gli occhi chiusi. Yumi era cieca, questo si sapeva: lo scontro con il Sette Code, durante la crisi seguita alla Guerra Civile, l'aveva lasciata priva della vista. A compensarla era il Terzo Occhio di sabbia, che la donna teneva sempre accanto a sé.
Una figura spettrale, specie lì, in quel momento.


"Risponderò alle tue domande, prima di rivolgertene delle mie.
Siediti, per favore."
 
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view post Posted on 16/3/2022, 11:21     +1   +1   -1
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Le parole della donna gli giunsero sfumate, ovattate nelle orecchie, come se avesse avuto batuffoli di cotone a tapparle. La sua figura, poi, offuscata dalla vista malconcia e dal buio della stanza, gli apparve pallida, con quei lunghi capelli neri ad incorniciare una figura smunta, allungata. Per un attimo la figura del medico venne frapposta a quella di sua madre, a quel demone immondo che, su di lui, aveva solo riversato l'amore malato che può avere un famelico ghiotto su un arrosto invitante.

Tremò per la paura il piccolo, terrorizzato di aver nuovamente a che fare con quel mostro, ma il mondo intorno a lui ricominciò a spegnersi, lentamente, per effetto di un qualche sedativo, utile per calmarlo. I tremori si placarono, il respiro si fece più lento, il battito del suo cuore più regolare e si addormentò. "Un sogno... Si... Solo un brutto sogno..."

Non ebbe idea di quanto tempo dopo si risvegliò. Aprì gli occhi lentamente, disteso in quel letto, sbattendo le palpebre più e più volte, nel tentativo di cercare di mettere a fuoco l'ambiente che lo circondava, offuscato dall'astigmatismo e dal buio della stanza. Questa volta, però, non serbava nel cuore la paura che, al suo primo risveglio, l'aveva reso incapace di orientarsi. Era più vigile, lucido e attento, com'era giusto che fosse. Proprio come gli aveva insegnato il suo papà.

"Devi imparare a saper percepire il mondo anche con gli altri sensi. È importante, sai, per evitare che il mostro ti catturi. Dove gli occhi non possono vederla, devi imparare a sentirla con l'udito. Senti? Il rumore dei suoi passi felpati sul parquet? Si muove leggera, in punta di piedi, ma lo senti, no? Quel lieve scricchiolio delle assi, quando sposta il peso da un avampiede all'altro?" Sfocata, intravide qualche spia accesa, con un lampeggio accompagnato da un suono metallico, artificiale, lento e continuo. Bip. Bip. Qualche passo più in là, qualcuno che camminava a passo sostenuto, di chi sembra aver fretta perché deve fare mille altre cose, le suole sbattere sul pavimento, stridere leggermente quando la gomma fa attrito, nel momento in cui si fermano.

"E se ci sono troppi suoni, o troppo pochi, rivolgi l'attenzione verso gli spifferi d'aria che percepisci sulla pelle, sempre! E afferrane l'odore. Bagnati le labbra, leggermente, così da renderle più sensibili e poi rivolgiti verso quel formicolio che percepisci." La lingua scivolò su labbra screpolate, ruvide come carta vetrata, la saliva bruciante sulle crepe più profonde. Rimase così, per qualche istante, immobile, gli occhi chiusi concentrato sulla sensazione delle sue labbra umide, sfregandole tra loro nel tentativo di umidirle maggiormente. Un singolo spiffero, sottile, non troppo invasivo, provenire dall'alto... Una bocchetta d'areazione? Corrucciò il viso, il piccolo bambino, cercando di studiarne il movimento, ma qualcosa sulla fronte lo infastidì. Cercò di alzare il braccio sinistro, sentendolo pesante come un macigno, per potersi toccare e... Era bendato, così come il braccio. Avvicinò quindi l'avambraccio al viso, nel tentativo di metter meglio a fuoco, ma risultò dannatamente difficile.

"Bravo, esatto. Inspira lentamente... Li senti, gli odori? Certo, sono tanti, ma quel mostro ha sempre lo stesso, identico odore: pungente, acre, una nota di sudore rancido magistralmente mascherato dall'odore di camomilla e rosmarino." Inspirò con una certa fatica, il naso intasato dai muchi. Riconobbe una leggera nota polverosa, tipica di quei posti che non hanno finestre con cui poter cambiare aria e... Quegli odori chimici, pungenti, simili a quelli dei prodotti usati da suo padre.

"E ora dimmi, piccolo mio: lo sai dov'è il mostro?" Sospirò il piccolo Hanna, facendo cadere pesantemente il braccio al suo fianco. "Sono in ospedale..."

Dopo quella prima rivelazione, Hanna si ritrovò confuso, disorientato. Non serbava alcuna memoria di come fosse finito lì, né, tanto meno, aveva idea di quale male l'avesse costretto a letto in quella maniera. Avrebbe voluto esaminarsi, per poter capire quanto fosse messo male, ma solo alzare il capo risultò un'impresa, perciò desistette, almeno in quel primo momento, preferendo aspettare, giusto un altro po', per recuperare le forze...

Quanto dormì, nuovamente, non seppe quantificarlo, ma questa volta sentiva di avere le giuste energie per potersi sistemare meglio sul letto, cambiando la posizione da una perfettamente supina, tirandosi un po' su con la schiena, strisciando verso l'alto tra le lenzuola di cotone. Un movimento in apparenza semplice, poco complesso, ma già nel mettersi in quella posizione le vertigini presero il sopravvento, dandogli un'orrenda sensazione di vuoto. Inclinò leggermente il capo all'indietro, gli occhi chiusi, in attesa che la sensazione di vorticare in mezzo al stanza scemasse, lenti respiri profondi ad accompagnarlo.

Un lungo sospiro, a segnalare il suo sentirsi nuovamente sicuro, ed ecco che provò ad addrizzarsi meglio, sistemando le coperte sul ventre. «Ok. Bene. Piccola pausa, adesso. » Anche la voce gli uscì incerta, roca, com'era tipico di chi era rimasto in silenzio tanto a lungo, ma la cosa non lo crucciava particolarmente. Era ben conscio del fatto che il suo corpo avesse bisogno dei suoi tempi, per poter riprendere a carburare a pieno regime. Doveva avere pazienza, solo quella e...

Notò gli occhiali, al suo fianco, nel letto. Evidentemente qualcuno glieli aveva lasciati sul petto, per poi esser scivolati quando si era rimesso su, un minimo seduto. Avevano una montatura sottile, color argento, a sostenere grandi lenti tonde. Quando se li inforcò sul viso, sospirò rasserenato: ora che vedeva perfettamente, sentiva il suo indicatore di carica salire di un paio di tacchette.

