Missione 5A - L' antica maledizione del Clan Ashura, Passaggio di rango per Egeria (Jonin)

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view post Posted on 17/5/2020, 19:41     +1   -1
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la curiosità e la sete di conoscenza guiderà l'animo umano fino alla fine dei suoi giorni...

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Basta poco per istillare un dubbio: è sufficiente prenderne il seme, inseminarlo nel proprio subconscio e aspettare che attecchisca superando in forza e volontà qualsiasi altro ricordo. Quello che era successo a Urako era molto simile: mentre preparava il necessario per l'operazione, il suo cervello stava scavando tra le immagini che si erano disposte in maniera terribilmente casuale nella sua mente. Doveva fare ordine, provare a schematizzare le informazioni che sapeva essere inconfutabili e quelle che invece rimanevano in piedi debolmente, e che contemporaneamente facevano da schermo a teorie e alibi. Settantaquattro chili rispose il medico, seguendo con lo sguardo tutti i passaggi che stava facendo la collaboratrice, e la vide continuare a generare dubbi, nati da quel seme che sembrava stesse cominciando a germogliare. Dunque prese a parlare, la ragazza, un po' dell'operazione, un po' districandosi fra le incertezze che come al solito non lasciò in sospeso: illustrò quale fosse l'elemento in causa che le creava perplessità e Kaede annuì comprensivo, come se quelle fossero cose a cui anche lui aveva pensato. La risposta non tardò ad arrivare, come sempre, come se avesse già previsto ogni domanda e ogni risposta: Sono d'accordo con lei, signorina Urako. Posso confermarle che il decorso non è quasi mai identico ma segue uno schema e questo schema sembra essere proprio relativo al cuore. Sollevò le gambe fino al lettino, distendendosi lungo lo schienale rialzato. Aveva intanto scoperto la gamba destra: la caviglia era intatta, il piede sano, e non vi erano minimamente i sintomi che avrebbero normalmente colpito un infetto. Se a un dubbio si aggiungeva inoltre una prova, allora il cervello si sarebbe focalizzato su quella e basta, finché elementi inconfutabili non gli avessero dato torto, e forse nemmeno a quel punto la mente avrebbe interrotto un decorso che stava proseguendo come un fiume in piena, con quel seme che continuava a generare idee, come fiori su uno stelo. Tutto bene, signorina? Stia tranquilla, troveremo insieme una soluzione ai nostri problemi. Vuole forse un altro biscotto prima di procedere? Che la stesse prendendo in giro o meno in quella circostanza non fu possibile stabilirlo con certezza, senz'altro però, e questo era ormai ovvio agli occhi della kunoichi di Kiri, il medico di Gashima aveva grosse difficoltà a stabilire e mantenere rapporti sociali che andassero oltre la professionalità, e anche in quel campo peccava probabilmente di empatia verso i colleghi. In ogni caso, Urako passò alla fase successiva, decise di giocare la sua mossa puntando allo scacco al Re, lasciando la propria torre scoperta come deterrente per la Regina avversaria. Mi sembra un'ottima idea, continuo a dirle che sta superando le mie aspettative, e lei che era dubbiosa della sua utilità! Collaborativo e adulante, come lo era stato fin dall'inizio, ma quelle erano caratteristiche che cominciavano a risuonare strane alla luce di quel dubbio, che lento e inesorabile pulsava dalle profondità della mente della ragazza. Poi riprese: Tornando a quello che le chiedevo qualche ora fa, mi scusi se l'assillo ancora con questa storia mentre opera, ma non riesco a non pensarci - Aveva lo sguardo fisso sugli occhi sfuggenti della kunoichi, come volesse costringerla a guardare le iridi dell'uomo di cui cominciava a dubitare, e lui lo sapesse -Dove potrebbe trovare il parassita un'energia inesauribile? Vede, sembra assurdo che gli Ashura siano nati per soffrire torture atroci e poi morire, a causa dei loro geni. Penso invece che la natura li volesse spingere verso un'altra direzione. Il concetto, la soluzione al nostro dilemma è il parassita stesso: se scopriamo di cosa ha bisogno lui, scopriamo perché gli Ashura sono morti... Gli piaceva proprio immergersi tra le sue parole, come potessero cullarlo e farlo stare bene con se stesso. Eppure, e lo aveva detto, gli piaceva ancora di più farlo davanti a Urako. E da lì trovare una cura per tutti.

||Procedi pure all'operazione se vuoi. Mentre operi non noti nessuna anomalia nel suo sangue, come fosse sano. Se decidi di usare il chakra, contattami e ti dirò che accade.||
 
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view post Posted on 19/5/2020, 17:04     +1   -1
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11 Giugno 249 DN – primo pomeriggio



Lui non pare battere ciglio, di fronte alla proposta della kunoichi: accoglie immediatamente il suggerimento, con entusiasmo quasi, offrendole poi un ennesimo biscotto.
Urako scuote la testa in segno di diniego, troppo contrariata per riuscire a ribattere qualcosa di acido. Non era preparata mentalmente a sfondare una porta aperta.
Sembra che niente al mondo riesca ad arrestare l'interesse di quell'uomo, quando si tratta di fare esperimenti sul Parassita.
Niente al mondo.
Ecco perché non la stupisce il pensiero di essere stata infettata apposta, anzi, non si è mai posta nessun dubbio in proposito.

Torna alla strumentazione, accertandosi di avere provette vuote a sufficienza per immagazzinare i campioni.
Primo tentativo di estorcere informazioni: buco nell'acqua.

Niente di niente.

Nessuna rassicurazione sulla possibilità di usare chakra, nessuna indicazione sullo stato del sangue del medico. Né tanto meno sull'ipotesi peggiore, quella di Kaede-Ashura.
Un miscuglio inestricabile di sentimenti le si raddensa dentro: ansia, rassegnazione, paura. Si sforza di fenderle come la chiglia di una nave fa con l'acqua del mare, di tenere attiva la mente. Torna a riordinare le idee.
Deve preparare il prossimo assalto.
Non vuole morire come il paziente di Hajime.
Non può nemmeno abbassare la testa e farsi mettere il capestro. Lo chiede più l'orgoglio di non volersi vedere usata e gettata via, come un paio di guanti sporchi dopo un'operazione.

Il cuore: ha più che senso, tutti gli utilizzatori di chakra sanno perfettamente che è il centro del suo sistema di circolazione. Il concetto può andare a nozze con un parassita che di chakra si nutre: più ci si allontana dal centro, meno energia circola, più il parassita stanziatosi in un certo luogo fatica a nutrirsi e finisce per intaccare l'ospite, necrotizzando l'area meno irrorata di energie.
Kaede è un ricercatore, non un novellino di primo pelo, sarebbe strano se non lo sapesse... eppure, non fa menzione del rapporto tra cuore e chakra.
E magari non lo sa davvero.
In quel caso, se ci tiene a guidarlo verso una cura, dovrebbe accertarsi che lo sappia: sì, dovrebbe dirglielo, sta per farlo d'istinto e sta già aprendo la bocca, sta già prendendo fiato per aggiungere una tessera al suo mosaico, che per quanto piccola, potrebbe contribuire ad ottenere una figura d'insieme.

“Certo che Kiri le ha fatto arrivare attrezzatura di prim'ordine” - commenta, mettendo al suo posto l'ago con i tubicini e il resto, e decidendosi a preparare il campo operatorio.

Vogliamo fare a gara a chi trova la soluzione per primo, Kaede-san?
Il cuore le batte all'impazzata.
Ha capito che deve fare una scelta, fatta di tante scelte: non sa ancora per quanto tempo e l'avversario è in netto vantaggio. Non le viene più voglia di piangere però, forse ha oltrepassato la soglia critica delle lacrime.

“Non so se questa cosa dovrebbe farmi arrabbiare di più, considerando che probabilmente mi ha infettata di proposito, o se piuttosto dovrebbe motivarmi” prosegue con un tono che di polemico ormai ha ben poco: sembra più una riflessione ad alta voce, mentre sotto al camice, alla mascherina, alla cuffia ed agli occhiali protettivi, l'adrenalina va ad aggiungersi al miscuglio di ormoni già in circolo, senza contare il parassita che già banchetta nelle sue vene.
Si aspetta che anche stavolta l'uomo eviterà di rispondere alla sua implicita domanda.

La gamba di Kaede è intonsa e immacolata. Sperava che avesse almeno una macchiolina, una piaga, un'unghia annerita.

Se tu fossi Ashura Kaede. Se tu desiderassi una cura per te stesso. Se finalmente la ottenessi.
Cosa faresti?
Cureresti anche me insieme a tutti gli altri?
Oppure... cos'altro?

Lui è già tornato alle sue riflessioni sulla famosa fonte di energia inesauribile.
“Deduco che l'ipotesi del sole non le sia piaciuta, anche evitando le battute sui vegetali” replica lei, accorgendosi dello sguardo che cerca i suoi occhi, sforzandosi di incrociarlo e ricambiarlo.
Esattamente, in questo modo.
Respira profondamente, controllando inspirazione ed espirazione.
Deve essere convinta lei per prima di quello che gli rifila.

Non riesce a leggere quella persona: l'entusiasmo, l'ossessione che ha mostrato potrebbero anche essere mossi dalla disperazione, quel suo fissarla di qualche ora prima potrebbe passare per una conseguenza sociale del suo isolamento, l'offrire biscotti in una camera sterile... idiozia pura e semplice. Oppure è un malato, uno di quei casi in cui la follia è tanto sottile da rendersi quasi invisibile e permette anche di vivere in mezzo alla gente normale, senza conseguenze particolari. Lo chiamavano Asperger, lassù in psichiatria, ma non ha mai avuto modo di approfondire.
Può pensare tuttavia che come lui sia inaccessibile a lei, ciò avvenga anche a parti invertite?

Cerca attorno al lettino la manovella che le avrebbe permesso di sollevare i piedi rispetto al piano su cui è collocato il resto del corpo, sempre per scongiurare emorragie, e dopo aver depilato con cautela la pelle al di sopra dell'area da operare, procede a disinfettare l'epidermide. Anestetizza l'area attorno a cui avrebbe effettuato il prelievo con una prima, piccola iniezione: ritrae l'ago, ma il sangue che fuoriesce dal foro è tutto fuorché anomalo. Va avanti: altre piccole punture, fino ad esaurire l'anestetico che ha dosato.
Nessun incidente.
Nessun segno di avvelenamento da Emosintesi - come lo chiama lui.

“Certamente, sarebbe di vitale importanza. Mi impegno a rifletterci su. E mi riterrò molto fortunata, se riuscirò a resistere all'avvelenamento da Emosintesi così come fa il suo corpo” replica lei, senza staccare gli occhi dal campo operatorio mentre lavora, passando velocemente dal bisturi al trapano, con movimenti precisi ma non frettolosi. “Non mi scuserò con lei per la mia reazione di poco fa, lo sappia” - riprende, riprendendo volutamente l'uso del linguaggio di cortesia. “Credo tra l'altro che riesca a comprenderla molto bene. È una reazione identica a quella che ha avuto il Parassita poco fa... curioso se ci pensa, no? Un essere umano è milioni di volte più grande di un microrganismo, ma reagisce proprio allo stesso modo.
Ci sentiamo minacciati, reagiamo in modo violento. Dopotutto... noi, il Parassita, vogliamo solo sopravvivere, no? Ci sentiamo minacciati, io e il suo amico”
spiega con calma, passo dopo passo, intenta a condurre il medico verso un ragionamento che possa in qualche modo ridare dignità – agli occhi dello scienziato - a quel suo essere diventata una cavia parlante.
“C'è chi è molto abile nel controllare la propria reazione, ma temo di non appartenere a questa categoria. Un po' come fa il parassita. Per questo motivo credo che potrei iniziare a capirlo, anche se è molto faticoso, essere solidali con qualcosa che potrebbe ucciderci.
Ho paura, tutto qui. Mi sto sforzando di superarla, usando la logica.
Mi dica se sente dolore...”
domanda proseguendo col prelievo, con tutta la cautela che riesce a impiegare.

“Ho quindici anni Kaede-san, sedici il mese prossimo. È comunque un numero più basso di tutte le dita che ha lei addosso. Ho speso una quantità incredibile di energie nel diventare quello che sono ora, e non sopporto l'idea di perdere tutto... come è accaduto ai giovani Ashura, tanti anni fa.
Crede che riusciremmo a trovare un modo di convivere col Parassita? A trovare un modo per farlo sopravvivere, anche se non siamo dotati del sangue giusto... tutelare la biodiversità, non so se mi spiego.
Se anche il sangue Ashura fosse completamente estinto, potremmo diventare dei templi viventi per proteggerlo, mi sbaglio?”
domanda senza staccare lo sguardo dall'ago mentre lo ritrae dalla ferita, lo poggia sul telino sterile e procede a tamponare la ferita, premendo per fermare l'emorragia e preparandosi a suturare i lembi di pelle. “Vede, se ci fosse in giro davvero un Ashura, come mi sembra ipotizzare lei, dovrebbe essere tutelato come patrimonio nazionale... anzi, che dico... mondiale, come minimo” conclude applicando l'ultimo punto, disinfettando per un'ultima volta la ferita e prendendo una garza col tampone per chiudere il tutto.
Però non impacchetta subito il polpaccio del paziente.

“Fatto” dichiara con un'alzata di spalle – “certo che se potessi richiudere la ferita col chakra, le eviterei di andarsene a zonzo con quella roba fastidiosa. Mi fido del suo parere.
Che dice, ci provo?”
chiede con tono innocente, allungando la mano libera sulla gamba di Kaede, come se fosse seriamente intenzionata ad applicare chakra medico.
Come quello che ha irradiato qualche ora prima, sul campione esploso.

 
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view post Posted on 21/5/2020, 09:12     +1   -1
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Kaede sorrise quando la kunoichi tornò al tono formale, come fosse riuscita a sfogarsi e a tornare alla professionalità che tanto di lei aveva apprezzato. Apprezzò anche il fatto che gli parlasse durante l'intervento, era il segreto di ogni bravo medico provare a sviare l'attenzione da un ago che entra nel proprio corpo, e in quel caso l'ago era piuttosto grosso. Al primo commento su Kiri l'uomo annuì con certa soddisfazione, come ci fosse bisogno di rimarcare l'importanza di quello che stavano facendo in quel "laboratorio": Kiri ha preso molto seriamente i miei studi sul caso, ma è anche giusto così data l'importanza. Era come se un "e ci mancherebbe" dovesse completare la frase, ma non lo disse. All'altro commento invece, più pungente e provocatorio, sorrise nuovamente: non sembrò sorpreso dalla sfacciataggine della ragazza, anzi, sembrava potesse assorbirne ulteriore motivazione, lui almeno, per continuare a fare passi verso la soluzione. Rispose come fosse la cosa più ovvia del mondo, come se quello che era successo non fosse che uno degli step fondamentali per lavorare nel modo più ottimale alla questione, mettendo davanti a ogni altra cosa la riuscita degli esperimenti: Ma avrà capito ormai! L'ho fatto per coinvolgerla al cento per cento. Ora ne va anche della sua vita, se non riusciamo a trovare una cura morirà anche lei! Lo gridò esaltato quasi, come fosse inconcepibile che potesse avere dubbi riguardo quello che aveva fatto. Era per il bene della scienza, della ricerca: Le prometto però che non sarà vano, tutto questo ci porterà a compimento del nostro obiettivo e questa è una promessa. Intanto l'estrazione cominciò e i due continuarono a chiacchierare in quella sfida di parole non dette, segnali da interpretare e sguardi pungenti che schivare come dardi avvelenati.
Non si deve scusare, signorina Urako, nel modo più assoluto! E' normale reagire allo stress. E' una situazione pericolosa e l'essere professionisti non deve precludere uno sfogo ogni tanto. Basterebbe chiedere a Eiki quante volte sono stato sul punto di mollare tutto... - titubò un attimo in quel preciso istante, chiudendo gli occhi e sospirando, poi continuò - ma non posso, lo dobbiamo a tutti i malati di Gashima. Il dolore nelle sue parole era sincero, almeno apparentemente, e non si precluse nemmeno un attimo di debolezza, ritrovandosi a doversi tamponare gli occhi con la manica. Poi si preoccupò di rispondere al commento sulla sua condizione fisica, riuscendo a non scomporsi e a rispondere nella maniera più semplice possibile:Glielo auguro con tutto il cuore. Io sono fortunato, signorina, a differenza di tutta la gente di Gashima che sta soffrendo qui e ora.
Quando l'argomento passò nuovamente al parassita, gli occhi di Kaede si illuminarono: era sempre e solo di quello che avrebbe voluto parlare, lo si percepiva, e sospirò nel sapere che la kunoichi stesse lentamente cominciando a comprenderlo. Era a quello che voleva arrivare, e poteva essere il motivo per la quale l'avesse infettata: E' qualcosa di eccezionale, apparentemente incomprensibile ma in realtà estremamente semplice. Lui vive come noi, signorina. La risposta alla sua domanda è sì, deve essere possibile conviverci perché la natura non è malvagia. Dobbiamo solo comprendere come poterlo fare. Proprio perché lei è così giovane dovrebbe capire quanto è importante la vita, che sia per noi o per il parassita. Era una trappola e stava abboccando? Che se ne stesse rendendo conto o meno si stava esaltando nella maniera più pura possibile per parole della Chunin. Aveva bisogno di sentire quelle cose, di ascoltare una persona che ragionasse come lui, che inquadrava la questione come aveva imparato a fare lui durante gli studi. Poi la bomba, lo scacco al Re di una ragazzina di quindici anni: Sì, Sì! Andrebbe tutelato, protetto, adorato! Questo però il mondo non lo capirebbe mai, comincerebbe una fottuta caccia all'uomo, come ha fatto Kiri. Sapeva che li hanno sterminati tutti? Sapeva che hanno gettato al vento un patrimonio dell'umanità? Si stava infervorando, i suoi occhi brillavano di rabbia e strinse il materassino su cui attendeva la fine dell'operazione: Dovrebbero essere loro, tutti i Kiriani, anzi, tutti i maledetti ninja a fare da energia inesauribile per gli Ashura. Il parassita dovrebbe crescere sul loro sangue! E Urako aveva nel frattempo terminato, chiudendo l'intervento con la possibilità di usare il chakra, ma Kaede la fermò, provando a riprendere il controllo di sé: No... Sospirò - Meglio non sfidare la sorte.
 