« Jōi, mi senti? Ti sei nascosta, per caso? » Volse lo sguardo per la stanza, speranzoso quasi di vedere la familiare figura del pupazzo vestito da infermiera, ma il sorriso neo nascituro si spense sulle labbra, constatando amaramente di esser solo. Non c'era nulla di suo, lì dentro. Chissà dov'era finita, la sua amata bambola di pezza munita di grembiule e cuffietta medica?

Avrebbe potuto evocarla, se ci fosse riuscito... E fu così che notò che anche l'altro braccio era fasciato, bello stretto, tra l'altro e che, cosa che non aveva notato all'inizio, avevano vergate, entrambi sulle bende, intricati sigilli. Certo, non ci capiva una fava di arti mediche, ma probabilmente servivano per curare la misteriosa causa per cui era chiuso lì, no? Jōi senz'altro avrebbe potuto risolvere per lui quest'enigma: dopotutto, racchiudeva al suo interno l'anima di suo padre e se non le sapeva lui, queste cose, che era un medico, chi altro poteva conoscerle?

Si morse il labbro, in modo tale da ottenere un piccolo taglietto da cui far uscire un'esigua quantità di sangue, lo stretto necessario per poter effettuare l'evocazione. Compose i sigilli e... Niente. Riprovò nuovamente e, come prima, sentì l'energia defluire, venir assorbita e nullificata. Si guardò le braccia, indispettito: che la causa fosse dovuta proprio a quei sigilli?

« Che pizza! » Borbottò, sbuffando e cadendo pesantemente tra i cuscini, incrociando le braccia al petto. La cosa gli dava un certo fastidio e, dalla sua espressione, era quasi lapalissiano. Dopotutto, si trattava pur sempre di un bambino e i bambini, si sa, per certe emozioni sono libri aperti, tanto facili da saper decifrare.

Le dita della mancina tamburellarono sul braccio destro, mentre i piedi si muovevano facendo perno sui talloni, da sotto le coperte. Perché quei sigilli si comportavano a quella maniera? Perché ce li aveva? Chi glieli aveva messi? Tante domande lo assillarono e solo una persona poteva dargli risposta: la donna che aveva visto, quando si era svegliato la prima volta.

Grugnì, indispettito. Non se la sentiva, per il momento, di alzarsi, avrebbe aspettato ancora un po', ma... Se non usciva da quella stanza si sarebbe messo ad urlare. « Uffa! » Pronunciò ad alta voce, distendendo di scatto le braccia e facendole ricadere di fianco. Doveva trovare assolutamente qualcosa da fare... Si guardò circospetto intorno, ma tanto era da solo, quindi... Avvicinò le mani tra loro, i palmi aperti tesi l'uno di fronte all'altro. Fece avvicinare tra loro i due indici e un piccolo bagliore lattescente illuminò tenuamente i polpastrelli. Lentamente li allontanò e, ad unirli, un sottile filo lattescente, fiocamente illuminato. Sorrise trionfale il piccolo, convinto di poter riuscire a lavorare qualche giro di maglia, ma non appena inforcò tra le dita le prime maglie avviate, i sigilli si attivarono, assorbendo al loro interno quegli esigui filamenti di chakra. Gli occhi spalancati, il bambino osservò a bocca aperta il suo lavoro andare letteralmente in fumo. Iniziò a dimenarsi, arrabbiato, sbattendo i pugni e tirando calci, per poi togliere un cuscino e lanciarlo contro la porta. Solo che, adesso, era di nuovo perfettamente supino. Digrignando i denti, volse lo sguardo verso il morbido guanciale. « Kuso... »

[...]



Il bambino si guardò intorno con aria titubante, fin troppo simile ad un cerbiatto timoroso di allontanarsi dalle zampe di sua madre, per esplorare quella vastità sconosciuta del mondo che lo circondava. Sabaku no Yumi l'aveva da sempre intimorito, da quando era giunto lì ad Oto: i suoi modi, i suoi gesti tanto eleganti, così come la sua fisionomia, gli ricordavano terribilmente sua madre, e se la sua genitrice era stata in grado di nascondere la natura mostruosa che possedeva, cosa impediva lei di fare altrettanto?

Annuì remissivo, sedendosi rapido alla sedia che la donna gli aveva indicato, rimanendo seduto in silenzio, per qualche istante, lo sguardo fisso sui piedi nudi che penzolavano a pochi millimetri dal pavimento. « Ecco... Io... » Pronunciò fiocamente, incurvandosi su se stesso e sbirciando in direzione dell'occhio di sabbia. "Ok. Ok. Calma. Lei non è la mamma. Lei non è come la mamma. Non mi farà del male..."

Deglutendo, cercando di farsi coraggio, allungò verso di lei le braccia fasciate. « P-perché ho queste? Mi impediscono di lavorare a maglia e non mi permettono di richiamare Jōi... P-perché non volete che faccia i miei pupazzi? Ho... Ho forse fatto qualcosa di sbagliato? » Domandò con la voce roca, gli occhi lucidi di chi sta per scoppiare a piangere.
 
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view post Posted on 4/4/2022, 10:10     +1   +1   -1
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"No, Hanna-san. Non hai fatto nulla. Non sei qui per colpa tua."

Commentò, nel tono più rassicurante che le riuscì di ottenere. Forse aveva esagerato. Forse aveva dimenticato di avere di fronte a sé un bambino. Incredibile che esistessero ancora, nonostante tutto ciò che il mondo aveva passato. Incredibile che ormai lei stessa faticasse a riconoscerli.
Quale che fosse lo stato di cose, il mondo faceva del suo meglio per togliere di mezzo quelli superstiti. Quella situazione ne era la prova lampante, e lei non poteva fare che il suo dovere.


"Ieri notte, mentre dormivi, hai iniziato a stare male. Il tuo corpo ha iniziato a produrre un chakra oscuro, malato. Non fosse stato per l'allarme repentino di uno shinobi di passaggio, forse ora non potremmo avere questa conversazione."

Che alternativa aveva al trasmettergli quelle informazioni? Chi poteva ascoltarle, se non lui? Il ragazzino era orfano di entrambi i genitori, come fin troppi prima di lui, era solo... ma soprattutto era uno shinobi. Era necessario che sapesse, che capisse.
Di nuovo, Yumi abbandonò ogni pretesa di fare da madre, tornando al medico militare che era sempre stata.


"A questo si devono le bende. Sul momento, quando mi hanno informato delle tue condizioni, ho pensato ad una conseguenza inedita del Morbo... ma ora..."

Allungò una mano sotto la scrivania, improvvisamente producendo una fotografia. Il gesto fu improvviso, quasi irruento, manifestamente atto allo scopo di prendere Hanna di sorpresa.
Nell'immagine, chiaro, il volto di Hiroki per come lui lo ricordava.