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view post Posted on 21/5/2020, 22:22     +1   -1
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11 Giugno 249 DN – primo pomeriggio




Lo osserva con la coda nell'occhio, mentre prosegue con le sue chiacchiere apparentemente banali: Kaede sarà anche un libro scritto in lingua straniera, ma un sorriso è un tale per qualsiasi essere umano, sia folle che sano. Scegliere di esprimersi in modo formale sembra una decisione azzeccata, a meno che lui non voglia farla sentire falsamente al sicuro, ma di questo non sarà certa fino all'ultimo. Cioè quando non potrà più farci niente. Se anche lui sta recitando è davvero bravo, deve riconoscerlo.
Per quanto riguarda lei... si sta sforzando, lo sta facendo sul serio, ma troppo poco tempo la separa da un'epoca in cui preferiva consegnarsi al nemico sua sponte, dopo essersi trovata con le spalle al muro: Spadaccina senza Spada com'è, sente fin troppo vicina una Urako che preferisce la fuga a qualsiasi battaglia. La stessa Urako che ha ucciso solo perché guarire il nemico le è stato impedito.
Spera solo che le scelte paghino. Spera che quel refolo di speranza che sente vedendolo più rilassato non sia un'illusione.

Annuisce senza aggiungere altri commenti, sul discorso del supporto di Kiri: certo, la Nebbia ha dato la giusta importanza agli studi, senza ombra di dubbio, peccato che gli scopi dello scienziato siano leggermente diversi da quelli che le ha prospettato da Hajime.
Fermare l'infezione? Tutti d'accordo su quello. Sopprimere il Parassita? Su quello ha grossi dubbi.
Eliminare l'eventuale Ashura? I dubbi si riducono a zero.
Possibile che nessuno, Hajime in testa, si sia reso conto della mentalità di quell'elemento?!

Per la cronaca, i dubbi si riducono allo zero assieme alla sua ritrovata aplomb, quando quello inizia praticamente a vantarsi di aver avuto quell'idea geniale. Quell'idea strabiliante.
Ossia quella di infettarla con quello schifo.
Questione di coinvolgimento emotivo – dice lui. Poco consolante, il pensiero di averlo indovinato da sé.
La sua stessa rabbia emette un gemito; lei si sente scuotere da un fremito di gelida tensione, le mani che minacciano di irrigidirsi come due rami stecchiti.
Scrolla il capo, il raziocinio rimasto ancora integro che si aggrappa a una cosa sola. Non deve mollare la parte. Dentro di lei l'oceano ribolle come una pozza sulfurea. Una strategia che non è né carne né pesce non andrà da nessuna parte.
Non può nemmeno esagerarla, quella recita, almeno finché non sarà certa che quello là sia un mentecatto vero; si dibatte tra i marosi dei suoi stessi sentimenti, sforzandosi di far trapelare qualcosa di essi in quella farsa, cercando di non annegarci dentro un'altra volta.

Volta il capo e gli lancia un'occhiata grave “Kaede-san” lo riprende, col tono di voce che si incupisce - “Istinto di sopravvivenza – paura - rabbia. Sono appena riuscita a calmarmi. L'ho capito perché l'ha fatto, ma non vuol dire che il mio istinto di sopravvivenza ne sia felice. Perché non. lo. è. E non voglio arrabbiarmi daccapo. Sa già che non sono brava a controllarmi.
Sono una professionista, mi sarei impegnata comunque: mi sento abbastanza offesa da quello che sottintende... anche se non lo fa apposta”
protesta con una certa dose di broncio ed una grossa parte di rabbia vera, trattenuta con museruola e guinzaglio.
O mi hai contagiata apposta per tenermi per le palle, figlio di vacca che non sei altro...? Ma guardalo, pure la lacrimuccia... sottospecie di coccodrillo bipede. Di morire malissimo per il bene superiore di un parassita di merda poi!
Figuriamoci se può importargliene qualcosa, a lei. Meglio piantargli un kunai nel collo e togliersi un bel sassolino dalla scarpa, fosse l'ultima cosa che avrebbe fatto, per la magra consolazione di non deludere un generico superiore che difficilmente si ricorderà la sua faccia.

Ed eccolo lì, che i sassolini se li toglie lui. E si arrabbia, anche!
Tira fuori detriti e limo come un secchio di mitili messi a spurgare prima di finire in padella, e la soddisfazione di vederlo finalmente vomitare fuori quello che pensa è relativa, il senso di vittoria nel sentirlo finalmente cantare è azzoppato, perché il sospetto che possa rivoltarsi contro Kiri è più preoccupante che mai. Sente la sua, di rabbia, divampare rovente, carbonizzare l'entusiasmo ingenuo da cui si lascia trasportare fin troppo facilmente – che sia un sentimento vero o fasullo, poso importa. L'ira tracima e spumeggia maledizioni fin troppo specifiche, prima di stemperarsi in una vaga osservazione sulla sorte.
Troppo fiacca, per essere considerata una prova schiacciante; troppo poco, perché la morte di quella persona possa diventare l'alternativa preferibile.
Lascia che il silenzio accolga l'ultima sfuriata dell'uomo: una pausa a effetto per lui, un lasso di tempo indispensabile a lei per riflettere.
Meglio non sfidare la sorte. O meglio non sfidare te?
Meglio non mettere alla prova il tuo sangue infetto, o meglio non sfiancare il tuo prezioso sangue di Ashura superstite?
La fortuna aiuta gli audaci, ma è di audacia che si parla in quel momento?
Quanto è vero, che potrebbe svelare il nucleo di quel problema con un piccolo gesto... con un po' di coraggio... liberando una piccola, innocua goccia di chakra... oppure rovinare del tutto i rapporti con un uomo instabile e danneggiare ambedue, in un solo colpo, irrimediabilmente?
Se aveva già previsto tutte le sue mosse, quell'uomo è un dannato genio e merita quasi di averla vinta; lei però è già morta una volta e sa che farlo soffrendo a lungo è qualcosa di orribile. Il patriottismo c'entra poco.

Non può escludere che a Kiri si siano già accorti che qualcosa non va in quella ricerca: il motivo per cui abbiano scelto lei, però, lo sanno solo loro. Sacrificarla, forse? O affidarle un incarico delicato di cui la sanno capace?
Il tutto in un gioco di menzogne che intorbida un'acqua già agitata da due soli contendenti, senza aggiungere il terzo - che si è già mostrato ambiguo, in passato, nonostante il prodigarsi di Hayate.
Se quell'uomo è sincero, è impossibile che nessuno dei piani alti si sia reso conto del rischio nel lasciarlo a piede libero o peggio, rifornirlo di tutto il necessario, anche se fossero stati con le spalle al muro; nel caso stia mentendo, beh... l'ipotesi del pugnale nella carotide potrebbe essere l'unico ostacolo tra l'Ashura e la sua vendetta. Deve prepararsi mentalmente a farlo. Non può escludere quella strada.

Quando alla fine ritrae la mano, si sente dolorosamente lucida: consapevole di stare imponendo la propria scelta ad un numero di persone che supera ciò di cui ella è consapevole, consapevole che solo a tempo debito scoprirà le conseguenze reali del suo gesto mancato. Si allontana un poco, svolgendo con gesti lenti e ponderati la garza.
“Mi fido di lei” - ripete, abbassando lo sguardo, mettendo la parola fine al dilemma del chakra curativo “... ma lei si fida della maledetta kunoichi Kiri?” gli fa notare tetra, mentre poggia il capo della fasciatura contro la tibia e lo mantiene in posizione con un pollice rivestito di lattice.
“Me ne ha parlato Hajime, dello sterminio. Mi creda, ha rattristato molto: è una macchia sul nome di un Villaggio che di macchie ne ha già troppe. Speravo che lei mi raccontasse la sua versione, quando ho chiesto di spiegarmi tutto come se fossi una principiante.
Volevo farmi una mia idea su ciò che è stato.”


È sincera stavolta, non lo sta ingannando, anche se lo spettro dell'essere sfruttata e poi eliminata torna concreto ad agitarsi all'orizzonte. Avvolge con la dovuta calma il tessuto bianco attorno al polpaccio di Kaede, e prosegue - “Lei è uno scienziato. Uno scienziato brillante. Non dovrebbe mai esprimersi in maniera simile. È antiscientifico, mi capisce?
Desideriamo sul serio evitare la caccia all'uomo?”
domanda parlando indebitamente al plurale, arrestando il movimento delle mani, e mentre trattiene la garza ancora arrotolata nella destra, poggia la sinistra sul ginocchio dell'uomo, stringendo leggermente la presa, senza la minima intenzione di fargli del male. È solo un gesto per rendere più incisivo ciò che sta per dire.
Cerca quindi il contatto con gli occhi cristallini dell'uomo: “La chiave è a portata di mano, gira attorno a quello che lei chiama Parassita. Io l'ho chiamato simbionte prima, per un motivo preciso” - prosegue fissandolo intensamente negli occhi, al di sopra della mascherina - “è la prospettiva che cambia, Kaede-san. Un Parassita scatenerà sempre una risposta immunitaria, che danneggia sia lui che l'ospite. Ci sarà sempre una fottuta caccia all'uomo, sensei, finché il simbionte e chi lo diffonde si comporteranno come una minaccia. Kiri, Kumo, Konoha, paesi lontani oltre il Continente... crede che cambi qualcosa? Istinto di sopravvivenza – paura – rabbia.
Esporre ciò che rimane degli Ashura al totale annientamento, per una giusta rabbia o per vendetta?”


A quel punto si blocca, ferma a metà della frase, lo sguardo che abbandona gli occhi di Kaede - “... sono certa che non parlava sul serio, non avrebbe scientificamente senso" conclude stancamente, bloccando il suo stesso flusso di pensieri all'apice della sua intensità.

"Troviamo questo modo di nutrire il microrganismo, senza rischiare di perdere gli Ashura rimasti o scatenare epidemie. Bisogna proteggerli. Il modo migliore è passare da parassitismo a simbiosi.
È l'unica maniera logica e scientificamente accettabile, per rendere questa ricerca sensata, e non il canto del cigno di una specie a rischio... e per fare questo, dobbiamo capire di cosa ha bisogno la creatura, fornirglielo e darle supporto... qualcosa che però non faccia ammalare le persone comuni, né gli Ashura rimasti.
Come dice lei, dottore. Come dice lei.


Detto ciò sospira lungamente, strizzando gli occhi; ha parlato tanto da seccarsi la gola. Se continuerà ancora per molto a recitare la parte della salvatrice degli Ashura, finirà per crederci anche lei. Non si illude che il suo alludere a dei fantomatici superstiti lo spinga a rivelare altro: dovrà lavorarselo meglio, più a lungo, per fargli confessare una cosa del genere.
Si accorge della stretta sul ginocchio, che si è fatta meno delicata di quanto avrebbe preferito. “Gomen” - borbotta, riprendendo a fasciare la ferita con aria meditabonda; non dovrebbe aver sentito nulla comunque, l'anestesia non è ancora svanita.
“I tempi sono maturi. Il Mizukage è un medico. Ha tolto di mezzo il Kyuudaime, perché lo aveva inviato a sterminare un clan di medici, con motivazioni inconsistenti, e questo non è un racconto di seconda mano.
Hayate Kobayashi è l'uomo che può innescare la svolta, anzi, lo sta già facendo. Non può nemmeno immaginare quanto stia cambiando Kiri da quando c'è lui al comando, e gli strumenti che ha ricevuto non sono che una piccola parte di tutto questo.
Certo, mentirei se dichiarassi che ora Kiri è un'oasi di pace e che tutti i miei superiori siano persone oneste e affidabili. Ma su Kobayashi-sama sono pronta a metterci la faccia. Cambierà il Villaggio, basta dargli il giusto tempo.”

Fissa la fasciatura con una graffetta in metallo, sistema con delicatezza alcune pieghe del tessuto e annuncia il termine delle operazioni togliendosi il guanto destro, mentre si avvicina alla testata del letto. Arrivata al capezzale di Kaede, sporge il braccio verso di lui, per aiutarlo a rialzarsi.
“L'unica domanda è: avrà Hayate Kobayashi la possibilità di accogliere una preziosa eredità da coltivare per il futuro? O dovrà debellare un'infezione, come farebbe un medico?
Credo che dipenda dal suo lavoro. E le offro il mio massimo supporto.”

 
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view post Posted on 22/5/2020, 14:58     +1   -1
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La lasciò parlare, ascoltò, sembrando anche piuttosto coinvolto riguardo tutto quello che la ragazzina di Kiri avesse da dire. Non si mosse dunque dal lettino, rimase seduto in quella posizione per tutto il discorso, passandosi una mano sulla fasciatura per cercare di alleviare un dolore che poteva immaginare, finito l'effetto dell'anestesia. Gli occhi luminosi di Kaede scrutavano il vuoto, stavano evidentemente cercando la forza di far quadrare le parole della collaboratrice, di trovare loro un senso che gli permettesse di essere d'accordo, per farsi infine convincere che quel Mizukage fosse davvero così mitico e la storia adesso così diversa. Urako lo vide alzare lo sguardo verso di lei e poté specchiarsi in quel mare lucido e chiarissimo, la cui profondità eguagliava soltanto la voglia di venire a capo dei suoi problemi. La domanda che lei aveva posto all'inizio aveva un senso: perché fidarsi di una kunoichi di Kiri? Perché affidare tutte quelle informazioni a una persona che avrebbe dovuto volere morta? Poteva rispondere in ogni maniera, poteva provare a farle credere qualsiasi cosa a quel punto, ma con la sfuriata di prima contro coloro che avevano epurato gli Ashura, aveva scoperto troppe carte, e la spadaccina senza spada lo aveva disarmato.



Una lacrima di sangue gli solcò il viso e quando chiuse gli occhi, mostrò un uomo, qualsiasi fosse stata la sua vera identità, che era da solo, anzi, con un gatto a ricordargli di essere ancora vivo. Quando la ragazza terminò l'offensiva, simile a un assalto a una difesa già ben danneggiata, lui provò ad alzarsi, stringendo i denti e ignorando il dolore, lasciando dunque saturare di rosso i suoi occhi.

Quello che dice è meraviglioso, e per tanto tempo ci ho creduto. Poggiò una mano sul tavolo, facendo rovesciare della strumentazione medica. Tremava, colto da un vortice di sensazioni che avrebbe dovuto sfogare in qualche modo: Ma erano le stesse, fottute, identiche parole che alcuni medici di Kiri mi dicevano. Tutte menzogne, tutte scuse per mandarci a morte. E ci hanno così sterminato, hanno semplicemente DECISO di uccidere ogni Ashura in vita, come fossimo... Cercò per un attimo la parola giusta da usare, ma ognuna di esse sembrava parlare di qualcosa comunque più importante di quella gente, agli occhi della Nebbia Erbaccia, ERBACCIA DA ESTIRPARE le gridò addosso, ormai al limite. Si rimise seduto, provando a respirare e a riprendere il controllo di se stesso: Sei una brava ragazza e mi dispiace davvero tanto. Niente formalità, non la volta in cui poterono finalmente guardarsi senza le maschere. Quella fu l'ultima frase che Urako riuscì a percepire correttamente, prima di ritrovarsi tra le mani gocce di sangue perso dal naso, un gusto ferroso in bocca e le orecchie che fischiavano. Fu un attimo e sentì aggravarsi ognuna di queste cose ogni istante che passava, come potesse cristallizzarle nel tempo e osservarle procedere lente, inesorabili e dolorose. L'ultima immagine fu il viso rigato di sangue di Kaede che piangeva la morte di una stirpe e l'empatia di quella piccola donna. Per la scienza, per la vendetta, e per la memoria.