"Hiroki-oniisan.

Avevi stretto un rapporto con Hiroki Hyuga, non è così, Hanna-san? Era a lui che ti riferivi nel sonno, vero? Sai cosa gli è successo?"


La donna non gli riservò alcuna pietà. Lo bersagliò con quelle domande, continuando ad osservarlo attentamente attraverso l'occhio. Ne avrebbe osservato la reazione al vedere il volto di Hiroki, al sentirsi domandare del loro rapporto, di ciò che aveva visto... senza muovere un muscolo, senza proferire ulteriore parola di conforto.
Un test.


GDROFF///Non esplodi di chakra oscuro. Per il resto, la reazione la lascio interamente a te XD///GDRON
 
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« No, Hanna-san. Non hai fatto nulla. Non sei qui per colpa tua. » Pronunciò la donna col tono più rassicurante possibile. Hanna tirò sul col naso, abbassando le braccia tese e portandosele al ventre, incrociate, le dita ad accarezzare titubante quel bendaggio stretto. Nonostante le parole pronunciate dalla donna, volte a spiegare quanto gli era successo, al bambino apparivano completamente aliene, come se stesse raccontando di avvenimenti a lui completamente estranei. Non ricordava affatto di essersi sentito male ne, tanto meno, di aver avuto a che fare con del chakra oscuro. Da che ne avesse memoria, il suo lo ricordava sempre chiaro, opalescente, quando si manifestava sotto forma di filamenti.

« Chakra oscuro? Il mio chakra è sempre stato opalescente... Non capisco...» Dichiarò a voce quella sua perplessità, abbassando lo sguardo nuovamente sulle mani, cercando, come aveva fatto in precedenza nella sua stanza, di estrarre quanti più filamenti possibili, prima che i sigilli vergati sulle bende li assorbissero. Ne fece un piccolo gomitolo, fluttuante tra i palmi, che rapido mostrò al medico, quasi trionfante. « Vede, Yumi-sama? Il mio chakra non è oscuro! » Pronunciò entusiasta, per poi sospirare tristemente quando vide i sigilli attivarsi e far sparire quella piccola matassa fuligginosa. Troppo concentrato com'era, non si accorse che la donna aveva iniziato a frugare tra le sue cose e sobbalzò, irrigidendosi tutto, sulla seduta, quando la donna sbatté con irruenza la mano sulla scrivania.

Trasalì, tanto rigido che la seduta della sedia scricchiolò dietro la sua schiena, gli occhi vitrei che schizzavano da una parte all'altra della stanza, in cerca di una via di fuga. « Hiroki-oniisan. » Sentire pronunciare il nome dello Hyuga lo ammutolì, costringendolo a trattenere il fiato. Forse era una coincidenza, non poteva essere proprio di lui, che la donna stava parlando... Dopotutto, Hiroki era un nome così comune e, da quel che sapeva, lì ad Oto quel particolare Hyuga si faceva chiamare con ben altro nome e...

Gli bastò un occhiata alla scrivania, sulla foto raffigurante proprio Onigami, Hiroki Hyuga, per capire di essere nei guai, ma... Quel che la donna diceva non aveva il minimo senso. Lui doveva saperne qualcosa? Seriamente?

Uno sbuffo infastidito gli uscì dalle labbra, segno evidente del suo fastidio. « Perché queste domande? Dopotutto, lei è un pezzo grosso del villaggio, dovrebbe sapere benissimo queste cose, anzi, forse addirittura meglio di me, che sono solo un bambino... Era questo che mi dicevano, quando chiedevo di Onigami, di che fine avesse fatto, dopo la nostra prima missione svolta insieme. » Incrociò le braccia al petto, iniziando a pronunciare, con voce maggiormente stridula. « Sei solo un bambino, queste cose non ti interessano... Se conosce il suo vero nome, Yumi-sama, di sicuro saprà anche che fine ha fatto. O mi vuole far credere che, davvero, pensa che io, un bambino, a cui i lacchè di Saito-domo non hanno voluto dir nulla, su che fine abbia fatto, ne sappia qualcosa di più.»

Si alzò in piedi, sulla sedia, per poi scendere con un saltello, indispettito, facendo così rovesciare la sedia per terra. Riversa su un fianco, sembrava un cetaceo arenatosi sulla battigia. « Fosse dipeso da me, l'avrei cercato immediatamente, fin dai primi giorni in cui non si avevano sue notizie, ma no... Nessuno voleva darmi retta, perché sono solo un bambino. Poi è sparita pure Keigai e nessuno che mi dava ancora notizie. Poi hanno attaccato il villaggio e ancora niente, mi hanno trascinato via come un sacco di patate, specialmente quando ho cercato di intrufolarmi nei laboratori sotterranei... E io non ne so nulla! IO. Come è possibile che LEI non ne sappia nulla, di quel che gli è successo. Mi prende in giro? E toglietemi queste bende maledette!» Imprecò, cercando di togliersi di dosso il bendaggio, provando a strapparlo a suon di denti ed unghie.
 
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Ospedale di Otogakure no Sato, 13 ottobre 252 DN, ore 2.50


La donna rimase in completo silenzio, ascoltando lo sfogo di Hanna senza che l'espressione mutasse di una virgola. Così, una maschera inflessibile, Yumi guardò il ragazzino agitarsi, salire sulla sedia, rovesciarla e poi aggredire le proprie bende. Soltanto allora, improvvisamente, intervenne: la figura rimase perfettamente immobile, ma la sabbia non lo fece, muovendosi rapida per bloccare le mani e il collo del giovane shinobi.

"Solo un bambino."

Commentò, la voce fredda non più di prima, quieta, ma sufficientemente ferma da imporsi sull'eco che ancora animava la stanza.

"Chi ti ha chiamato a questo modo era chiaramente disinformato. Hai smesso di essere un bambino nel momento in cui hai indossato il coprifronte del Suono, Hanna-san. Ora sei uno shinobi di Otogakure, nient'altro.

Comportati come tale."


La sabbia manteneva una presa inespugnabile, stringendo non fino al dolore, ma impedendo qualsiasi forma di movimento alla porzione superiore del corpo. Così, circondato dal quieto levitare dei granelli, il giovane ninja non poté che sottostare all'imposizione della gelida kunoichi: solo quando ebbe recuperato la calma, o almeno una parvenza di essa, Yumi ruppe lo stallo. La sabbia iniziò a scivolare sotto le bende, una ad una recidendole e distaccandole dalla pelle, che ancora umida incontrò il contatto pungente del freddo. Allora, liberato dalla fasciatura, Hanna venne rilasciato anche dalla sabbia, che si mosse verso un angolo della stanza per fornirgli una seconda copertura, un mantello per tenersi al caldo.