Buio, ancora. Il formicolio su tutto il corpo era più pressante e fastidioso di prima ma le servì per capire di essere ancora viva. Gli occhi erano offuscati, aveva freddo ma nonostante ancora una reminiscenza lontana del caratteristico gusto ferroso del sangue, si sentiva idratata. Le bastò seguire il filo della flebo appesa giusto di fianco per capire che aveva due aghi infilzati nel proprio braccio: era su un lettino, probabilmente lo stesso in cui aveva operato Kaede. La strumentazione sui tavoli era simile a quella che lei aveva usato per l'estrazione di midollo, che avesse fatto lo stesso anche lui? L'idea dovette colpirla, almeno per un istante, ma non sentiva dolore in nessuno dei punti papabili per quel tipo di intervento. né mostrava ferite. Nessun miagolio stavolta ad accompagnarla nel risveglio, solo grida, frustrazione e boati di vetri infranti al suolo: Perché PERCHE' non funziona. Al diavolo tutto, AL DIAVOLO!! Poté sentire subito dopo la voce di Eiki, che provava a raffreddare gli animi bollenti: Non distruggere il lavoro di una vita, calmati, calmati che non serve a niente prendertela con le beute. Silenzio. Qualsiasi cosa avesse provato dopo l'estrazione del midollo, sembrava non funzionare ancora. Quanto a Urako, si sentiva tutti i muscoli indolenziti, doveva aver dormito per parecchie ore. In qualche maniera era ancora viva, se per un gesto di pietà del dottore o perché le servisse ancora, la kunoichi non poteva saperlo con certezza.
 
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view post Posted on 25/5/2020, 22:21     +1   -1
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11 Giugno 249 DN – primo pomeriggio




L'arrossarsi del bianco ai bordi della sclera, l'accumularsi del liquido tetro lungo la rima della palpebra inferiore, la goccia scarlatta che solca la guancia dell'uomo: la lacrima cade, qualcosa muore dentro Urako.
Muore un'incertezza, quella più grossa di tutte, con un fremito glaciale che pietrifica istantaneamente i pensieri che si agitano in quella testolina bruna.

Lo osserva muoversi come al rallentatore, tremante, più ferito di quanto sarebbe potuto essere, se l'avesse trafitto col suo kunai... sì, l'abbiamo già detto, lì, nella carotide.
Lo sente parlare come da una grande distanza, avverte il rumore acuto dei vetri infranti e il tintinnare del metallo gettato a terra con rabbia. Sa già cosa sta per dirle, è scontato, è prevedibile, ma questo non rende la pillola meno difficile da ingoiare: assieme alla vergogna per l'ipocrisia dei suoi stessi discorsi intrisi di melassa, che sì, doveva fare, perché è un soldato, perché lei deve seguire gli ordini, salvarsi la pelle, trovare l'Ashura, evitare di essere massacrata, togliere la vita all'Ashura, che è un uomo come lei, che soffre come soffre lei, che ha sofferto per colpa delle persone che – come lei – hanno protetto la loro casa, che hanno protetto la loro casa versando il sangue di altri uomini, dopo aver fatto discorsi intrisi di melassa come i suoi.

Davanti alla disperazione resta muta: una statua di sale, leggermente ingobbita, la testa incassata nelle spalle, le labbra strette in quello che è solo un arginare la paura che la furia altrui le scatena nell'animo. Non ha la forza di guardarlo negli occhi.
Sarebbe meglio accettare subito l'idea di non essere brava e buona, senza girarci tanto intorno. Dovrebbe smetterla. Si farà ammazzare.
Per una che fa il suo lavoro, sarebbe più... appropriato... seguire gli ordini... uccidere l'Ashura... fare la cosa giusta, al momento giusto. Dimenticare di avere sentimenti, nel momento giusto.
Il rimorso, dopotutto, non ha mai ucciso nessuno.

Sei una brava ragazza e mi dispiace davvero tanto.

Sente gli occhi saettare verso il viso di Kaede, inarrestabili: su quelle guance rigate di sangue che si secca, su quel rosso che urla come una nota stonata, attorno alle iridi chiare.
Chissà che faccia ha, mentre lo guarda di sotto in su, senza parole, con le sopracciglia leggermente inarcate, ad esprimere una domanda muta: una domanda che si aspetta già una risposta sgradita – subito dopo, la sensazione di qualcosa di liquido e tiepido colarle dal naso... lo sguardo abbassarsi sul camice cosparso di fiori vermigli... il sapore del sangue in bocca... le dita portate al viso, pure, macchiate di sangue... i suoni fondersi in un fischio acuto... quell'uomo prostrato e furioso e lei, che neppure si domanda se stia già morendo o no, perché se non soffre le va quasi bene... il fischio si sfalda, esplode in un ronzio basso e furioso anche negli occhi, anche nella testa ---


--- Sei una brava ragazza...


… mi dispiace tanto ---


    Sospesa in un nulla brulicante, avverte strani echi esplodere in lontananza.
    Se sia morta?
    Non si pone il problema.
    Ha freddo. Un braccio ha più freddo.
    Ha un braccio?

    Sa che il posto che ha freddo è dove sta un braccio.
    Lo sa e basta.

    Una sottile, soffusa lama di luce entra da dove – forse – stanno gli occhi.
    Che sono... aperti?
    Chiusi?
    Qualcosa si agita gratta corre ruzzola saetta brucia si accende ovunque.
    Dove?
    Nelle vene.
    Crede di saperlo.

    Lo sa, perché... lo ricorda.

    Un filo. Un cavo. Un tubo.
    Verticale. Chiaro.

    Flebo.
    Lo sa cosa è. Lo sa... perché l'ha imparato.

    Il sapore in bocca: sangue. Poco. Quasi andato via.
    Quanto tempo fa?
    Non lo sa, questo.

Un fuoco soffuso scorre nel suo corpo, muove le dita a fatica, batte le palpebre; attorno ci sono vetri infranti, urla, voci. Due voci. Fuori di sé.
Kaede.
Deglutisce.
Solleva la testa, un poco.
Riconosce quel posto, che le è comunque estraneo. Non è suo. È di Kaede. Territorio di Kaede. Lei non ha ferite. Il corpo pesa come un sacco di pietre. È ancora viva. Non sa se sia una cosa buona. Se c'è ancora scelta, tra buono e cattivo, o se sia già tardi, non sa nemmeno quello.
Sta lì, sdraiata. Osserva. Pensa.
Nemmeno i suoi, di piani – quelli di Kaede – vanno bene. Inatteso, questo. Batte piano le palpebre, si dà tempo, respira piano, pensa piano. Ha... a occhio e croce... due opzioni, circa: numero uno, lasciar perdere.
Prima o poi il suo corpo arresterà i processi biologici per l'azione del Parassita; Kaede... magari tira avanti ancora per un po', poi muore anche lui, forse ammazzando qualche altro civile nel frattempo. E il contagio muore con lui. Forse.
Numero due: alzarsi e uccidere Ashura Kaede, che poi, ora che ci pensa, Hajime deve aver avuto due belle fette di prosciutto sugli occhi, a non rendersi conto.
Un buco dimenticato dai Kami come Gashima, che vede nascere un'epidemia di quel tipo, e guarda caso lo scienziato nato sul posto è la persona più adatta a studiare il fenomeno. Informatissimo, appassionato Kaede. Vedi tu, le coincidenze.
Una brava ragazza come lei potrebbe fare cose meno brave e meno belle, con tutti quei frantumi di vetro a terra. È tagliente, il vetro. E poi, che può succedere?
Il Parassita muore subito e tutti guariscano, o il Parassita uccide tutti, famelico, senza il chakra donato da Kaede. Da Ashura Kaede.
Non è così tragico, il bilancio, in ambo i casi. Muore Kaede, muore lei, muore qualcun altro sconosciuto che verrà pianto da altri sconosciuti – se gli ANBU fossero meno citrulli di Hajime, forse si potrebbe sperare in un risultato appena migliore. Se.
Chissà che razza di ordini hanno ricevuto, quelli.

E non ha ancora capito una cosa – sospira profondamente, chiudendo di nuovo le palpebre, chiudendo fuori quel mondo grigio – non l'ha ancora capito, se quello stupido parassita abbia attaccato lei e gli altri per ordine esplicito del suo portatore, o in base a che altro principio. Delle due ipotesi, a lume di naso quella valida è la prima. Anche solo questo è un motivo sufficiente per farlo fuori, ovviamente, ma per qualche ragione sente che quella sarebbe una soluzione raffazzonata. Una toppa sgradevole, una cucitura sgraziata, di quelle che ti grattano la pelle quando cammini. Non sarebbe davvero un bel lavoro il suo, anche se ha eseguito gli ordini, anzi... è morta nello svolgimento del suo sacro dovere verso la patria.

Quando un abito non va più bene, a Kiri prendono un paio di forbici e tagliano via un pezzo qui, una manica lì, aprono un bel buco dall'altra parte e se riescono a infilartelo addosso, allora si accontentano. Nessuno si pone il problema che la soluzione faccia schifo, e spesso fa schifo da più di un punto di vista.
Ammazzare Kaede è un po' come aprire in due uno Yukata perché sei ingrassata e non ci entri più dentro: d'accordo, se lo apri potrai anche indossarlo, ma ti rideranno tutti dietro.
La soluzione sarebbe dimagrire, ma sai cosa? È faticoso. Per cui meglio usare le lame, come al solito.

Al Sarto non sono mai piaciuti i lavori fatti male.

Sarà anche per questo che il Sarto non usa lame.


Apre le palpebre, il Sarto, fissa lo sguardo sui teli di plastica che separano la camera sterile dal resto del pianterreno; sbatte le palpebre, preme le labbra l'una contro l'altra. Non è questione che la mamma piangerebbe, se lei non tornasse più a casa, né più un discorso di odiare Kaede perché l'ha contagiata, o di obbedire o meno agli ordini. È che il Sarto ha davanti un lavoro da finire, un lavoro che sta per finire, che finirà in un modo o nell'altro... e gli viene l'orticaria al solo pensiero che il suo ultimo lavoro possa venire fuori brutto come uno sgorbio, con o senza Nuibari.
Quindi il Sarto dovrà riprendere i fili in mano, che i fili lo vogliano o no.

L'ipotesi della mutazione del virus, ad esempio, è ancora troppo fastidiosamente aperta per poterla ignorare: è come uno di quei fili sporgenti, che se lo tiri, riesce a disfare un intero orlo. Uno sforbiciatore qualunque taglierebbe il filo, il Sarto no – non prima di aver capito cosa esso tenga fermo.
Kiri e Ashura, trama e ordito di un arazzo sporco di sangue; Kaede un ricamo rabbioso che tira i fili, per mandare in pezzi l'intero tessuto. Kaede deve smettere di tirare. Ci vuole pazienza, per allentare un filo.
Ci vuole Eiki.

La sentirà, attraverso lo spazio e la materia che le separa: dopotutto è un gatto. ”Eiki” - chiama, senza bisogno di alzare la voce. Ha bisogno di tirare il filo giusto. Ha bisogno di qualcuno con la mente lucida. Dall'altra stanza sente la voce del felino: "Sì è svegliata!"
È lei ad avvicinarsi, senza Kaede al seguito: si ferma prima dei teli trasparenti, come ha sempre fatto, da brava gatta. Ne intravvede la sagoma al di là di quella barriera esile.
Inspira. Deglutisce. “Il nome di Sosui, ti dice niente?”

"Oh mio dio" esclama quella con tono canzonatorio, al di là della cortina di plastica. Urako stringe le labbra l'una contro l'altra.
Forse non era il filo giusto, quello. Ora però è tardi per rimangiarsi, la pedina l'ha mossa.
"Vive ancora? Avrei giurato che si facesse ammazzare in un modo o nell'altro. Crede ancora di essere il più intelligente e saggio di tutti?"
Urako ridacchia, o almeno produce un suono che ci assomiglia. "Credo di sì” ribatte senza nemmeno tentare di smentirla, strizzando gli occhi “ma come tutti i maschi, la cosa meno faticosa è lasciarglielo credere, dico bene?" aggiunge, fissando il soffitto monotono. Mantenendo un tono casuale.
“Oh beh, ci ho provato per troppi anni ma alla fine ho lasciato perdere. E Kuroneko come sta? Oh... Lei mi manca davvero tantissimo". Si trattiene per un pelo dal tessere le lodi della gatta nera, approfittando dello spiraglio aperto dalla gatta, ma si morde la lingua all'ultimo.
Non è prudente.
Potrebbe non essere lei, la sola a voler mentire.
"Ooh beh, con lei ho un debito enorme. Mi ha salvato le chiappe già una volta... pensa te: avevo giurato, proprio con questo sangue, di proteggerli tutti, lì alla colonia" – e pronuncia la parola colonia facendo intendere che si tratta di qualcos'altro di piuttosto ovvio. "La chiamerei pure, se solo non rischiassi di restarci secca. Bella situazione, eh?"

Lei porta avanti una zampa, entrando leggermente dalla porta socchiusa, poi un'altra, e a quel punto Urako sarebbe riuscita a scorgere il suo pelo rossiccio all'interno della camera sterile.Il suo sguardo felino mostra un paio di occhi ridotti a due fessure, quasi due occhi da rettile, nonostante la poca luce - "Loro potrebbero dire lo stesso di me, e in tutta sincerità non penso muoiano dalla voglia di rivedermi. E così fai parte della loro bella famiglia di ipocriti, eh?"
No, decisamente non era il filo giusto. Merda. Deve inventarsi una mezza toppa per il buco che ha creato con le sue mani.
Fa uno sbuffo simile a una risata: "Ecco perché siete così legati. Ed è così finisce la faccenda, dopo tanta fatica... Kaede odia Kiri, tu odi l'Eremo, le ricerche vanno male, e morirono tutti felici e odianti" commenta serafica, senza nemmeno accennare ad alzarsi dal lettino - “Quasi quasi chiedo a Kaede se posso spaccare qualcosa anche io con lui, almeno mi diverto un po' prima dell'inevitabile"
La gatta ride sotto ai baffi: "hai incredibilmente ragione, forse dovremmo vederla davvero in maniera così semplice", poi si lecca le zampe - "come ti senti?"

Urako respira a fondo. Non crede che l'animale tenga davvero alla sua salute. "Il parassita è incazzato nero. Con un po' di fantasia, potrei dire che risenta dell'umore del suo padrone. Io dovrei potermi alzare, se solo volessi, ma devo ancora decidere se effettivamente mi va. Kaede è riuscito a prendere il midollo? O devo estrarlo sul serio da sola...?"
Lei fa l'indifferente, continuando a comportarsi esattamente come ci si aspetta da una gatta, quindi risponde: "lo ha già preso. Beh, immagino che verrà prima lui da te allora"

Urako aggrotta le sopracciglia. “Lo aspetto allora” ribatte atona, sistemandosi sul lettino e poggiando un avambraccio di traverso sugli occhi, come a volersi riparare dalla luce.
… com'è che avrebbe fatto a cavarlo fuori, senza perforare nulla?
Sì, beh, probabile: i suoi adorati piccoli Parassiti assassini.

Non le resta che attendere, e tentare di muovere qualche altro, piccolo filo.

 
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view post Posted on 28/5/2020, 01:26     +1   -1
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Ci aveva provato, con Eiki si intende, ma la gatta si dimostrò molto più furba e consapevole di quanto si potesse sospettare. Conosceva bene l'Eremo, o almeno questo lasciò intendere con i commenti su Sosui e nel nominare Kuroneko. Li aveva chiamati famiglia di ipocriti, lasciando che la kunoichi muovesse i tasselli per comprendere i trascorsi del felino con i Gatti, chiaramente non proprio idilliaci. Non trovando sbocchi utili, la ragazza preferì intraprendere un'altra strada, tornando sui propri passi e virando sul percorso Kaede e midollo osseo. Lo aveva già preso, era ovvio, ma a giudicare dalla reazione avuta pochi minuti prima non doveva aver portato a risultati convincenti. Ashura Kaede era a un punto morto, con buona pace sua, di Urako e di tutti coloro che del virus avevano sofferto. Si doveva trovare una soluzione, una cura, un'uscita da quel baratro oscuro, e questo valeva sia per chi voleva soltanto salvarsi la vita, sia per chi sembrava covare rancore, rabbia e vendetta. Quando la Chunin si portò il braccio sugli occhi, Eiki sorrise e si allontanò zampettando verso il medico. Urako rimase sola, di nuovo, con i suoi pensieri, con l'esperienza che aveva maturato sul Chiton, con probabilmente la paura di poter morire da un momento all'altro. Eppure la flebo che aveva al braccio significava qualcosa, erano le parole silenziose dello scienziato che nell'altra stanza stava scaraventando al suolo oggetti di vetro, e magari la maniera che aveva scelto per suggerirle di non mollare ancora, in quel suo disegno particolare.