"Ora.
Dopo la ripresa del Suono da parte di Hideyoshi-sama, Hiroki ritornò a Konoha. Ciò avvenne sia per sua volontà, sia perché il Kokage ritenne di dover così compensare la partecipazione di Konoha nell'operazione. Cosa avvenne successivamente, quello che la Foglia fece al tuo compagno, è largamente oggetto di speculazione.
Sappiamo che venne trattenuto per diversi mesi nell'ospedale del villaggio, prima di essere trasferito in un secondo luogo, fuori dalle mura. La ragione del primo ricovero si dovette alle condizioni in cui tornò a Konoha, questo è certo... ma quella del secondo è meno chiara. Forse fu lo stesso Hiroki a chiederlo, per via del peggiorare delle proprie condizioni, forse fu la Foglia ad imporlo, o forse si trattò di un tentativo di guarirlo dallo stato in cui lo avevano costretto gli esperimenti di Tashigama... quale che sia la verità, Hiroki è morto non molto tempo dopo questo secondo trasferimento, nell'autunno del 248."


Una pausa, sufficientemente lunga da consentirle di allungare le mani una seconda volta sotto la scrivania. Ad emergere, questa volta, un fascicolo.

"Di questo siamo certi, avendone ricevuto conferma tanto da una fonte interna quanto da un successivo sopralluogo. Le cause possiamo immaginarle, ma ciò che ha suscitato interesse sono le circostanze immediatamente successive."

Lo aprì, rivelando una pagina sulla quale erano state appuntate due fotografie. Il giovane genin, anche considerata la situazione in cui si trovava, non avrebbe impiegato molto a capire che stava osservando la stessa scena, ma in due momenti differenti. Una tomba, solitaria, all'ombra di un salice contorto. La terra leggermente smossa, umida, la lapide chiara.
In una foto, un sole leggermente più intenso che nell'altra.


"Hiroki Hyuga, ninja"

"Anami Hyuga, ninja"

Due nomi per lo stesso sepolcro, l'uno sostituito all'altro.

"Hiroki non ha ricevuto alcun tipo di onore militare, ed è stato seppellito in un punto anonimo, non molto distante dal luogo del suo secondo ricovero. Non incomprensibile, considerando che si trattava di un ex-nukenin... tuttavia, appena tre mesi dopo, qualcuno ha ritenuto di dover cancellare anche la sua identità.
E non solo."


Voltò pagina, presentando agli occhi di Hanna un'ultima foto. Lo stesso sepolcro, profanato.

"Il corpo è stato sottratto. Portato dove, per quale scopo, non siamo stati in grado di scoprirlo."

Terminò, concedendo al ragazzo un lungo, meritato momento di silenzio. Dal nulla, dopo quella premessa, la donna lo aveva bombardato di informazioni. Anche questo, senza dubbio, era un test di qualche sorta, mirato non a provocare una reazione violenta da parte del chakra del ragazzo, ma, forse, della sua mente.
Chiuse il fascicolo, con forza sufficiente da mandare in mille pezzi quell'istante.


"Il suo ricordo, nonostante tutto, vive ancora. Il Suono ha sopportato molte pene in questi anni, troppe perché la scomparsa di Hiroki Hyuga possa suscitare una reazione, spronare alla ricerca. Il ninja è stato restituito a Konoha, e così il suo destino.
Ma a te sta a cuore, nonostante tutto. Sei l'ultima persona a conservarne la memoria, Hanna-san.

Usala."


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Otogakure no Sato, 13 ottobre 252 DN, ore 5.50


Mattina, una come tante.
La casa era silenziosa, ancora vinta dal torpore della notte. Sveglio, Hanna si sarebbe ritrovato nel proprio letto, come nulla fosse accaduto. Come vi fosse tornato, come fosse terminato lo scambio con Yumi, un mistero.
Ma era avvenuto. Era stato davvero in quella stanza senza uscite, in quel corridoio che portava solo allo studio della donna. Hanna ne ricevette conferma non appena levatosi, trovando, a poca distanza, le tre foto che Yumi gli aveva mostrato.


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Era sempre stato un bambino troppo impulsivo, quando si trattava di tenere a bada le emozioni, tendendo sempre ad ampliarle, esacerbarle all'inverosimile, perché non in grado di saperle elaborare in maniera razionale. Con i genitori che si era ritrovato, era sempre stato costretto a mantenersi pacato, ad immagazzinare tutto e lasciar soffocare, per evitare di rendere la sua presenza troppo in vista. Quando, poi, aveva trovato rifugio ad Oto e aveva conosciuto Hiroki, bhe... Lo aveva visto così spavaldo ed esuberante nei modi, diretto. Una presenza, la sua, che di certo non poteva passare inosservata, sia per stazza che per modi di fare. Ingenuamente, come solo un bambino privo di punti di riferimento sa essere, Hanna aveva supposto che quello, per lui, fosse il modo migliore di agire, ma... No, anche quello era sbagliato.

Come doveva comportarsi, allora, di grazia? Certo, aveva ottenuto il copri fronte recante l'effige di Oto come pura formalità dato che, all'epoca, Yo Saito era rimasto interessato dal suo modo di modellare pupazzi, ma quando ne perse interesse, nessuno piú era stato in grado di prenderlo sul serio. Anche tra i ninja piú giovani, che soggiornavano, come lui, in orfanotrofio, non riceveva grande considerazione: era il piú piccolo, sia per etá che per statura, deriso costantemente perché Gioca ancora con le bambole! A chi vuoi che faccia male, un bambolotto di peluche! Oh, ma che paura che fa!

Perciò, trovarsi ora di fronte ad una persona che lo stava considerando non più come un bambino, ma come un vero e proprio adulto, conscio e responsabile delle sue azioni, lo lasciò completamente spiazzato. Stretto dalla morsa ferrea della sabbia, Hanna non poté fare a meno di trattenere il respiro, mordendosi il labbro inferiore, teso come una corda di violino, completamente irrigidito. « Gomennasai. » Chinò il capo, mortificato, gli occhi chiusi ed umidi di lacrime. Sentiva di avere un disperato bisogno di trovare una sua ragion d’essere, ma non era ancora in grado di definire appieno tale necessità.

Tremò quando percepì le bende scivolargli via di dosso, quasi temesse una nuova punizione per quel suo comportamento, ma il caldo abbraccio della sabbia, non più atto a bloccarlo, ma a scaldarlo, lo fecero sentire ancor più piccolo e miserabile. Ci mise qualche secondo per cogliere appieno ciò che la donna gli stava dicendo, ma quando comprese non poté fare a meno di spalancare gli occhi, sorpreso. Finalmente stava ricevendo risposte sulla scomparsa del suo “fratellone”.