Passarono dieci minuti prima che Kaede si facesse vivo, con sul naso i suoi caratteristici paio di piccoli occhiali, i capelli ramati più arruffati che mai e delle occhiaie che cominciavano ad essere importanti, sotto ai suoi occhi del colore del cristallo. Non dormiva da tanto, era chiaro, e dall'espressione non sembrava particolarmente di buon umore. La kunoichi lo aveva visto iracondo, è vero, ma per quanto poco lo conoscesse sembrava preferire l'aria da intellettuale sognante su ricerche e studi che quella di pazzo vendicatore. Era però un Ashura, per quanto lei potesse sapere era anche l'ultimo, e avere sulle spalle la responsabilità di poter per sempre far sparire la propria stirpe avrebbe fatto impazzire chiunque.
Eiki mi ha detto che si è ripresa bene, mi fa piacere. Adesso, se permette, vorrei spiegarle che succede. Aveva tra le mani un libricino di appunti e cominciò a sfogliarlo prima di continuare: Il "contagio" del Chiton non è altro che il passaggio del parassita da Ashura a un'altra persona, ma, come anche Hajime le ha detto, questo muore immediatamente non riuscendo a creare connessione con il sangue non Ashura, bloccando l'Emosintesi. Tutto vero, tutto interessante, ma erano informazioni che Urako doveva avere ben chiare da tempo. Ovviamente però, la storia non era tutta lì: Esiste però un modo per permettere al parassita di sopravvivere in un ospite non Ashura, ovvero garantirgli un afflusso di chakra costante, a distanza, a cui farlo legare. Continuava a sfogliare le pagine, scorrendo il dito sulle formule, sui disegni e sugli schemi che erano sopravvissuti alla miriade di cancellature presenti - Il chakra non viene però mandato direttamente al parassita perché, come avrà visto, si nasconde nel sangue stesso dell'ospite, trovandosi di fatto ovunque e da nessuna parte. Questo vuol dire che, in maniera molto semplice, l'Ashura fa fluire il proprio chakra nel sangue dell'ospite, lasciando che sia il parassita stesso a percepirlo, trovarlo e sfruttarlo. Si fermò per qualche secondo, lasciando che Urako capisse che cosa le fosse successo prima che continuasse la spiegazione. La guardò a lungo, con le dita della mano destra che tamburellavano sul quadernino. Sono riuscito a controllare il suo contagio, studiando attentamente le reazioni che l'Emosintesi causava al suo corpo, livellando di volta in volta l'afflusso di chakra al parassita per capire in che modo cercasse di sopravvivere. Ogni volta che diminuivo in maniera importante le dosi di energia, il suo corpo ne risentiva in maniera abbastanza netta, fino al declino assoluto con epistassi grave e perdita di conoscenza quando le ho interrotte. Girò nuovamente pagina, andando finalmente al nocciolo della questione e alle scoperte fatte "insieme" alla giovane dottoressa di Kiri, più una cavia da laboratorio in realtà, in quella circostanza. Quello che succede è che il parassita, dopo una serie di cicli di chakra prolungati e consecutivi, si adatta al nuovo ospite e al nuovo sangue, apprendendo di poter continuare a vivere anche nella nuova situazione. E' come se si stabilisse un rapporto di fiducia tra Ashura e parassita, come con un essere vivente, che comincia a fidarsi se gli si garantisce la... vita. Poi, quando la connessione è salda, se lo si priva dell'energia lui la cerca nel sangue del nuovo ospite sicuro di poterne trovare dell'altra, finendo a quel punto per utilizzarne la sua inconsapevolmente, prosciugandola in maniera molto più rapida di quanto faccia con un Ashura. E questo è... tutto. E' tutto qui, il parassita prosciuga tutta l'energia dell'ospite uccidendolo, morendo poi anch'esso di conseguenza. Questo non ci salva, non salva né me, né te. Tutto quello che veniva dopo negli appunti era stato sbarrato, cancellato o addirittura strappato. Non c'era altro, se non un piccolo e fondamentale dettaglio: Il parassita muore però perché prosciuga troppo velocemente il chakra dell'ospite, effettuando un'emosintesi con il suo sangue molto più rapida del normale, ritrovandosi senza energia troppo in fretta. Non muore quindi per avvelenamento da sangue non Ashura, tanto è vero che i sintomi da Emosintesi sono identici sia per gli Ashura che per chi non lo è. Insomma, lui effettua l'Emosintesi correttamente, solo troppo in fretta.

Kaede aveva detto che sarebbero dovuti essere i ninja stessi quell'energia inesauribile di cui gli Ashura avevano bisogno, e adesso sembrava un'idea molto più concreta rispetto alla farneticazione di un uomo in preda alla rabbia.

Che tu mi voglia aiutare o meno, sappi quindi che la tua vita dipende da questo. Se io muoio, il parassita prenderà la tua energia e morirai anche tu. Se continuo per troppo tempo a "sfamarlo", terminerò il chakra e lui prenderà il tuo. Anche in questo caso moriremmo entrambi. La sua voce era tremante, era come se temesse tutto quello che aveva raccontato, come avesse paura di se stesso e del destino a cui era legato il suo sangue maledetto. La speranza che quella giovane kunoichi di Kiri lo salvasse dall'oblio dell'estinzione sembrava l'unica che gli era rimasta, sebbene fosse lui in realtà ad avere la vita di Urako tra le dita. Sarebbero sprofondati insieme, e insieme sarebbero sopravvissuti o morti inseguendo l'inesorabile scorrere del tempo.
E lui non dormiva, non avrebbe potuto, per quella brava ragazza.
 
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view post Posted on 30/5/2020, 23:32     +1   -1
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11 Giugno 249 DN – pomeriggio



I minuti di attesa trascorrono vuoti ed eccezionalmente pieni nello stesso tempo: colmi di formicolio di parassita, di battiti del cuore, di respiri, di scricchiolii della pelle sintetica dei cuscini del lettino, di fruscii di stoffa e di carta, di penombra, di odore di medicinali, di calore di vita che non se n'è ancora andata. Potrebbe restare così in eterno. Ad aspettare Kaede... respirando, distesa, pensando poco, parlando per niente.

Sente Kaede entrare nella camera sterile: il fruscio lamentoso della plastica scostata e il rumore ritmico di passi, accompagnato dal tenue sfregare dei tessuti degli abiti dell'uomo; lo sente respirare prima di prendere la parola, con quello schiocco leggero che fa la bocca quando si apre per la prima volta per parlare: è una cosa che senti solo quando c'è davvero silenzio.
Lo sente parlare; scosta pigramente il braccio dagli occhi, fissandoli in quelli stanchi e scavati dell'uomo. Ha il viso sfatto. Lei si poggia il polso sulla fronte, liberando del tutto il campo visivo senza rispondere né sì né no all'annuncio del medico, intenzionato a spiegarle qualcosa in più.

Ascolta senza interrompere, battendo le palpebre ogni tanto, incamerando le informazioni nuove e confermando quelle che aveva avuto modo di immaginare.
Le opzioni di prima... bah, non se ne fa più nulla: o risolve alla maniera del Sarto, o muore assieme all'ultimo Ashura e a tutti gli abitanti di Gashima. Egoisticamente crede di preferire una morte in compagnia... un po' come quando è arrostita viva nel Gedo, assieme a tutti i suoi compagni di squadra e al Mizukage.

Vorrebbe prendersi il suo tempo per rispondere, finché... beh, finché non si rende conto che tutto il tempo che Kaede passa a rimpinzare il doppio dei parassiti, dimezza la distanza che li separa dal capolinea. Allora sì che toglie la mano dalla fronte, espira sbuffando leggermente e si tira a sedere sul lettino, a gambe incrociate, poggiando le mani sulle caviglie sovrapposte. Lo scruta accigliata.
“Io desidero aiutarci, Kaede, ed aiutare gli abitanti di Gashima” dichiara senza troppi giri di parole - “non desidero però che un vendicatore inarrestabile si presenti a Kiri e ammazzi la mia famiglia e i miei amici, anche se non prova odio nei miei confronti.
Se mai riuscisse a guarire grazie al mio contributo, qualsiasi cosa ne sarà di me, voglio la sua parola che lascerà in pace il Villaggio. Vada dove le pare: rimanga qui in anonimato, fugga lontano da Kiri, accetti la mia protezione e venga con me... non ha importanza. Rispetterò la sua decisione, la supporterò con i miei mezzi, perché credo sia l'unica soluzione corretta a questo guaio.
Ma se in tutta onestà non crede di poter trattenere la sua furia, allora tiri fuori tutta la morfina di scorta, perché intendo farne uso quando deciderà di staccarmi la spina. E della carta da lettere con una penna. Ai miei pensa il Mizukage, ma devo avvisare un amico di Konoha.
Detesto l'idea di sparire senza una parola, al Villaggio di lui non ho mai detto nulla...”
riflette ad alta voce, con una smorfia. Affidarsi a Eiki non le garantisce niente, specie se si fosse accorta che il destinatario altri non è che l'attuale Eremita dei Gatti che tanto detesta.

Atteggiarsi come se potesse garantire per certo il realizzarsi delle sue promesse è a dir poco presuntuoso: Kirotaba sarebbe fiero di lei. Peccato non averlo lì a infamarla un'ultima volta. Dopo tutta la fatica che ha fatto, per domare il vecchio spettro.



CITAZIONE
Ci tenevo a chiarire questo punto prima di proseguire, visto che si gioca a carte scoperte (più o meno XP)
 
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view post Posted on 5/6/2020, 16:21     +1   -1
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Non la interruppe mai durante il suo discorso, Kaede rimase lì, in silenzio, con lo sguardo fisso sugli occhi della kunoichi. Non aveva l'aria di un assassino vendicatore, voleva soltanto sopravvivere e voleva farlo facendo giustizia al nome del proprio clan, ma fino a quale costo? Kiri non aveva avuto pietà di quella gente, calando la lama sui sopravvissuti alla malattia e occultando le prove del suo coinvolgimento con la storia, e allo stesso modo l'uomo non voleva voltarsi dall'altra parte per sistemare la faccenda senza versare il sangue dei suoi carnefici. Ho passato tutta la mia vita a studiare la maledizione degli Ashura, la mia famiglia, chiedendomi ogni giorno se non fossimo semplicemente nati in questo modo, maledetti da chissà quale entità superiore. Ma sono un uomo di scienza, in questo mondo nulla è per caso, ogni cosa esiste per uno scopo e ho pensato bastasse scoprire quale fosse il nostro. Urako poté vedere i suoi occhi tornare ad arrossarsi, e il suo trattenersi dal lasciar andare via lacrime amare, Andava troppo in là quella ricerca, era troppo importante per promettere a quella giovane fanciulla qualsiasi cosa. Ma è... così difficile. Gli tremò la voce e si portò una mano davanti al viso per intercettare le lacrime, sistemandosi poi gli occhialini poggiati sul naso. Era inquietante osservare i suoi occhi cristallini saturati di rosso, con un rivolo di sangue che sfuggì alla piena viaggiando sulla sua guancia. Con il palmo della mano la pulì finendo di fatto per macchiarsi ancora di più il viso, disegnando una mezza maschera di sangue che arrivava fino all'orecchio. Urako vide in quel preciso istante chi fosse in realtà Kaede, un uomo fatto di parole e piccoli gesti, lacrime e sangue, genio e tristezza. La rabbia, la vendetta e la follia non dovevano far parte di quel disegno, eppure il sangue che gli scorreva nelle vene non sembrava lasciargli scampo. Era la sua maledizione: nascere, crescere e morire nel sangue, nel proprio e in quello dei suoi nemici.
D'accordo, se riusciremo a salvarci allora scomparirò per sempre. Non sentirai mai più parlare di me. All'improvviso, dopo quegli attimi di silenzio, decise di accettare la condizione della ragazza. Non gli rimaneva altro da fare senza rischiare di impazzire dietro ai fallimenti degli ultimi test. Urako era la sua ultima speranza, l'unica rimasta, senza la quale si sarebbe ritrovato da solo a soffrire i sintomi dell'Emosintesi che, rapida o lenta che fosse, lo avrebbe consumando inesorabilmente. Ti darò accesso a ogni cosa esistente sulla mia ricerca. L'avrebbe condotta alla sua personale collezione di fascicoli, informazioni, ritagli di giornale degli anni degli Ashura e a tutta quella strumentazione che fino ad allora, la giovane Chunin aveva visto soltanto da "esterna". Le avrebbe concesso il suo tempo per riprendersi, offrendole altro cibo e qualsiasi cosa avesse richiesto che la facesse sentire bene, con l'unico limite costituito dal tempo che ticchettava sui loro colli come la più affilata e mortale spada di damocle. La ragazza di Kiri si sarebbe dovuta però fare adesso una domanda, che tra le altre era quella che assumeva più importanza di tutte: doveva fidarsi di Kaede? Poteva l'ultimo Ashura rimasto scegliere la vita e la ricerca alla vendetta?

||Questo sarà un post particolare, dovrai in sostanza ruolare le 24 ore successive a questo momento, descrivendo l'approccio agli studi, il tipo di test che vorrai effettuare, in che modo vorrai interagire col parassita ecc. Riesuma tutto quello che hai imparato sul Chiton e gli Ashura fino a questo momento e prova a immaginare una soluzione, che non deve necessariamente essere giusta o sbagliata. Sarà semplicemente il tuo, anzi, il vostro tentativo di salvarvi le vite. il "libero accesso" ai fascicoli sugli argomenti e ai cenni storici che ha menzionato Kaede altro non è che la possibilità di farmi domande sull'argomento che ti riporterò come risposte di Kaede a Urako, finché possibile, che siano chiarimenti su concetti già spiegati o su alcuni ancora oscuri. Giocati bene le tue carte, molto passa adesso da qui. Per qualsiasi cosa, sai dove trovarmi.
PS. Dopo circa 18 ore Kaede comincerà a soffrire la mancanza di sonno, rischiando di addormentarsi (mostrerà anche diversi sintomi del Chiton). Se questo accade, Urako muore. Come avrai intuito, dovrai gestire tu anche questo fino alla ventiquattresima ora. ||
 
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view post Posted on 26/7/2020, 22:33     +1   -1
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CITAZIONE
Augurandomi che sia valsa l'attesa (per ambedue lol, non ne potevo più)

11 Giugno 249 DN – 18.10




Accesso a ogni cosa esistente sulla ricerca di Kaede, presumibilmente illimitato.
La mente compie da sé i primi calcoli, balzando col pensiero in avanti, a velocità di gran lunga superiori a quelle concesse al corpo: con lo sguardo fruga rapidamente la camera sterile, alla ricerca di qualcosa di adatto a ciò che ha in mente. I tamponi di cotone stipati in un barattolo di vetro fanno al caso suo; a staccarsi la flebo pensa lei, a bloccare il forellino dell'ago provvede sempre da sé, con un buon numero di giri di garza che le stringono spiacevolmente il braccio. E nel frattempo la mente ferve, lavora incessante. Non osa richiamare il maledetto chakra per richiudere la ferita, chakra che si è trasformato nel giro di mezza giornata da una risorsa preziosa al suo peggior nemico; tempo da perdere non ne ha, non può lasciare che il sangue le goccioli sugli appunti e sugli articoli, men che meno sui vetrini, né dal braccio né dalle narici: le tappa a prescindere, infilandoci dentro un tampone ciascuna. Anche se respirare dalla bocca è scomodo e gliela fa seccare tutta, meglio quella soluzione, che correre il rischio di imbrattare in giro.

È pronta.
Chiude gli occhi.
Sente il cuore ruzzolare agitato nel torace.
Respira profondamente.
Si forza ad aprire le palpebre, a mettere un piede dietro all'altro, a farsi strada tra i teli di plastica fruscianti che separano la camera sterile dal resto del laboratorio, con uno stanco Kaede al seguito.
Masuda Kirotaba: non può invocare il vecchio spettro perché le conceda la sua forza, come si farebbe con un Kami, anche se in fondo vorrebbe poterlo fare. Sente che pregare potrebbe essere rassicurante, in un modo o nell'altro, ma quello là – il Sarto - è ed è stato tutto, fuorché divino. Quello che serve a lei è la caparbietà di inseguire una salvezza improbabile: una testardaggine che sa essere appesa a un filo, minacciato da una paura insaziabile.


18.15



Una manciata di secondi dopo piomba nella prima stanza che ha visitato solo quella stessa mattina, quella che sembra custodire tutto il materiale e le informazioni raccolte fino a quel momento; individua un tavolo meno ingombro di altri, sposta sbrigativamente il ciarpame verso i bordi per farsi spazio e inizia a tirare giù i primi fascicoli dallo scaffale, dal ripiano più in alto.
Sembrano contenere un misto di ritagli di giornale accompagnati da note a margine scritte a mano, e intervallati da appunti e testi più corposi.
Il primo passo è colmare le falle logiche dei racconti di Hajime e dello stesso Kaede, che si è accasciato su una delle sedie appena hanno raggiunto la nuova stanza. A guardarlo, ora che c'è più luce, sembra ancora più pallido e stanco che nella camera sterile.
Dovrà stringere i denti anche lui.
Urako ha bisogno di capire come si siano davvero concatenati gli eventi, in un periodo storico che non è ancora riuscita a collocare nel tempo; le domande inespresse si affastellano l'una sull'altra in una testa che non può riuscire a contenerle tutte, mentre gli occhi scorrono una serie infinita di kanji, fotografie, titoloni di giornale, righe su righe di manoscritto – che per sua fortuna, è sempre redatto con una grafia ordinata e pulita. La fortuna è solo quella: sono chili di carta, litri di inchiostro, chilometri di testo.

Il bisogno di tenere sotto controllo l'ansia si fa prepotente: sente di non riuscire ad afferrare e trattenere tutte le cose che le vengono in mente. Le mani salgono istintivamente alle tempie, stringendole in una presa nervosa.
Le servono carta, penna, qualcosa su cui prendere appunti.
Li chiede, le vengono subito consegnati.
Si trova a lottare con la paura che niente di tutto ciò possa bastare.
Si forza a scrivere lo stesso.
Inizia a buttare giù febbrilmente annotazioni a sua volta, con una grafia spigolosa che a mala pena riconosce come sua, infilandole di traverso tra le pagine più rilevanti dei faldoni di Kaede, a mo' di segnalibro, o riponendole al centro del tavolo, in una pila ordinata; trascrive le domande che le vengono in mente, appunta ipotesi e le loro conseguenze, collega questo o quell'elemento con frecce... la carta si va riempiendo di simboli e parole, mano a mano che la quindicenne si addentra in quel dedalo di informazioni palesi o sottintese.

Quando è avvenuta la famosa impennata nelle malattie degli Ashura, prima che venissero messi in quarantena dal Villaggio? E perché l'impennata è avvenuta proprio in quel momento, e non prima, o dopo? Era avvenuto qualcosa di particolare in precedenza, qualsiasi cosa che abbia interessato gli Ashura o l'ambiente in cui vivevano, che abbia alterato i loro ritmi biologici e li abbia portati a sviluppare disturbi? Vivevano tutti insieme in un quartiere alla maniera dei vecchi clan, o ogni famiglia per conto suo, tutte sparpagliate per Kiri?
Qualche risposta ai suoi interrogativi la trova leggendo qui e là, tra gli appunti concessi da Kaede: ricerche scritte di suo pugno probabilmente, nel corso degli anni.
È tutto – o quasi – impresso nella carta, da estrarre con fatica e concentrazione, uno strato dietro l'altro.
Pare che gli Ashura vivessero in un quartiere specifico di Kiri, come la maggior parte dei clan riconosciuti ufficialmente dal Villaggio; con l'attivazione della quarantena erano stati prima confinati e successivamente, all'aumentare dei contagi e dei morti, spostati in un piccolo isolotto, chiamato dai piani alti Isola rossa.
Isola rossa...
La quintessenza del buongusto dei piani alti del Villaggio...
L'associazione involontaria di idee fa il resto: il volto macchiato di sangue di Kaede le danza davanti alla faccia, impresso di fresco nella memoria. Detesta il contrasto di colore tra l'azzurro degli occhi dell'uomo e il rosso vermiglio del sangue. Scuote la testa: deve tornare a lavorare.

Non riesce subito a concentrarsi di nuovo.
Il ricordo del viso insanguinato si sovrappone alla pagina usurata.
Sbuffa e rovescia la testa all'indietro.
Allenarsi e studiare non sono la stessa cosa.
L'orgoglio per non aver mai trascurato gli studi libreschi si sbriciola: il corpo ha dei limiti, ostacoli che non le piacciono e che non può evadere, specie nella sua parte più potente e delicata.
“... Kaede-san... per caso ha altri biscotti?”


20.15



Una ciotola con una manciata di frollini con gocce di cioccolata – quelli superstiti - ora troneggia al centro del mare di carta stampata e scritta, a portata di mano; la fastidiosa polverina che li ricopre si sparpaglia sottile sui fogli affastellati, occasionalmente spazzata via con colpi di mano nervosi.
Ma tornando ai nostri illustri.
Lo studioso sembra associare nei suoi scritti l'avanzamento della ricerca sul Chiton da parte di scienziati e medici Ashura all'aumentare dei contagi: a detta sua, una volta scoperto il potere della loro abilità, sempre più membri del Clan avrebbero provato a svilupparla... finendo però vittime del loro stesso potere. In altre parole: più Chiton, più chakra per l'emosintesi, più contagi.
Un appunto in particolare attira l'attenzione della kunoichi, sottolineato più volte: "Si contagiavano tra loro!!"
Fa scorrere il dito sotto quella frase, riducendo gli occhi a due fessure: ha l'impressione che possa portare a qualche deduzione importante, ma in questo momento sente di non avere abbastanza elementi per poterla sfruttare in maniera adeguata. Questo pensiero la fa sbuffare. Trascrive la domanda tra i suoi appunti, cerchiandola tre volte con pesantissimi tratti di matita.


20.20



Continua a sfogliare le raccolte, tirandole giù dallo scaffale una alla volta: afferra un raccoglitore dall'aria pesante e la copertina marrone abbastanza usurata e lo spalanca sopra agli altri. Dopo un rapido controllo, sente la sua attenzione tornare a risvegliarsi: se non fraintende quello che legge, pare che contenga qualche informazione sulle origini del clan.
Le domande ancora aperte sono parecchie: sono diventati quegli Ashura dopo aver manifestato il chiton e si sono quindi raggruppati, o erano già insieme quando sono scoppiati i primi casi? Quale impatto avrebbe potuto avere ciò sulla diffusione del morbo?
Probabilmente l'ipotesi corretta è seconda delle due: lo stabilisce scorrendo col dito qualche altro metro di kanji stampati fittamente, con un carattere passato di moda da un bel po' di anni: pare che fossero sempre stati insieme, da che si ha memoria. Addirittura, storicamente, i primi grandi medici di Kiri sembra proprio che fossero membri del Clan Ashura, anche se Urako non sarebbe riuscita a rintracciare conferme sulla loro capacità di usare il Chiton sin dall'inizio; Kaede, nelle sue annotazioni, sembra essere convinto di sì.

Immergendosi tra articoli, appunti, commenti, tra un biscotto e l'altro e uno spolverare di briciole cadute sulla carta, il clan prende lentamente forma nella mente di Urako: un clan con radici incredibilmente profonde a Kiri, di cui i primi esponenti non dovevano essere molto lontani dai fondatori. Anche se privi di abilità, gli Ashura erano ritenuti gente incredibilmente intelligente.
Intelligenti sì, ma se erano tutti come quello là, dovevano avere delle abilità sociali da brivido – si dice, massaggiandosi gli occhi. Ha dormito fin troppe ore quella giornata, al contrario di Kaede: non può permettersi il lusso di assecondare la stanchezza. Abilità sociali pessime, ma nessuna fonte riporta che queste capacità intellettive fossero associate a disturbi psichici di qualche tipo... in buona sostanza, la stramberia di Kaede è solo un tratto personale...

Deve per forza esserci una ragione però, se quelli là iniziavano proprio gli studi medici in massa: se no si sarebbero estinti molto prima. Si sa che Kiri è un posto bellicoso. Di pari passo vanno i comportamenti del parassita quando esposto al chakra medico: se questo gli fosse stato davvero nocivo, ogni esposizione casuale in ospedale avrebbe fatto saltare in aria una stanza, se la reazione non fosse stata controllata da un utilizzatore abbastanza esperto.
Intelligenti com'erano – o come si riteneva che fossero – non ha il minimo senso che praticassero in massa un lavoro mortale, sia per loro che per i pazienti.
È Kaede a rispondere alla domanda che alla fine si decide a fargli: "Quando abbiamo dimostrato la reazione del parassita in salute al chakra curativo... ho pensato proprio a questo. È ovvio pensare che gli Ashura si siano avvicinati alla medicina sin dagli inizi, per curare i loro primi malati, probabilmente tenuti segreti; il chakra curativo sui malati non ha reazioni particolari sul parassita. Scavando a ritroso non ho mai trovato niente su questo però."
Urako annuisce, espira lungamente e si sforza di riportare lo sguardo sugli appunti. Di nuovo una sorta di vicolo cieco. Aveva quasi sperato di poter ripristinare un po' delle forze di Kaede irraggiandolo col Konji-kin, anche solo per prolungare di qualche giorno il tempo concesso loro dal Parassita famelico.

È mentre volta una pagina che un pensiero le attraversa la mente e si ferma di botto, col foglio di carta girato a metà: una frase di Kaede è improvvisamente riemersa dalla memoria, e la tormenta fastidiosamente. Io e Hajime abbiamo ragione, è impossibile un contagio in così larga scala senza una continua fonte di energia a cui il parassita possa aggrapparsi.
La quindicenne osserva per un istante l'uomo, batte e palpebre un paio di volte e... “Kaede-san, per quanto sia sgradevole, sento il bisogno di chiederlo: tutti i pazienti di Gashima... li ha davvero contagiati lei, volontariamente, o è stato un incidente?
Per carità, comprendo il desiderio di sopravvivenza nel caso”
mente spudoratamente, cercando di prepararsi all'eventualità di star coprendo un omicida di massa - “Il tizio che si è portato via Hajime poi, chi è?” aggiunge subito, forse per smorzare un po' l'impatto della prima domanda.

Deve aver colpito un nervo scoperto... vede Kaede fermarsi a respirare e cercare la seduta più vicina. Lo scienziato si prende qualche secondo prima di rispondere, ma prima che riesca ad articolare qualcosa interviene Eiki, che fino a quel momento aveva gironzolato per la stanza per i fatti suoi: è lei che rivela un argomento che Kaede, evidentemente, teneva ad evitare.
"Pensavo avessi ormai capito che non esiste nessun malato a Gashima. Con quale chakra credi possa sfamare metà popolazione infetta? Sarebbe morto da tempo già" – detto ciò, se ne va a strisciare tra le gambe del padrone, mentre Kaede termina la risposta: "Il paziente mandato ad Hajime era l'unico su cui stavo sperimentando. La mia Cavia Zero.
In vita ho sempre cercato di non usare il mio chakra, non prima di capire come poter salvare il nome della mia famiglia. Ma già così, con solo due persone tenute in controllo... sento già dentro di me cambiare qualcosa. Il parassita mi sta distruggendo"
confessa, mettendosi le mani tra i capelli. Il pallore e le occhiaie sono più evidenti che mai.
Lei impiega qualche istante a trovare le parole giuste per una replica. Vero, sarebbe stata un'impresa inspiegabile, ma quanto è meglio sapere di non stare aiutando un assassino pluriomicida?
“Non è confortante, ma è comunque una buona notizia. Non potevo escludere che avesse avuto bisogno di energia, e avesse deciso di... prendere in prestito la loro, per così dire, salvo poi cercare una cura per rimediare al danno. Per quello che vale, Kaede-san, questo per me è un dato positivo.”

Se non ce l'avesse fatta, la conta delle vittime per lo meno si sarebbe fermata a tre. Peccato per quel poveraccio, nessuno merita una fine simile.
Nessuno. Lei inclusa.
Il raggio d'azione del chakra di Kaede, piuttosto, ha un che di stupefacente... quanti chilometri li separano dal capanno nell'acquitrino? E un Ashura nemmeno troppo abile è in grado di mantenere il Parassita a una distanza simile?!

Un silenzio concentrato cala nella stanza, interrotto solamente dal frusciare della carta, dal grattare del lapis sul blocco degli appunti, dai sospiri pesanti che ogni tanto ha bisogno di buttare fuori, dai gemiti della sedia spostata indietro e dallo scalpiccio ritmico di passi: rumori che si ripetono in ordine, come un piccolo ciclo delle stagioni nella sua versione da laboratorio. Crede di aver preso un buon ritmo di lavoro e non si aspetta minimamente che quella sensazione spiacevole la aggredisca così, all'improvviso: quando la riconosce per quello che è, gira di scatto la testa – con tanto di scricchiolio di vertebre cervicali – verso l'Ashura, e prima ancora di recepire l'ondata di adrenalina, lo sguardo cattura con orrore l'immagine di un uomo pericolosamente vicino ai suoi limiti: è la mancanza di sonno, a quanto pare, il primo creditore a bussare alla porta; anche senza averne la certezza matematica, Urako crede di sapere cosa potrebbe avvenire, nel momento in cui l'Ashura dovesse assopirsi.
E reagisce d'istinto, disordinatamente, come si fa davanti a un pericolo imprevisto.

“Oi... OI, KAEDE-SAN! esclama schizzando giù dallo sgabello: pessima idea, le ginocchia cedono e sbanda contro la scrivania, picchiando un fianco contro il bordo di legno. Fa male. Lo ignora. Raggiunge Kaede, non saprebbe nemmeno dire come, la stanza le balla intorno vorticosamente. L'intensità della sberla che avrebbe affibbiato allo studioso sarebbe dipesa dal suo grado di sonnolenza, dopo quello strillo: uno schiaffetto o un bel ceffone, insomma. “Caffeina. Subito. Prenda dell'ossigeno per tutti e due. Dobbiamo ritardare gli effetti dell'ipossia e farle passare il sonno. Posso continuare a lavorare? Ce la fa da solo?” domanda con insistenza, affannata come dopo una lunga corsa, mentre barcolla verso la caffettiera e versa in una tazza forse sporca, forse pulita, non le importa, quel fondo freddo, granuloso e marroncino rimasto in fondo al recipiente. Ci butta dentro una generosa dose di zucchero, gira il tutto con una certa fretta e lo ficca in mano all'uomo - “Caffeina, zuccheri, ossigeno. Mandi giù tutto. Lo so che fa schifo. Ne faccio dell'altro, va', ma prenda subito le bombole!” lo esorta mentre svita le componenti della macchina del caffè e prepara una dose piena di bevanda, non senza rovesciare almeno una cucchiaiata di polvere a terra, per l'agitazione.
Le mani sono fredde, le tremano tanto che per poco non le sfugge il bollitore dalle dita.


21.30



Quando torna sugli appunti, anche solo leggere e comprendere una singola riga di testo è diventato eccezionalmente difficile.
L'idea che Kaede si addormenti di colpo, di non fare in tempo a svegliarlo, è uno spettro incombente che demolisce la sua facoltà di concentrarsi.
I ritagli di giornale sono ingialliti e ricoperti dalle tipiche picchiettature giallastre che colpiscono la carta vecchia; sicuramente hanno anche l'odore tipico dei giornali vecchi, ma adesso non può avvertirlo, col naso occluso dal cotone. È lo stato della carta ad attivare nella sua mente la domanda che avrebbe dovuto porsi da un pezzo: lo sguardo scorre verso la parte alta delle pagine, dove sono impresse le date di emissione dei quotidiani da cui erano state strappate. Roba di cinquanta, forse sessanta anni fa addirittura, nei casi dei fogli più vecchi. Aggrotta le sopracciglia: quanti anni aveva quell'uomo, quando è stato perpetrato lo sterminio?
Farlo parlare, tra le altre cose, potrebbe essere una buona idea per tenerlo sveglio: motivo in più per tartassarlo. "Le date che leggo sono troppo vecchie, Kaede-san. Non mi spiego come abbia fatto ad accorgersi, da solo, di portare quel sangue nelle vene" lo apostrofa, appena lo sente tornare nella stanza. Si stacca dalle carte lo stretto indispensabile per recuperare ossigeno e mascherina per sé, prendendo una lunga boccata di gas per cercare di riattivare i neuroni stremati.