Tirò nuovamente su la sedia, sedendosi composto. Si sistemò con cura gli occhiali e ascoltò attento quanto era avvenuto allo Hyuga negli ultimi anni. Quando gli riferì della sua morte, il cuore di Hanna perse un battito. Il nome Tashigama non gli era nuovo, anzi: aveva avuto modo di osservarlo, quando aveva cercato invano notizie di Hiroki e, forse, era stato un bene che lo scienziato non avesse avuto idea delle sue abilità. Inevitabilmente nella sua mente si ridisegnò l’ultima immagine che aveva dello Hyuga, e non risaliva a quando si erano conosciuti, ma al mostro che aveva visto in sogno: cosa gli aveva fatto, quell’uomo, per ridurlo in quello stato?

Hanna si morse la punta del pollice, quasi a voler scacciare la rabbia: se solo si fosse impuntato maggiormente, magari lo avrebbe potuto salvare? Ormai non aveva importanza, ma c’era ancora dell’altro su cui tener conto, e quando la manipolatrice di sabbia completò il quadro di quanto era avvenuto intorno alla figura di Hiroki, il piccolo si sentì dannatamente confuso, infastidito quasi. Dopo tutto quello che aveva subito, nei suoi ultimi istanti di vita, si era ritrovato a subire anche questo, dopo la morte? Si guardò il piccolo pugno, stretto tanto da far sbiancare le nocche e…

…Nella mano stringeva il lembo della sua coperta: avrebbe riconosciuto all’istante il tessuto dozzinale che veniva utilizzato in orfanotrofio. Avendo avuto il privilegio di esser stato scelto come ninja di Oto, aveva avuto una stanza tutta per sè, in cui poter conservare tranquillamente l’equipaggiamento e l’attrezzatura ninja. Certo, la regola della struttura voleva che in ogni stanza ci fosse almeno una coppia di giovani shinobi, ma nessuno aveva voluto condividere la stanza con lui e, tutto sommato, per Hanna andava bene anche così: aveva tutto lo spazio utile dove poter conservare le sue stoffe, i suoi gomitoli e le macchine da cucire…

Si guardò intorno, spaesato, notando come, stranamente, indossasse il suo pigiama e si trovasse nella sua stanza, a dormire nel suo letto. Era stato tutto un sogno? «Jōi, prepara le tue cose! Dobbiamo partire!» Chiamò a gran voce, scostando le coperte e scendendo di slancio dal letto. Immediato arrivò in risposta uno scalpiccio morbido e leggero, seguito a ruota dal rumore di qualcosa che veniva trascinato via: da sotto il letto sbucò una bambola di pezza alta la metà di lui la quale, ancora china, aveva iniziato a trascinare via una piccola valigetta del pronto soccorso.

Il pupazzo di stoffa, sistematosi meglio un grosso paio di occhiali tondi, simili a quelli indossati da Hanna, si aggiustò la sua uniforme da infermiera per poi, con fare sapiente, aprire la valigia ed iniziare a selezionare materiale da infilarsi in tasca: bende, siringhe e boccette piene di liquidi diversi sparirono nell’enorme tasca che portava sul davanti del suo vestitino di lino chiaro. Anche Hanna iniziò a prepararsi: recuperati i suoi occhiali, rimasti sul comodino di fianco al letto, si vestì in fretta, sperando di arrivare ai bagni comuni prima che gli altri bambini si potessero svegliare. E fu allora che il suo sguardo cadde sulla sua scrivania: tra la macchina da cucire, i puntaspilli e le bobine di filo, quasi si fossero fatte spazio tra la baraonda che c’era li sopra, tre foto, le stesse che Sabaku no Yuki gli aveva mostrato. Le raccolse, perdendo qualche istante ad osservarle, soffermandosi sulla lapide su cui, la prima volta, era stato inciso il nome del suo amico.

Se morirò, e faccio corna, ti vieto assolutamente di trasformarmi in un pupazzo. A meno che non sia un drago gigante. In tal caso potrei farci un pensierino. E passa domani da casa mia per il regalo!! Beh, di certo, ormai, non correva più quel rischio: essendo morto ormai da tempo, gli sarebbero stato impossibile recuperare la sua anima e cucirla, ma… La sola idea che a essere profanato la sua tomba, dapprima privandola del nome e poi del corpo, erano una mancanza di rispetto, nei suoi riguardi, che non riusciva proprio a tollerare.

L’infermiera Jōi gli diede una leggera pacca sul braccio, a voler richiamare la sua attenzione: quando lo sguardo ceruleo del piccolo si posò su di lei, la bambola di pezza iniziò a gesticolare. Lei era stato il primo balocco che aveva creato e, come tale, non le aveva mai costruito un impianto fonico. Pertanto, l’unico modo che aveva per comunicare era usare il linguaggio dei segni. Dove siamo diretti? «Konoha. Dobbiamo capire cosa è successo ad Hiroki-oniisan e…» Lo sguardo si soffermò dapprima sulla macchina da cucire, poi su quell’anta del suo armadio che, da tempo ormai, teneva chiusa, dove custodiva gelosamente una delle sue ultime creazioni. «Si. Forse questo gli potrebbe piacere… »
 
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In viaggio, 13 ottobre 252 DN


A Konoha, allora.
Si, ma dov'era Konoha? Nell'irruenza del momento, animato da un sentimento che, se non si poteva definire di speranza, senz'altro lo era di incoraggiamento, Hanna lasciò l'orfanotrofio diretto alle porte meridionali del Suono. Ad accompagnarlo, oltre Jōi, le foto che aveva ritrovato sulla scrivania. Da sole, tuttavia, queste non sarebbero riuscite a rivelargli il luogo in cui era stato sepolto Hiroki. Né, purtroppo, il luogo in cui esattamente si trovava la Foglia.
Grande che fosse, il Villaggio Nascosto della Foglia rimaneva, beh, nascosto. Non era insolito per avventori avvicinarsi all'abitato, ma se lo facevano avevano una buona ragione, sapevano dove si trovasse e, soprattutto, erano perennemente sotto l'occhio vigile della polizia di Konoha. Nonostante la ritrovata fiducia in sé, nonostante il coprifronte, Hanna rimaneva un bambino, e il suo scopo, benché ancora non precisato, riguardava potenzialmente segreti che la Foglia poteva non avere interesse a divulgare.
Dalla sua, il chunin aveva la consapevolezza che il corpo fosse stato trafugato dopo un anonimo funerale, segno che, con ogni probabilità, Konoha si era disinteressata del destino di Hiroki. Questo però poteva solo rendere più difficoltoso un ritrovamento.
Che simili pensieri gli fossero saltati in testa o meno, la strada l'avrebbe condotto docilmente verso il confine con il Fuoco. La frontiera meridionale del Suono era sempre stata confusionaria, labile, rimessa all'equilibrio del momento e all'interprete. Ciò si doveva al Suono stesso, senz'altro, e alla sua storia travagliata... ma l'enorme foresta non aiutava. Non esisteva un confine naturale, non entro il verde, e così un Paese finiva col ritrovarsi nell'altro, un po' come fece Hanna, che improvvisamente era nel Paese del Fuoco.
Conoscendo in linea di massima la posizione della propria destinazione, il viaggio del giovane shinobi lo avrebbe condotto a sud finché orientamento e luce consentirono. All'incombere del tramonto, tuttavia, la penombra della foresta gli si rivoltò contro, presentandogli una muraglia di fronde invalicabile, ed un bivio che non conduceva a sud in nessuna delle due alternative. Una strada portava ad est, una ad ovest, entrambe in apparenza identiche.
Come si sarebbe mosso Hanna? In base a quali informazioni?
 