Un probabile orfanello scampato non si sa come a uno sterminio metodico, che per intervento divino viene informato sulle proprie origini? “Ha altri parenti in vita, oltre Hajime?”
Sì, è un bluff bello e buono, ma porta a un vicolo cieco: i due non sono affatto parenti, l'aria sconcertata di Kaede è troppo genuina per essere artefatta. Certo che sarebbe stata un'ipotesi affascinante: la Cavia Zero che muore alla morte di Kaede e Hajime che sfoga la sua ira contro il Villaggio inerme...
Le risponde senza alzarsi dalla sedia, la mascherina un po' scostata dal viso: "Io ho disotterrato la verità sulle mie origini... Volevo ridare un nome alla mia famiglia. Io voglio solo dimostrare che quella degli Ashura non fosse una maledizione... sono cresciuto da solo da che ho memoria, con un sogno. Non conosco la mia famiglia" – d'accordo, orfanello confermato - "se non tramite i racconti su quei giornali."

Gli lancia un'occhiata stranita: "... e allora sopravviva, Kaede, e se ne faccia una sua, di famiglia. Non ho ancora capito però come si sia reso conto del suo retaggio, se Kiri ha insabbiato tutto. Si è sentito male all'improvviso e ha deciso di approfondire? Senza spendere chakra come fa adesso, avrebbe potuto andare avanti per anni ignaro, senza accorgersi di nulla..."
"Ho sofferto abbastanza da sapere chi fossi" – e Urako, sentendosi scodellare una simile scempiaggine melodrammatica, è sul punto di roteare gli occhi per l'esasperazione: forse è la cretinata più grossa che potesse sparare, ed è lì quindi che c'è bisogno di scavare; lui si appoggia allo schienale della sedia, lì lì per dormire, di nuovo... e a lei salta la mosca al naso, di nuovo.
Si allontana di scatto dal tavolo su cui ha poggiato i faldoni con gli articoli e marcia a grandi falcate – per quanto consentito dalle sue gambe, non esattamente lunghe – e ghermisce la mascherina quasi penzoloni, strappandola dalle dita infiacchite dell'uomo "... questo non mi aiuta. E NON DORMA!" lo rimprovera seccamente, ficcandogli la mascherina di nuovo sul naso "Faccia due passi e prenda dello zucchero, non riesco a lavorare se non collabora. Mi servono fatti e dati quantificabili. Qual è stata la prima volta che si è reso conto della sua condizione? Lei ha detto che il parassita nasce nel sangue di un Ashura, ma questo non è chiaro: deve per forza venire da qualche parte, o trasmesso durante la gravidanza o contratto subito dopo la nascita. Sono passate decine di anni dallo sterminio. Almeno uno dei suoi genitori deve essere fuggito ed essere sopravvissuto venti o trent'anni senza manifestare nulla, e così lei, prima di intaccare il Paziente Zero. Vuol dire che un modo per convivere col Parassita c'è, a patto di non scatenarlo, e se normalmente il parassita è invisibile, deve per forza aver fatto qualcosa per provocarlo.
Lei potrebbe portare una mutazione del Parassita, se fosse di sangue misto, e per questo riuscire a trasmetterlo a terzi. Ha mai fatto ricerche in questo senso?"


Il soffiare irritato di Eiki si oppone allo sbottare della kunoichi ma Kaede la calma, accarezzandola al collo, cercando di svegliarsi con un paio di schiaffi; alza lo sguardo osservando Urako e sorride: "Potrebbe, davvero, potrebbe essere. Dal midollo che mi ha prelevato ho potuto notare alcune sottili ma sostanziali differenze, ma non posso dire se ogni Ashura abbia delle particolarità. Ma... io, sangue misto? Lo crede possibile?"
Lo crede pù che possibile.
È difficile che una sola persona sfugga ad un'epurazione, se è Kiri a ordinarla, figuriamoci due soggetti isolati o addirittura una coppia! Le probabilità puntano nella direzione di un ipotetico figlio illegittimo, sfuggito quindi alle maglie della Nebbia e poi morto poco dopo aver procreato a sua volta il protagonista di quella faccenda.
Kaede sta a pensarci a lungo, riprendendo la parola solo quando sembra aver raggiunto una qualche sorta di conclusione: "L'emosintesi è costante, fin dalla nascita, DEVE essere così. Ma senza utilizzare il chakra per le arti Ninja, e soprattutto senza usare il Chiton, lo scambio potrebbe anche continuare per tutto il ciclo vitale di un Ashura. I malati avevano tutti un'età compresa tra i quindici e i trent'anni perché era l'età in cui i Ninja cominciavano a sviluppare le proprie abilità, imparando a impastare il chakra. Non l'avessero mai fatto avrebbero potuto continuare a vivere senza problemi, o almeno avrebbero potuto avere una possibilità. Io ho provato in verità a usare il Chiton in passato, con effetti disastrosi per il mio corpo. Così ho deciso di non usare mai più il mio chakra.
Quando usavo il chakra... gli effetti erano terribili, immediatamente. Anche adesso, mentre alimento il parassita nel tuo corpo io..."
- si ferma un attimo, come colto da un'illuminazione - "Un'emosintesi più veloce del normale.."
Urako lo fissa piuttosto torva, trattenendosi dallo sbuffare. “Lavorerei molto meglio se fosse completamente onesto con me, Kaede-san” commenta cupamente - “Come se avesse alternative” lo punzecchia, aggrottando nuovamente le sopracciglia.
"Deve anche capire la mia posizione, inizialmente dovevo essere accorto riguardo le informazioni... É pur sempre una Kunoichi di Kiri" replica lui – una risposta prevedibile, che decide di ignorare, per non perdere tempo in discussioni inutili.
Deve puntare dritta al sodo.
“Mi sta dicendo che la rapidità del suo malessere potrebbe essere legata alla sua minore resistenza all'Emosintesi, causata da un sangue non puro?” lo incalza, sentendo le domande affastellarsi l'una sull'altra; "no no... Ragionavo sulla sua teoria del sangue misto. Il parassita nel suo sangue agisce troppo velocemente, così come fa con me quando uso il chakra. Magari considera anche il suo "sangue misto". Se io avessi sangue misto, quanto Ashura sarei? Per metà? Un quarto? E lei in questo momento, mentre le dono il chakra, come sarebbe considerata?"
Una serie di domande aperte, che finisce per trascrivere sui suoi fogli, senza riuscire a collegarle con altri concetti. Il labirinto si espande senza presentare uscite palesi.


22.20



Dopo un certo numero di ore di studio, arriva anche il momento di sviscerare tutte le ipotesi. Tutte, ma proprio tutte, incluse quelle che non promettono bene, iniziando da ciò che aveva evitato di dirgli in prima battuta: “Dovrebbe sapere che il cuore per noi shinobi rappresenta il centro del sistema circolatorio del Chakra. Questo si sposa con l'andamento della malattia, che colpisce gli arti e le zone periferiche, dove la circolazione risulta meno attiva.
I piedi di una persona hanno la funzione di un secondo cuore, favorendo passivamente la risalita dei fluidi corporei quando sono messi in movimento... e mi creda, so che questa osservazione potrebbe essere stupida, ma è possibile che il degenerare fisico sia legato al movimento fisico?
I trent'anni sono la soglia in cui il fisico ha cessato la crescita e inizia a declinare. Senza un'attività fisica regolare, il sistema si mantiene in equilibrio per qualche anno, poi iniziano vari disturbi... tutti gli Ashura erano medici, giusto? Lavoravano sul fronte o in ospedale? Quanto movimento giornaliero potevano svolgere?”

L'uomo risponde abbastanza prontamente: "Non saprei, sarebbe un'analisi troppo vacua da verificare. Un'attività assidua comporta a un uso di chakra che sia minimo o no, questo comporterebbe ad ammalarsi perché il parassita avrebbe meno chakra a cui attingere. Onestamente collegherei un' assidua attività solo a questa conseguenza senza altri dettagli rilevanti"; torna a farsi sentire anche la voce di Eiki: "ciò fa di te un grande Guerriero Kaede, starmi dietro ed essere l'ultimo Ashura in vita. Chapeau"
Deve trattenere un grugnito esasperato.


22.50



"Kaede-san, cosa intendeva dire esattamente quando ha scritto: "Si contagiavano tra loro!!" - domanda con voce leggermente impastata, sollevando la pagina che è andata a recuperare tra i documenti già esaminati e sollevandola ad altezza viso. Kaede, che nel frattempo si è versato un altro caffè, riprende proprio quegli appunti, scorrendoli con lo sguardo stanco: "Inizialmente avevo ragionato sul fattore "idea". Nel senso che ogni qualvolta un Ashura medico scopriva di più sul Chiton, e ne condivideva le informazioni, si verificava un picco di contagi. Le scoperte portavano alla malattia, in buona sostanza si contagiavano tra loro, ogni volta che si avvicinavano a una nuova scoperta dell'abilita e al volerla sviluppare.
In breve infatti lo sviluppo proseguì in maniera assolutamente segreto, portato avanti sotto la supervisione di Kiri quando non era ancora stata decisa l'epurazione; a pensarci adesso però, con le scoperte fatte insieme, magari alcuni medici erano arrivati all'idea di usare un chakra non proprio per l'emosintesi... Ovvero quello degli altri Ashura. Lo crede possibile?
Magari in questo modo alcuni sono riusciti a sviluppare un Chiton avanzato, a spese dei loro cari che facevano da carburante"
. Si gratta la testa e scrive quelle nuove idee in una nota che prosegue quella da cui era partito il ragionamento; "l'energia inesauribile..." borbotta piano - "Io ho provato a far abituare il parassita a un organismo estraneo, ma se invece usassi quello di un altro Ashura per cibare il mio, potrei usare il Chiton? Peccato sia l'ultimo rimasto" - commenta, poi guarda Urako e sembra sorridere sotto a quei capelli rossi e ingarbugliati.
"Se lei fosse un Ashura sarebbe tutto più facile"

"Peccato, sono una comune mortale" ribatte lei, con un ghigno che sembra più una smorfia.
"Tra le varie ipotesi che stavo valutando, prima di scartarla, c'era qualcosa di simile ad un macro-organismo. Ripensavo al fatto che la prima volta che sono svenuta, lei era furibondo, come se il Parassita reagisse al suo stato d'animo. Come se lo stress di un elemento potesse creare squilibri colmabili solo con un maggiore assorbimento di energia. Ha presente il funzionamento del Cortisolo? Una cosa del genere. In questi termini, la malattia di un elemento avrebbe potuto provocare la malattia dei suoi congiunti, in un effetto-domino incontrollabile. Questo però presuppone che gli Ashura condividessero energia costantemente, e magari non solo quella. Se il Parassita fosse in qualche maniera in grado di supportare le attività cerebrali, ad esempio, si spiegherebbe l'eccezionale intelligenza manifestata dai membri del Clan. Senza nulla togliere... "
Alle sue parole, l'uomo inizia a camminare avanti e indietro, per pensare ma soprattutto per tenersi sveglio: sembra molto interessato... "è interessante, si sposa anche con le mie valutazioni. Questo parassita è molto più di un organismo unicellulare. Se fosse così, l'importanza della "linea di sangue" diventa assoluta. Come se gli Ashura vivessero come un unico grande essere che effettua Emosintesi.
Energia che si canalizza verso il più forte che necessita di più energia. Questo però vorrebbe dire che siamo segnati. Senza altri Ashura da cui prendere energia, saremo morti entro qualche ora"
– afferma, quindi prosegue nel suo ragionamento - "Quello che io ho cercato di fare con lei diventa così quasi "naturale". Non essendoci altri Ashura da cui prendere energia, stavo cercando di "crearne" uno nuovo... Facendo abituare il parassita alla sua energia"
Urako può vederlo nei suoi occhietti luminosi, percepisce quasi quello che sta pensando: "Siamo al punto di partenza signorina Urako. L'energia inesauribile erano gli Ashura per gli Ashura, questa scoperta andava studiata decenni fa. Mentre adesso sono solo io"


23.05



Le ci vuole più tempo di quanto non vorrebbe, per metabolizzare la mole di informazioni ricevute. La mente risponde sempre più lentamente, nonostante gli zuccheri che si sforza di ingerire a intervalli regolari, pur senza essere davvero affamata. "... in sostanza... abbiamo le ore contate e l'ipotesi che anche io possa tentare di controllare il parassita come farebbe un Ashura è pericolosa, perché rischia di essere troppo dispendiosa per una contropartita insufficiente.
Le sue analisi, Kaede: ci sono valori particolarmente alti o bassi, rispetto alla media? L'energia viaggia nel sangue sotto molte forme. Se qualche valore è troppo alto o troppo basso, potrebbe farci da spia.
Se trovassimo qualcosa che plachi la fame del parassita... una soluzione temporanea... finché non ci viene in mente qualcosa che funzioni sul lungo periodo"

Lui ha la mano sul mento: si sta spremendo le meningi, quando in realtà vorrebbe palesemente abbandonarsi a un dolce sonno. Un sonno eterno. Eiki lo aiuta tenendolo d'occhio, impegnandosi a disturbarlo quanto basta per evitare che si assopisca.
"Mmm valori alti? Non saprei... sullo scambio non si scappa, il parassita vive di chakra, e solo con quello Ashura fa un'emosintesi corretta. Io sono già riuscito a fargli credere di poter prendere energia Ashura anche dal tuo sangue, dobbiamo ragionare su questo" le fa notare, smontando purtroppo la promettente ipotesi di poter replicare in qualche modo la composizione peculiare del chakra Ashura.
"Dobbiamo fargli credere che tu sia un'Ashura. Così da fargli fare un'emosintesi più controllata. E se... che gruppo sanguigno ha?" domanda improvvisamente, mentre Urako si afferra sconsolata la base del naso tra le dita: "fargli credere...?" ripete con un sussurro seccato "A positivo" – risponde poi, niente affatto convinta di quell'idea appena partorita da quella testa color carota.
Un colore tanto simile a quello della chioma di Yu.
"Io sono Zero positivo, potremmo fare una trasfusione! Donandoti il mio sangue potremmo mandare in pappa il parassita, potrebbe scambiare il tuo sangue per il mio. Considerando che per ora lo sto nutrendo"
Si è accesso d'un tratto: sonno e stanchezza sono un lontano ricordo, mentre Urako non è altrettanto entusiasta di quell'idea: "così finirà per spossarsi ulteriormente. Io sono disponibile, ma lei è sicuro di non crollare subito dopo?" commenta con e sopracciglia sollevate, per poi passarsi una mano sul viso stanco. Lui fa spallucce: "Crollerei comunque, ma avremmo almeno una speranza"
Non consolante.
E lei, è abbastanza con le spalle al muro da acconsentire a quell'esperimento?

Che fine ha fatto la faccenda del sangue misto?
Quanto può incidere una trasfusione di mezzo litro di un sangue non puro, su un volume totale di cinque litri e mezzo di sangue estraneo come il suo?
Masuda Kirotaba, anche lui si è sentito altrettanto stanco, durante una missione?
Anche lui è stato sul punto di imboccare la prima strada che gli si è parata davanti, pur di andare da qualche parte? Pur di non restare bloccato dov'era?

“Devo riflettere, Kaede-san.
Posso domandarle per favore, nel frattempo, qualcosa per cena?
Magari staccare qualche minuto può aiutarmi a riattivare la testa...”
borbotta rovesciando il capo all'indietro; Eiki se la ride apertamente quella domanda, ma Urako non ha più le energie mentali per preoccuparsi: quell'uomo probabilmente è una di quelle persone che vuota del tonno in scatola nella tazza di noodles istantanei pur di non allontanarsi dal lavoro, ma se è arrivato a trent'anni evidentemente è in grado di produrre qualcosa di edule.
… tonno... sì... ma per fortuna non in mezzo alla zuppa istantanea: quella pare insalata. Un'innocua insalata.
Qualcosa che potrebbe pulirle i denti dalla poltiglia stucchevole di pasta frolla che ci si è appiccicata sopra: la saluta con un certo fiacco sollievo, ringraziando lo studioso ed abbandonando per il tempo necessario la pila di documenti, sbattendo le palpebre sugli occhi che bruciano.


23.40



"mi ha detto in precedenza che mischiando il sangue Ashura con del sangue estraneo si ottengono degli effetti... particolari. Quanto particolari, esattamente?" - domanda con voce davvero stanca, a testa bassa. Il momento in cui si troverà ad accettare qualsiasi proposta di quel tizio, per quanto assurda o pericolosa o inutile, è pericolosamente vicino.