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In viaggio verso Konoha
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13 ottobre 252 DN


Partito con le più buone intenzioni, il piccolo Hanna, insieme alla sua inseparabile bambola infermiera, aveva lasciato l'orfanotrofio, con tutta l'intenzione di raggiungere Konoha e fare luce sul mistero della sparizione della salma del caro Hyuga. Il piccolo balocco di pezza si era riempito le tasche del suo grembiule con pozioni e tonici di tutti i tipi, dai più rinvigorenti a quelli più letali. Erano preparazioni base che lei stessa era solita produrre. Ovviamente il merito andava conferito all'anima che vi era legata all'interno: il padre di Hanna, il dottor Han Nibaru-Rekutā, risiedeva ormai da anni nel corpo del balocco. Peccato solo che, essendo quello il primo "trapianto d'anima" mai effettuato dal piccolo, non aveva piena coscienza della sua attuale condizione: del defunto medico di Suna la bambola condivideva esclusivamente le conoscenze mediche; della sua memoria pregressa e personalità non vi era alcuna traccia. Forse un bene, tutto sommato.

Di diverso tipo era invece l'equipaggiamento preso dal piccolo pel di carota. Come arma portava un banalissimo taglierino, di quelli che solitamente si usa per intagliare il legno. Non un'arma così micidiale, ma era da ben altro che bisognava guardarsi, con lui. Sulla felpa dalle maniche larghe, aveva fissato un crisso giustacuore da lui stesso realizzato: in cuoio, era ben più lungo dei modelli classici, coprendogli buona parte dell'addome, su cui erano fissate tasche e cinghie utili dove poter infilare e tenere a portata di mano dei piccoli rotoli di evocazione. Nella tasca aveva quelle che si sarebbe potuto supporre essere delle banalissime carte da gioco, mentre nei rotoli custodiva balocchi di ogni genere e foggia, tra cui il misterioso pupazzo che aveva appositamente realizzato per Hiroki. Certo, lo Hyuga non avrebbe mai potuto vederlo, ma per Hanna rappresentava quasi un obbligo morale, farglielo vedere almeno sulla sua tomba. Dopo aver ovviamente ritrovato il suo corpo, si intende.

E così si avviarono, di gran carriera, carichi di buoni propositi ed aspettative: superarono i confini di Oto, poi del Paese del Suono e, senza nemmeno accorgersene, ecco giunti nel Paese del Fuoco, a far da guida una vecchia mappa che, a stento, indicava i confini dei vari paesi, in perenne mutamento a causa degli ultimi eventi geopolitici. Ora, però, era sopraggiunto un gran bel problema: come avrebbero fatto a raggiungere Konoha se, in vita sua, Hanna non ci aveva mai messo piede?

«Tu che ne dici, Joī, dove potrebbe mai trovarsi, sto famigerato Konohagakure no Sato?» Domandò il piccolo, guardandosi intorno, mappa in mano, nel tentativo di orientarsi. Sopraggiunti ad un bivio le cui diramazioni apparivano identiche, il bambino aveva optato per fare una sosta, in modo tale da capirci qualcosa. Anche la bambola che lo accompagnava, come lui, appariva abbastanza disorientata, mentre sistemava i grossi occhiali sul viso di pezza. ”Non saprei… Se si chiama Villaggio Nascosto della Foglia, probabilmente è nascosto… Magari occultato da una foresta….” Gesticolò la bambola, usando il linguaggio dei segni.

Hanna non poté fare a meno di sospirare, quasi rassegnato, ripiegando con cura la mappa che ripose in una delle sue tasche, da cui tirò fuori un piccolo quadratino di stoffa, con cui si prodigò di pulirsi con cura gli occhiali. «Bhe, Joī, è abbastanza scontata, come cosa, ma di certo non è un dettaglio che può aiutarci….» E, così dicendo, spalancò le braccia, quasi a voler dare spazio all’ovvio: lì erano circondati dalla vegetazione, nel pieno di una foresta. Trovare Konoha lì sarebbe stato come trovare un ago in un pagliaio, almeno basandosi solo su quell’elemento caratteristico. «Ora che ci penso, però…» Borbottò, inforcando gli occhiali dalle lenti tonde. «Non era Konoha ad avere quella strana montagna su cui erano soliti scolpire i volti di tutti gli Hokage che hanno mai avuto? Che poi, quanto grandi saranno scolpite, ste facce da buzzurri…. Mica possono essere tanto grandi, no? Cioè, sai che roba se le facessero E N O R M I… Quante facce potrebbero entrarci, sul versante di una montagna? » Si domandò incuriosito, ottenendo come risposta dalla sua compagna una teatrale alzata di spalle.

«Beh, dobbiamo sperare che quella loro fantomatica montagna dei kage sia bella grande…. Sarebbe una grossa delusione se poi scoprissi che, in realtà, si tratta di un grosso masso su cui c’è inciso un banale basso rilievo di tizi morti…» Sentenziò, facendo cenno alla bambola di salirgli in spalla. Obbediente, il balocco si fissò al giustacuore con alcune apposite cinghie, un sistema perfettamente collaudato per permettere il trasporto in spalla, senza correre il rischio di perdersela per strada… o per aria. Assicuratosi quindi che Joī fosse ben fissata, Hanna avvicinò i piedi l’uno all’altro, un piccolo colpo di talloni ed ecco che le massicce suole dei suoi scarponi si aprirono, emettendo, grazie ad un sofisticato sistema di lastre sensibili al chakra, getti d’aria compatta, che assumevano, sotto i suoi piedi, la forma di piccole nuvolette paffute. E così, letteralmente saltellando per aria, Hanna si portò ben oltre le fronde degli alberi, sperando, magari, di poter scorgere, da quell’altezza, l’utile punto di riferimento rappresentato dal famigerato monte dei kage.


CITAZIONE
Dato che l’utilizzo è per mero scopo narrativo, utilizzo la seguente tecnica personale. È stata convalidata a livello narrativo, ma è ancora in attesa di ricevere convalida da parte dei meccanici. Nel caso non fosse possibile utilizzarla in tal senso, mi prodigherò a modificare il post.


Azione - 靴 - Kutsu ◄ Scarpe ► (Limite: 1) [CHK+STM: -6] {Mantenimento: -1 CHK e STM}
Requisiti: Heiki (5)
Tratti: Supporto

“Oltre ad essere in grado di realizzare giocattoli, Hanna ha imparato a realizzare congegni molto più complessi e tecnologici. Uno di questi sono un paio di scarpe speciali che, grazie a delle piastre realizzate con un materiale sensibile al chakra, gli permettono di attivare dei getti d’aria che gli permettono di volare e galleggiare a mezz’aria.”

Effetti:
~ Queste scarpe permettono ad Hanna di Volare.
 
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Hi no Kuni, 13 ottobre 252 DN, ore 18.30


Il Paese del Fuoco, così lo chiamavano. Bastò ad Hanna salire di qualche metro per capire a cosa si riferissero davvero.
Le fronde degli alberi gli avevano presentato una barriera insuperabile, ostruendo il passaggio della luce ormai calata oltre il loro profilo, mascherando l'effettivo splendore che si nascondeva appena oltre. Ogni foglia qui, ogni fronda, prendeva fuoco come fosse fatta di bronzo: il sole all'orizzonte era ancora forte, troppo forte da poter essere guardato direttamente, e chiunque ne bevesse la luce la rifletteva quasi alla medesima intensità.
Che Hanna potesse o meno apprezzare quella meraviglia, di certo sarebbe rimasto lievemente disorientato, almeno in principio. Superato l'abbaglio, il giovane avrebbe potuto realizzare l'opportunità della propria idea, dato che finalmente la foresta guadagnò una coerenza, una prospettiva che ne limitasse i confini. Era immensa, certo, un oceano di fuoco... ma all'orizzonte apparivano delle montagne, dei rilievi più o meno grandi, meno recettivi della luce del sole. Quale fosse il proprio, quale avesse la forma di cinque volti, difficile dire. Almeno da principio.
Ma Hanna non ebbe altro che questo.


"TI AVEVO DETTO DI LASCIARMI STARE!"



Una voce alle sue spalle, sotto di lui, intorno a lui. Il riflesso sugli occhiali di Hanna scomparve, prosciugato da un'aurora terrificante. Gelida, fradicia, maleodorante: una marea nera montante dall'orizzonte.
Allora si sentì trarre verso il basso, sprofondare, mentre il fango gli inondava bocca e naso, annegandolo. Una stretta attorno al collo, spietata, inesorabile. Due occhi vacui, privi di pupilla, animati da una rabbia senza fine. Il suo ruggito era quello delle mosche, rosse come il sangue; un ronzio assordante attorno a loro.
Giunsero sul fondale, vinti dalla corrente, di nuovo, come la prima volta, adagiati l'uno accanto all'altro. Il ronzio tornò a quietarsi, ma mai del tutto.


"Torna a casa Hanna. Torna a casa e vivi la tua vita."



As590ZK



Hi no Kuni, 13 ottobre 252 DN, ore 5.30


Si risvegliò, di nuovo, nel totale disorientamento. La testa doleva come se a metterlo fuori gioco fosse stata una randellata, ma anche il resto del corpo non scherzava. Quello che tuttavia l'avrebbe sorpreso, riguadagnando coscienza, sarebbe stato il forte peso sul petto e in gola. Nell'intento di rilasciarlo, di respirare, Hanna tossì fuori una grande quantità d'acqua.
L'impulso lo forzò ad aprire gli occhi, annebbiati dalla confusione e dall'assenza degli occhiali, per distinguere vagamente un rossore alla sua destra, nella penombra generale. Non appena il torso si fu levato di qualche centimetro, tuttavia, un contatto estraneo lo forzò nuovamente sul giaciglio.


"UOUOUO ragazzino, calma. Emmadò..."

La voce roca di un anziano, flebile e ruvida al tempo stesso, esattamente come il suo tocco. Nel riceverlo, il chunin capì di essere a torso nudo, la pelle madida del proprio sudore.

"Calmati. Stai bene, va tutto bene.
Credo.
Dove cavolo ti sei andato a infilare? No lascia perdere, non rispondere."


Difficile predire quale sarebbe stata la reazione del ragazzo a questo ennesimo, delirante risveglio. Certo era che si sarebbe ritrovato fortemente indebolito, quasi che questo secondo contatto con Hiroki, o ciò che di Hiroki gli appariva, lo avesse provato molto più di prima.
E in tutto questo, Joī dov'era? Possibile che non l'avesse difeso da quel vecchio? Da Hiroki?


"Riprenditi un attimo. Ti porto lo stufato di ieri se lo vuoi, poi. Così mi dici che cavolo ci facevi in quel pantano.
Io sono Ikemoto, comunque. Vabbè, me lo dici dopo. Mo ritorno."


Disse, prima di alzarsi e camminare fuori dalla stanza ad un passo irregolare.
Li avesse cercati, Hanna avrebbe trovato i propri occhiali su un tavolino poco distante dal letto. Oltre, tra l'odore del legno e quello pungente della cacciagione, quella che pareva in tutto e per tutto una cabina di caccia.


GDROFF///Hanna finirà col risvegliarsi in ogni letto tranne il suo. Libertà d'azione. Se hai domande per il vecchio, se vuoi ti rispondo in off per evitare un giro di sola interazione.///GDRON
 
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Hi no Kuni, Paese del Fuoco
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13 ottobre 252 DN, ore 18:30


Riuscire a districarsi tra le fronde non fu impresa facile: stabilizzare il volo, evitando di rimanere impigliato tra i rami, specie con la zavorra creata dalla presenza di Joī sulle sue spalle, rendendo così la sua figura minuta più ingombrante, gli occuparono diverso tempo e speso non poche energie. Il risultato? Una sconfinata distesa di fronde variopinte le quali, in quel periodo dell’anno, iniziavano a cambiare colore, tingendosi di mille tonalità, tra rosso, giallo e arancio. Con i riflessi del sole al tramonto, quella distesa infinita di latifoglie appariva come una marea fiammeggiante, le cui lingue di fuoco venivano sferzate dal vento. Tonalità intense, con sfumature tali da rimanerne ammaliati: una tale palette di colori sarebbe un’ottima fonte di ispirazione, per realizzare la trama di uno dei suoi tessuti, ma… «Paese del Fuoco, eh? Peccato che lo sia solo da settembre fino a novembre… E poi, come lo chiamano? » Si domandò cinicamente il piccolo, distogliendo l’attenzione da quello scenario ambientale e concentrandosi maggiormente sulla sua meta la quale, al momento, rappresentava ancora un’incognita bella e buona.