Non ha fame, non sul serio: l'odore del tonno non lo sente nemmeno, col naso tappato tutto il cibo sa di cartone. Mastica meccanicamente, tirando su una foglia dietro l'altra, con lo sguardo perso nel vuoto.
"Sì, anche se dipende molto dalla condizione del parassita. Inizialmente sta sulla difensiva, rispondendo come quando ha percepito il chakra curativo, come un sistema immunitario. Trattandolo però, abituandolo al sangue estraneo attraverso la costante immissione di chakra Ashura in esso, risponde in maniera sempre diversa. A volte lo avvolge, avvelenandolo, altre volte lo accoglie fintanto che ne trova energia"
Questo non è promettente... considerando che quella roba dovrebbe iniettarsela...
"Ricordi le macchie colorate sul mio pavimento? Quella sostanza era una risultante di questo: non era più sangue ma un liquido vischioso...” - sempre promettente, insomma...
“Tutto questo però nel caso in cui si immetta sangue non Ashura in un sangue Ashura, nel caso contrario non ho mai provato. Verosimilmente il parassita si attaccherà al sangue sangue Ashura trovandolo pieno di energia. In definitiva... Se tu mi facessi una trasfusione potrei implodere, ma facendola io a te dovresti solo trarne vantaggio, o comunque... Tempo"
“Mhhh” mugugna masticando le ultime foglie di lattuga, con un grugnito niente affatto convinto.

Che dire?
Nel senso: se non si farà niente, è certo che moriranno entrambi.
Facendo qualcosa, potrebbe aprirsi un qualche tipo di speranza.
Ammesso che si faccia la cosa giusta.
Quanti dati ha a disposizione, per stabilire la bontà di quella scelta?

Pochissimi. In condizioni normali, assolutamente insufficienti. Di più: fare una trasfusione con un sangue simile sarebbe terribilmente, totalmente sconsigliato, specie senza fare qualche tipo di test prima. Sarebbe già più intelligente concedersi qualche possibilità di sbagliare, ma senza morire istantaneamente e in modo orrendo.
Decide che ci avrebbe pensato ancora un po', e lo fa non senza avvertire l'ansia azzannarla allo stomaco.


1:00



La mezzanotte è passata da un'ora.
Lei si avvicina a quel momento in cui supererà la soglia della stanchezza, per ricadere in uno stato di lavoro meccanico e quasi febbrile.
Sente gli occhi gonfi e le palpebre secche.
Si costringe a terminare la pagina, che rilegge per la quinta volta senza riuscire a capirla, la volta, sospira. Questo prendere tempo non sta dando quei brillanti frutti che avrebbe sperato.
No, non è che avesse realmente sperato in una svolta. Razionalmente, è poco probabile che un'illuminazione improvvisa cambi improvvisamente le carte in tavola.
Semplicemente non ha escluso la possibilità che ciò avvenisse... e un po' questo fatto è frustrante.

Kaede legge in silenzio, a qualche metro di distanza: gli lancia una lunga occhiata in tralice, per verificare che non stia dormendo – anche se in quel caso, se ne accorgerebbe immediatamente – quando viene distratta da un tonfo ovattato, che la fa sobbalzare. La penna le ruzzola via dalle dita.
Si china a raccoglierla e torna sugli appunti, evitando a bella posta di incrociare lo sguardo del felide: Eiki è saltata sul tavolo e si avvicina silenziosa; poi la guarda assorta, leccandosi una zampa
"Di' un po', che farai semmai dovessi salvarti? Andrai a denunciare Kaede? O dirai di aver incontrato Eiki ai tuoi amici dell'eremo?"

Urako non stacca gli occhi dall'articolo che sta leggendo: "A che pro? Farmi bella davanti al Kage? Credimi, non ne ho bisogno" bofonchia a bassa voce, con tono leggermente altezzoso.
"Per quanto riguarda te, Sosui non ti ha mai nominata, io non ti ho mai vista, fine.
Se Kaede non minaccia Kiri, lasciare che viva libero è la cosa giusta da fare. Sono certa che il Mizukage concorderebbe. Potrei fare in modo che Kaede abbia un buon posto al Villaggio, ma nemmeno posso forzarlo a seguirmi. Scelta sua. Sarà un casino piuttosto fare rapporto.

... finita questa storia, vedo di trovarmi un ragazzo.
Fare la reclusa sui libri mi ha rotto le scatole."

D'accordo, di quest'ultima aggiunta non glie ne fregherà poco e niente, ma per lei è una specie di promemoria.

La gatta sogghigna, senza staccare le iridi feline dal suo sguardo abbassato: "sei ingenua se pensi che questa storia finirà a lieto fine. Credi che un Kage accoglierebbe l'ultimo superstite di un clan epurato da Kiri stessa?" e poi: "Sosui non mi ha mai nominata dunque?" domanda probabilmente in modo retorico, mentre si guarda gli artigli retrattili - "non mi sorprende".
Non che le dia fastidio essere distratta: staccare cinque minuti può solo farle bene. Però la situazione post-guarigione, ammesso che si verifichi, si trascina dietro una serie bella grossa di problemi da risolvere e rischi sgradevoli, a cui si sta sforzando di non pensare. Sbuffa e solleva lo sguardo dall'articolo: "Io invece trovo te prevenuta, Eiki-san. Conosco Hayate Kobayashi meglio di te e sono io a metterci la faccia con lui. L'incognita per me piuttosto è la voglia di Kaede di piantare grane. Nulla mi garantisce che non cambi idea, per quanto poco gli convenga."
O almeno, questo è quello che ha bisogno di ripetersi, per sentirsi meno sulle spine.
È vero che è il Sarto, è vero che la sua carica è pari a quella di un Generale, ma è altrettanto vero che una sua caduta sarebbe ben più fragorosa di quella di un normale chunin.
No, non vuol dire che si sta pentendo di aver ottenuto la Katana.
Fa spallucce e torna a leggere. "Potrai vivere la vita che sogni, quando Kaede sarà guarito" conclude il discorso, risparmiandosi altre osservazioni sul fatto che gli affari tra lei e l'Eremo non la riguardano.
La gatta però sembra indispettita dall'ultima risposta: "vivo la vita che ho scelto già da tempo, e spero non sia una ragazzina dai mille buoni propositi a rovinarla. Kaede vuole solo trovare una cura, aiutalo e saremo tutti felici. Sarà come dici ma vivo da ben più tempo di te ragazzina. Vedremo se Kiri è cambiata a tal punto"
Ma quanta acidità.
Urako alza gli occhi al cielo, o meglio, al soffitto in penombra, ma evita di sprecare fiato.
"Accetto la scommessa" ribatte atona, tornando a infilare il naso tra le pagine odorose di polvere e formaldeide; lei, in tutta risposta, fa cadere per terra con la zampetta alcuni fascicoli rimasti accatastati sul bordo della scrivania.
“E tieni in ordine" sibila, prima di saltare giù e tornarsene tra le gambe di Kaede.

…......

… stronza.


1: 45



Si tira una manata sulla fronte.
Lo fa perché si è appena ricordata l'ennesima cosa che vorrebbe domandare al signor superstite, e che le è sfuggita di mente almeno due volte fino a quel momento. Nel parlare di nuovo, sente la lingua muoversi a fatica, gonfia e irrigidita.
La domanda in sé dovrebbe avere una risposta abbastanza scontata, ma non crede di poter proseguire serenamente senza chiedere di tutto, incluse le cretinate. "Sono molto stupita, Kaede-san, dal fatto che un Ashura - mi passi il termine - non particolarmente esperto, riesca a mantenere vivo il Parassita del paziente di Hajime. La distanza è enorme. In che maniera ci riesce?"

"Mi sono quasi distrutto nel provare a gestire quello dentro di lei, signorina Urako. Come crede sia possibile una cosa del genere?" - detto ciò, fa una pausa; "il suo corpo ha reagito male agli esperimenti, e nel momento in cui non gli ho più concesso chakra, il parassita ha cominciato a prosciugarlo. In che condizioni era quando lo ha visto? Beh a lei succederebbe lo stesso, ma in maniera ben più veloce."
Ma che pensiero motivante.
"Pietose. Del tipo che stimolano a darsi da fare per non finire in quel modo.
Necrosi alle estremità, tranne il mignolo sinistro, parte inferiore del corpo immobilizzata per il sangue solidificato. Hajime lo imbottiva di morfina."

Kaede scuote il capo con i gomiti sulle ginocchia, prima di affondare la testa fra le mani - "per l'appunto."


2:30




No che non è un problema da poco: è solo che sembra piuttosto al di fuori della sua portata adesso.

Sente a patina di polvere e cellulosa ricoprirle le dita. Non le piace, vorrebbe lavarsi le mani, ma inutile farlo se torneranno a sporcarsi in meno di due minuti.
Poggia la guancia destra sul pugno chiuso, sbuffando dal naso: non può preoccuparsi adesso di cosa racconterà a Hayate, una volta tornata a Kiri.
Punto primo: non sa se ci tornerà.
Punto secondo... non c'è un vero punto secondo.
Quello che ha detto alla gatta è vero per metà: non è affatto sicura che il Mizukage sarà d'accordo con la sua decisione, né che possa accettare come motivazione qualcosa tipo “era l'unico modo per fare le cose fatte bene”, o peggio: “le stragi le lascio a voialtri, il Sarto ha le sue vie”.
Non riesce sul serio a capire se davvero Kaede saprà lasciarsi tutto alle spalle. Non sa come spiegare agli ANBU la sparizione di Kaede, senza denunciarlo come Ashura e mentire affermando che sia scappato di nascosto. Non saprebbe nemmeno cosa inventarsi, se mai decidesse di imbastire una storiella convincente che non preveda rivelazioni scottanti sullo scienziato.
Cioè mentire, anche in quel caso.

Il Sarto... il Sarto dice che la menzogna non è il modo giusto di chiudere quello strappo.
Sospira.
Poggia gli occhi sui pugni chiusi.
Rimanda tutto al momento in cui avrà senso occuparsene.


3:15



"Com'è che l'avete venduta a Kiri, esattamente, la storia dell'epidemia? Sono convinti anche loro che i pazienti siano decine, o vi siete divertiti tutti a farmi passare per scema?"
Forse ha bisogno di parlare, per ricordarsi di essere ancora sveglia – e più in generale, viva.
"È bastato fare vedere i sintomi alle spie mandate dal Mizukage e a quel punto hanno creduto a tutto quello che gli ho raccontato. Intuendo che potesse trattarsi di un Ashura sono usciti fuori di testa, hanno fatto di tutto per occultare le informazioni e hanno immediatamente isolato i confini dell'isola" – alla faccia dei soldati addestrati dal proverbiale sangue freddo, insomma.
Anche i migliori vanno in paranoia... "era troppo pericoloso indagare oltre con più uomini... E infatti sei qui. Credi di essere stata mandata per salvare un'isola?"
Questa uscita non le piace. La fa passare da credulona sprovveduta. Non sa quanto riesce a dissimulare il disappunto.
"Mi hanno illustrato quello che credevano di aver capito e mi hanno chiesto di aiutarla a sviluppare la cura. Tutto qui. È lavoro, il credere non c'entra niente". Il pensiero di poter dare degli imbecilli a tutti gli ANBU una volta rientrata a Kiri prende corpo e si fa allettante.
Kaede fa spallucce: "La torchieranno quando tornerà, probabilmente. Sarà meglio che si inventi una buona storia"

Il pensiero di poter dare degli imbecilli a tutti gli Anbu una volta rientrata a Kiri, si fa improvvisamente meno determinante per il suo buon umore. Kaede sorride, consapevole di essere stato molto positivo nella sua ultima affermazione - "Mi ha dato la sua parola e io la mia. Ci salveremo entrambi"
"... mi aiuterà lei a con a storia. Le sue possibilità di prendere il largo indisturbato dipendono moltissimo da quanto sia buona, specie quando verrà fuori il fatto che l'epidemia non esiste. La mia offerta è sempre valida, Kaede-san" ribatte prontamente, decisa a non lasciargli credere di poterla mollare al suo destino senza muovere un dito.
"Se riusciremo a scrivere una pagina storica sulla ricerca Ashura, la aiuterò ben lieto"

Annuisce, per il momento tranquillizzata dalla risposta.


4:50



E se lasciar perdere, drogarsi un po' e lasciare che la natura faccia il suo corso fosse la scelta migliore?


5:30



Il nero della notte che scolora in un muro lattiginoso grigio scuro.
È arrivata all'alba.
Non sa spiegarsi come mai, ma trova la cosa confortante.


5:45



Crede di aver superato – di nuovo – la barriera ella stanchezza. Sente tirare gli occhi, come se fossero secchi. Kaede è ancora sveglio.


6:55



Ha messo su l'ennesima caraffa di caffè. Non è nemmeno certa di saperla preparare correttamente. In altre parole, non riesce a capire se faccia schifo o no: Kaede trangugia sempre senza fare commenti.
È abbastanza certa che non sappia di bruciato, tutto sommato l'importante è quello.

Si sorprende a domandarsi se non sarebbe stato bello uscire a vedere l'alba sul mare.
Non crede che gli ANBU avrebbero fatto chissà che problemi.
In fondo, nemmeno sanno cosa stia succedendo.
Potrebbero benissimo trovarsi ad estrarre il suo corpo esanime tra qualche ora, e passare le prossime due settimane a domandarsi che diamine sia successo davvero là dentro.


8.30



Non riesce a prendere tra le dita i fogli di carta.
Le sfuggono.
Tutto le sfugge.
I pensieri, le parole, le tazze di caffè.

La vita, anche.

A cosa si aggrappa?


Se il Parassita la uccidesse ora, è certa che nemmeno se ne accorgerebbe per il troppo sonno.

Si alza, passeggia avanti e indietro nella stanza, forzando nei polmoni più aria di quella che serve. Non pensa di sentirsi più sveglia, nemmeno adesso. Sbatte i piedi, come quando devi liberarli da uno strato di fango spesso prima di entrare in casa. Non pensa di poter andare avanti.
Non crede di poter cavare ancora molto.
né a sé, né da Kaede.


12.20



Nama mugi namagome nama tamago
Nama mugi namagome nama tamago
Volta pagina, non ha capito nulla di quello che ha letto, va avanti comunque, occhi che vagano in un mare grigio quasi indistinto, la veglia che si lega a sillabe ripetute a mo' di litania, echi strozzati di preghiere mai formulate.
Nama mugi namagome nama tamago
Nama mugi namagome nama tamago


13.30



Nama mugi namagome nama tama...
Batte le palpebre.
Quanto è rimasta con gli occhi aperti e il viso affondato tra i pugni chiusi?
Le sclere sono ruvide come carta vetrata, le guance arrossate, quasi incollate alle nocche, tanto che staccarle fa quasi male.

Non crede di aver dormito.

Kaede non pare essersi accorto di nulla.
Strizza le palpebre.
Saranno cent'anni che ha iniziato quel lavoro.
Si alza per andare a farsi un caffè.
L'odore del caffè potrebbe farla vomitare ormai.


15.15



Ce l'ha davanti, in qualche modo: il frutto di tutti i briefing che ha fatto con Hatsue in ospedale, di tutte le strategie di soluzione di problemi che ha imparato a schematizzare, da quando è alle prese con beute, storte, becker e provette. Un'accozzaglia di fogli affastellati probabilmente chiara solo a lei, e a cui vorrebbe solo poter dare fuoco, quando tutto sarà passato.
Quando tutto sarà passato...
Deve solo avere il coraggio di ammettere ad alta voce che l'idea più orripilante - se andasse storta - è anche la più plausibile.

Passare dalla paura di soffrire mentre precipita nel nulla della non-esistenza, al desiderio di trovare pace, in un modo... o nell'altro.
Purché tutto ciò passi.


16:45



“Kaede, senta qui.
Se facciamo la trasfusione subito, ci giochiamo il tutto per tutto, senza poter verificare prima quanto male le cose possano andare. Morte per morte, non è intelligente né scientifico: voglio poter sbagliare più di una volta, senza bruciarmi le altre possibilità.
La cannula dovremo inserirla comunque in vena: prepariamo un test che possa avvicinarsi almeno vagamente alla situazione che andremo a creare. Posto che io abbia intorno ai 4 litri di sangue in circolazione, data la statura e la corporatura, e che lei mi doni non più di mezzo litro di sangue, anche se meno sarebbe più prudente, possiamo ipotizzare una miscela con una parte su nove proveniente da lei: controlliamo le eventuali reazioni e decidiamo se sia un'ipotesi praticabile.

Dopo aver prelevato il necessario terremo le cannule inserite e chiuse finché non saremo certi che non mi disfarò in una pozzanghera maleodorante. Sfilarle non è una buona idea, sappiamo già come andrebbe a finire.”


Kaede è stremato, veramente stremato; le occhiaie hanno raggiunto dimensioni e colorazione preoccupanti. L'uomo non può far altro che fare spallucce: non sembra più molto lucido per pensare; dal canto suo, Urako si sente come un filetto di pesce steso ad essiccare: rigido e senz'anima. "D'accordo, proviamo" esala lui. Detta così, la fa sentire vagamente in colpa.
Tanto per gradire, interviene Eiki a gamba tesa. Urako batte le palpebre guardando nel vuoto: non ha le forze mentali per arrabbiarsi. "Questo allunga soltanto i tempi e Kaede deve dormire. Ti farai ammazzare. La trasfusione ci darebbe la possibilità di lasciarlo riposare, con nel tuo corpo il suo sangue per il parassita"
Avrebbe quasi voglia di risponderle che prima di aprire bocca, potrebbe almeno farsi un addestramento medico di base; per fortuna Kaede ha ancora qualche goccia di energia mentale rimasta: "Stai tranquilla, ha ragione la signorina Urako, non perderemo più di pochi minuti"
La gatta mugugna e va a rintanarsi dietro le gambe del padrone, che è accasciato sulla sua sedia, lottando con un sonno mortale.