Il riverbero del sole lo disorientò sul momento, ma non appena gli occhi chiari si adattarono, non gli fu difficile individuare, oltre quella distesa infinita di alberi, la catena montuosa più vicina: se davvero Konoha sorgeva in prossimità di una montagna, quella, probabilmente, era la direzione migliore da seguire. Non fece in tempo a metabolizzare tale decisione che, dal nulla, una voce rimbombò tutto intorno a lui, oscurandogli la vista, privandolo del tepore di quella giornata autunnale e facendolo piombare in un gelido pantano maleodorante, tale da soffocarlo, distruggendo ogni suo punto di riferimento. Stava ancora volando? Stava precipitando? Stava annegando? Non ne aveva la più pallida idea. L’unica cosa di cui poter esser certo era la presenza al suo fianco, la voce di Hiroki ad intimarli di lasciar perdere. Inutile cercare di rispondere: la voce gli moriva in gola, strozzata da quello che lo stava facendo annegare, fino ad inghiottirlo completamente nelle tenebre.

14 ottobre 252 DN, ore 05:30


Si risvegliò completamente indolenzito, stravolto, completamente disorientato. Rotolò sul fianco destro, cercando di alleviare il senso di oppressione sul petto, mentre forti colpi di tosse gli graffiavano la gola, bruciante. Quando, poi, si sentì toccare, prima ancora di comprendere dove si trovasse, indietreggiò di scatto, strisciando sul giaciglio su cui era stato posto, ansimante come un animale selvatico ferito. E fu con altrettanto sospetto che scrutò, per quello che gli permetteva la vista, il vecchio che lo aveva soccorso. « Cosa… Dove… Dove mi trovo? Che è successo? » Domandò Hanna, la voce che faticava ad uscire in maniera chiara e fluida, rimanendo impigliata nella gola riarsa. Tastò intorno a sé, alla ricerca dei suoi occhiali, chiamando il suo pupazzo, ma…

La voce del vecchio gli arrivò quasi surreale alle orecchie, mentre si inforcava gli occhiali e si guardava intorno: lo aveva trovato immerso in un pantano, non molto lontano dal suo capanno da caccia, dove ora si trovavano. Era un miracolo che fosse ancora vivo, dato che lo aveva trovato a faccia in giù, pensando che fosse certamente annegato. Di Joī, nessuna traccia.

Osservò l’uomo allontanarsi, intento a volergli prendere qualcosa da mangiare, ma in quel momento era l’ultimo dei suoi pensieri, quello di rifocillarsi. Si sedette a gambe incrociate, le membra pesanti, come se fosse ancora immerso in quella fanghiglia, di cui non aveva memoria. Strano… Perché non ricordava affatto di essere caduto in un pantano? Ance cercare di ricordare quanto gli era successo era difficile… Ricordava di aver volato oltre le fronde della foresta, ma poi… “Era davvero la voce di Hiroki, quella che ho sentito? Non ne sono più così sicuro… Faccio fatica addirittura ad associargli un volto… Come può essere?” Si frugò in tasca, tirando fuori le fotografie che Sabaku no Yumi gli aveva lasciato, raffiguranti la tomba di Hiroki, nei tre diversi stadi che avevano tanto catturato l’interesse della donna. Serrò il pugno con forza, accartocciando quelle didascalie: in quel momento avrebbe tanto voluto, invece, avere una foto raffigurante il viso del suo amico.

Ripose rabbioso le foto in tasca, distendendo poi le braccia sulle ginocchia, le mani rilassate, la schiena dritta. Chiuse gli occhi, il capo dritto col mento puntato allo sterno, mentre iniziava a respirare dal naso, in un ritmo lento, cadenzato, nel cercare di ritrovare la calma, eseguendo una respirazione diaframmatica, piuttosto che toracica. Sgombrare la mente, liberarla dai pensieri negativi, per potersi concentrare sul suo corpo, per poi, lentamente, iniziare ad escludere anche quello, dai propri pensieri, concentrandosi sulla sua energia. E così, in meditazione, percepì chiaramente che qualcosa non andava, non solo con lui, ma anche riguardo Joī: non riusciva più a percepirla.

Quando l’uomo ritornò, poco dopo, porgendogli una scodella di stufato fumante, Hanna lo accettò, seppur non avesse granché voglia di mangiare. « La ringrazio, Ikemoto-sama, per il cibo e per avermi salvato. Io mi chiamo Hanna e… Bhe, temo di aver perso qualcosa, lì al pantano. Per caso sarebbe così gentile da accompagnarmi, lì nel luogo dove mi ha trovato? Magari così avrò modo di ricordare cosa mi è successo…» Gli domandò, spiluccando un po’ di stufato e l’anziano, gentilmente, acconsentì all’accompagnarlo.
 
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Hi no Kuni, 14 ottobre 252 DN, ore 14.00


Una pioggia leggera li accompagnò lungo il sentiero, intensa appena da ingannare l'orecchio, rubando alle foglie la coordinazione imposta dal vento.
Gli occhi di Hanna faticavano a riconoscere quel tratto di foresta; forse per l'assenza di suoni familiari, forse per la diversa luce, forse per il risveglio... forse perché non c'era mai stato prima, almeno non che ricordasse.
La vegetazione rimaneva rigogliosa, in molti versi persino più di quella in cui si era accampato, ma gli alberi qui parevano risentire molto di più l'incedere dell'autunno. Oltre al fogliame più rado e bruno, i tronchi erano maggiormente torti, i rami cadenti, e lo stesso sottobosco faticava ad emergere dalla melma semisolida che in più punti insidiava il passo.


"Là, dove il fango è più profondo."

Esordì improvvisamente il vecchio cacciatore, indicando al giovane chunin una rada circondata da una guardia di salici. Il pallore del pomeriggio faticava a penetrare le fronde, che scendendo si intrecciavano l'una l'altra in un tendaggio fitto, quasi lugubre.
Possibile che l'avesse trovato lì?


"Ragazzino... sei un ninja, non è così?"

Improvvisamente, alle sue spalle, la domanda. Il vecchio Ikemoto non sembrava in allarme, ma era chiaro che il sospetto doveva averlo preoccupato. Le mani erano strette attorno alla balestra, il dito indice diligentemente lontano dal grilletto, ma l'arma rimaneva imbracciata.

"Perché eri qui? Scappavi da qualcuno?"

Silenzio. Tra loro soltanto il quieto rimestare del fango, il ronzio delle mosche.
 
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