Ore 17:30


L'attrezzatura è stata allestita, con le mani che minacciano di far scivolare provette e aghi come se le dita fossero fatte di tofu fresco. Urako lavora accanto allo scienziato, in silenzio, concentrando tutto ciò che resta loro dentro per sistemare l'occorrente per la breve prova e l'eventuale trasfusione, subito dopo. Non può dare torto a Eiki: Kaede ha superato da un pezzo la soglia della fatica sopportabile, se l'esperimento dovesse mitigare i dubbi della quindicenne, dovrà procedere alla svelta con quell'azzardo.

Non che lei sia messa particolarmente meglio.

Le sembra di avere il cervello imbevuto di melassa.

Non fa ancora accomodare Kaede sul lettino da trasfusione, per motivi ovvi; prendere la vena del suo stesso braccio, in quelle condizioni, richiede più concentrazione del dovuto. Se non prendesse subito la vena, rischierebbe naturalmente di innescare un'emorragia che non potrebbe contrastare efficacemente.
Quello che segue è offuscato nella memoria. Un susseguirsi di gesti meccanici, dovuti più alla memoria muscolare che a una lucida consapevolezza. Osservare che il campione che viene fuori non sembra avere particolari comportamenti aggressivi, non suscita nemmeno l'euforia che si sarebbe aspettata di provare.
Lo scuote intorpidita, mescolando i fluidi che già sono diventati uno.
Se solo avesse il tempo per fare un lavoro accettabile, dovrebbe come minimo effettuare osservazioni al microscopio e qualche test di conferma.
Se solo avesse il tempo.
Osserva per l'ultima volta in controluce la provetta accuratamente chiusa, scuotendola leggermente, senza notare strane esplosioni, cambi di colore o disidratazione improvvisa.
"Il parassita sta probabilmente giovando dell'energia nel mio sangue, avendolo abituato al tuo sangue in precedenza, potrebbe anche creare un equilibrio naturale" – commenta Kaede, osservando la scena - "inoltre non cambia colore, e non è esploso. Questo vuol dire che non ha perso potenza e contemporaneamente non sta combattendo l'intruso... Direi che la via è praticabile"
“Lo spero, Kaede-san” replica lei atona.
Sta a guardare la fiala ancora solo per un istante, poi la poggia accanto al microscopio ormai ignorato; Kaede potrà donare meno sangue di quanto non farebbe normalmente, date le sue condizioni. Sarà opportuno, a occhio e croce, provare una trasfusione braccio-braccio: l'attrezzatura c'è, sarà una pena farla funzionare mentre è collegata al marchingegno, ma a meno che Eiki non abbia fatto un corso-base di medicina ninja, non può fare affidamento su di lei.

Il suo ultimo pensiero prima di attivare la trasfusione, è che avrebbe dovuto portarsi lì vicino la maledetta morfina.

Alla fine se ne è pure dimenticata.

E dovrà pure improvvisare qualcosa per salvare capra e cavoli, se per caso Kaede facesse qualche stronzata.

Di nuovo, finirla lì non sembra poi tanto male, come soluzione.

Peccato solo per... beh, per tutto.

 
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view post Posted on 27/7/2020, 11:26     +1   -1
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la curiosità e la sete di conoscenza guiderà l'animo umano fino alla fine dei suoi giorni...

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Sembrava tutto pronto, tutto preparato per l'occasione. Era incredibile come qualcosa di relativamente elementare come una trasfusione sembrava la più complicata delle operazioni, ma in qualche maniera, con calma e volontà di non morire dentro quelle quattro mura, riuscirono ad arrivare fino in fondo. Si posizionarono sui lettini e lasciarono che il sangue di Kaede fluisse nelle vene di Urako. Eiki era dentro con loro, negli anni vissuti con lo scienziato aveva imparato qualche nozione medica e sarebbe potuta essere utile se la situazione fosse precipitata velocemente, o almeno così sperava. Per il momento si limitò ad osservare con le sue iridi feline i due umani collegarsi in quel modo, con i brividi e il pelo teso come succedeva solo quando un gatto è colto da grande ansia e paura. Non si sprecarono altre parole, la prova richiesta dalla kunoichi era andata a buon fine e niente lasciava presagire un risultato negativo arrivati a quel punto... o forse era meglio vederla in questa maniera per non cedere al terrore più puro. La ragazza poté percepire inizialmente un pizzico, diverso dal formicolio con cui aveva ormai imparato a convivere, ma passarono pochi secondi prima che potesse sentire qualcosa di più concreto, come se qualcosa le stesse risalendo lentamente il braccio per farsi strada ovunque nel suo corpo. Poté sentire un improvviso calore all'altezza del petto che si espanse poi in due direzioni: verso il ventre e verso il collo. Kaede intanto non parlava, ma prima che Urako potesse accertarsi che non si fosse improvvisamente addormentato a contatto con un mai così comodo lettino medico, percepì anche le sue palpebre farsi pesanti e il calore che la stava avvolgendo contribuì a farla sentire... bene, al sicuro finalmente dopo chissà quante ore ormai lontana da casa. Passò la durata di un istante prima che tutto divenisse buio, confuso e i suoni ovattati, suoni che però non dovevano proprio esserci in quella stanza. Eiki? No, lei non stava parlando una volta tanto, e allora Kaede? Nemmeno, non ne aveva la forza così come non l'aveva lei stessa. Provò a riaprire gli occhi, a destarsi, a guardarsi a destra e a sinistra ma non riuscì a fare niente di tutto ciò, non all'inizio almeno. Poi qualcosa di inaspettato: una voce, anzi, due voci, che discutevano in maniera abbastanza concitata. Le voci erano ancora ovattate ma in quei primi secondi non badò a concentrarsi su quello che stessero dicendo, perché era impossibile che vi fossero due voci lì dentro. Forse erano gli ANBU, o forse... forse stava sognando, ma se lo stava facendo davvero, Eiki avrebbe tenuto d'occhio Kaede per non fare entrare anche lui nel limbo in cui si stava perdendo? Quante domande, quanti dubbi, quanta tensione in quel baratro senza fondo, in quel mondo senza luce, abitato solo da quei due individui che continuavano a litigare. A quel punto capire che cosa dicessero era l'unica strada percorribile e così decise di dare ascolto all'istinto. Aprì le orecchie, si concentrò su cosa avessero di tanto importante da dire e ciò che le arrivò al cervello era incredibile, talmente tanto che più che il sangue pensò che Kaede le avesse donato della droga buonissima.

Donna - Perché non vuoi capire, perché?! Possiamo tornare a vivere, possiamo farlo insieme! Ti prego Inori...

Un tonfo e un singulto di dolore tra i singhiozzi di un pianto disperato, sullo sfondo solo un silenzio agghiacciante che durò per alcuni interminabile secondi.

Inori - Starai bene, ho preparato tutto, ma adesso devi andare...

Donna - Ti prego, Inori. Non lasciarmi sola a convivere con tutto questo. Lasciali andare, lasciali...

Inori - Non posso, è la mia maledizione. vai, ADESSO VAI!

Urako poté sentire quella che sembrò chiaramente una spinta e il pianto della donna che continuava imperterrito, senza possibilità di salvezza. Poi i passi di una corsa confusa e il sospiro di quell'uomo rimasto da solo con la propria scelta. Poi altre voci ovattate, ma stavolta poté sentire sulla pelle un calore diverso da quello che le aveva donato il sangue del dottore. Questo era intenso, di quello provocato da una fiamma vigorosa poco distante e infatti, concedendo l'udito a ciò che la stava adesso circondando, l'inconfondibile crepitio delle fiamme sovrastò qualsiasi altro rumore nella stanza. In breve tempo le voci divennero urla e le urla divennero nuovamente dei pianti isterici.

??? - Inori! Che cosa ci fai qui? Perché non sei con tua moglie?

Inori - Nasciamo, viviamo e moriamo nel sangue, Rei. Ricordi?

I suoni che udì a quel punto avevano tutta l'aria di descrivere i clangori di una battaglia. Urla e il suono di lame che fendevano il vento sembravano confermare l'ipotesi, ma le grida che contornavano il caos e il calore che stava tenendo in una morsa la gola della kunoichi sul lettino, la costrinsero a volgere l'attenzione verso altro, verso un suono più acuto e continuo, quasi innaturale, come se un pipistrello avesse alzato le frequenze del suo richiamo nella notte. Urako provò a indagare in quella direzione dunque, alla ricerca di qualsiasi cosa che facesse smettere il pianto e la distruzione di uomini di cui poteva sentire la vita spezzarsi. Quindi ancora una voce, spezzata, distrutta:

Rei - Era una trappola, avevano trovato il nostro ultimo percorso di fuga e... li hanno - li hanno colpiti lì, Inori. Mi dispiace amico... mi dispiace davvero.

Urako poté sentire il proprio sangue cominciare a battere sempre più velocemente e dei brividi la colsero sulle braccia e sulla base della schiena. Non seppe dire il motivo ma più i passi si facevano pesanti, così come il respiro, più quelle pareti scure che formavano il mondo in cui si trovava cambiavano colore. Lentamente, passo dopo passo, fino a tingersi di giallo, arancione, rosso, come un'alba che diventa tramonto, e infiamma infine l'orizzonte. Era come se la kunoichi potesse vedere con gli occhi di qualcun altro e davanti a lei si palesò un'immagine raccapricciante: una donna con la gola sgozzata, immersa nel proprio sangue, e un bambino che non poteva avere più di due anni tra le sue braccia. Le si annebbiarono gli occhi per le lacrime che cominciarono a uscire, incontrollate, mentre si chinava ad afferrare il bimbo, cercando di donargli sicurezza e calore.

Inori - E' ancora viva... Rei, Sami è ancora viva!

Le spostò le braccia per avvicinare l'orecchio alla bocca e in effetti poté sentire un flebile, impercettibile respiro.

Rei - Inori... non ce la farà. E dobbiamo andare via, stanno arrivando. Non ce la farà Inori, mi dispiace.

Urako volse lo sguardo come avrebbe fatto Inori e riuscì infatti a guardare in direzione dell'uomo: aveva i capelli lunghi scuri e la tipica divisa dei Jonin di Kiri. Era messo male anche lui ma sembrava cavarsela, ma la bambina aveva palesemente una gamba rotta e sul fianco quella che sembrava una ferita da perforazione, una pugnalata probabilmente.

Inori - Non morirà, non lo permetterò.

Mise una mano sulla pancia della bambina e chiuse gli occhi, e anche Urako tornò nell'oscurità. Poté sentire l'energia che stava concentrando per quello che stava per fare e il formicolio in tutto il corpo si intensificò, fino ad emanare un'energia verdognola che conosceva fin troppo bene. Rei gli afferrò improvvisamente il braccio per interromperlo prima che potesse fare qualcosa di apparentemente così stupido.

Rei - Sei impazzito? Sai benissimo che cosa potrebbe succedere. Non farlo, tu puoi ancora vivere, possiamo ancora vendicarci.

Inori - Sarà sua madre a salvarla, il sangue di sua madre la terrà aggrappata alla vita



------------------------------------------------------------------------

Riaprì gli occhi di soprassalto e balzò dal lettino come una molla. Dalla finestra entrava la luce di un'alba meravigliosa. Era strano a Gashima che la nebbia facesse filtrare in quel modo i raggi del sole, ma ancora più strano fu rendersi conto di come fossero passate chissà quante ore. Kaede era poggiato a una delle finestre che si godeva il raro evento, mentre Eiki era spaparanzata sul pavimento proprio dove si andava a posare la calda luce del giorno. Quando il dottore notò la collega destarsi in quel modo si lasciò andare a un piccolo sorriso.

Kaede - Non riuscivo a capire il perché di questi sogni. Dormire è sempre stato un incubo a prescindere per me, perché non vedevo che morte e distruzione. Ero felice di avere finalmente una buona scusa per non doverlo fare, ma il corpo umano è una struttura troppo fragile.

Si voltò verso Urako guardandola negli occhi, sapeva benissimo quello che anche lei aveva vissuto. Si sedette dunque sulla poltrona e grattò sotto al collo la sua gatta che si destò con un buffo verso.

Kaede - Eravamo tutti collegati, come un unico grande essere. Che stupido a non averci mai pensato, che stupidi i miei antenati a non esserci mai arrivati. Quelle che abbiamo visto sono esperienze immagazzinate nel chakra, che il parassita assimila, dunque eredita e fa ereditare, come se la linea che univa gli Ashura non si fosse mai spezzata.

Lo affermava con una certa sicurezza, come un dato, alla luce dei ragionamenti fatti con Urako nelle ore che avevano passato a studiare insieme.

Kaede - La trasfusione ha funzionato, mi ha permesso di dormire mentre il parassita si ingozzava del chakra contenuto nel sangue che le ho donato. Abbiamo recuperato tempo, e grazie a lei ho capito molte cose del mio clan, ma una cura a tutto ciò... una cura non sembra esserci. Siamo maledetti, signorina Urako.
 
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view post Posted on 30/7/2020, 00:44     +1   -1
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Una sensazione piacevole subentra al prurito che le è esploso improvvisamente dentro, in un primo momento: un calore materno, che potrebbe precipitarla nel peggiore dei malori. Il cuore esploso in un galoppo terrorizzato rallenta gradualmente, scalciando con tonfi sempre più diradati contro il torace. A un certo punto si calma abbastanza da non riuscire più a farsi sentire. Aspetta un malessere che non arriva. Sangue che non sgorga. Membra pietrificarsi, che restano imperterrite morbide e calde. I minuti scorrono e non accade nulla, assolutamente niente di preoccupante.

Torna la spossatezza a possederla, strisciando silenziosa dai recessi oscuri in cui si era rintanata, scacciata – per poco – dall'urlo di terrore dell'adrenalina.
Come può riuscire a restare in allerta?
È il suo stesso corpo a mandarle un segnale confortante, che alletta la mente: è più forte il primo, nonostante la seconda sappia bene di cosa sia capace la natura, pur di indurre la preda ignara ad accostarsi al suo carnefice in agguato.
Quello che sta avvenendo nelle sue vene non è nulla su cui possa avere un vero controllo. Si sente la testa piena di sabbia. Malattia mortale, privazione di sonno, nessuna delle due lascia scampo alla lunga, al corpo non interessa cosa sappia il cervello. Il corpo vuole cedere.

Ci avrebbe pensato lui a togliere alla quindicenne l'impaccio di quello sforzo impari, con l'efficienza inarrestabile di ciò che è governato dalla chimica: in barba alle velleità di controllo su Kaede, sulla propria veglia e sulla propria sopravvivenza, avrebbe abbassato le serrande e spento le luci senza stare troppo a chiedere il permesso, come una bottega al calar delle tenebre.

    È notte: nel dormiveglia pesante e appiccicoso in cui è invischiata, avverte voci e rumori provenire dalla strada, frequentata dagli ultimi avventori delle izakaya – verosimilmente ubriachi fradici.
    A casa sua non è abituata a sentir vociare a quell'ora: al massimo si sente il “kero-kero” delle rane e i grilli che friniscono. Ricorda vagamente di essere andata in vacanza da piccola coi suoi, da qualche parte sulla terraferma: è lì che deve esserle capitato qualcosa del genere. Non ricorda nemmeno se la mamma si fosse affacciata per gridare qualcosa dietro ai fannulloni al pascolo. Al contrario, ora che ci ripensa, è strano sentire ubriachi in strada, da dove si trova ora.
    Da dove si trovava.
    Ora che ci ripensa.
    Vagamente.
    Con fatica.
    Non è a Kiri che sta.
    Lei sta...

    … sono venuti a salvarla...?

    … salvarla... da cosa?

    Non crede di essere in pericolo. È solo in un posto diverso da casa sua, una stanza d'albergo.
    Forse.
    Non ha senso avere paura solo perché, aprendo gli occhi nell'oscurità, non sono le mura della sua stanza quelle che vede. La mamma le ha messo apposta la sua ranocchia di pezza sul futon, così se si sveglia e ha paura, sentendo il pupazzo morbido lì accanto, avrebbe potuto ricordare e riprendere sonno tranquilla. Solo che è strano.

    Sente di essersi svegliata, ma non sente le palpebre aprirsi. Non sente affatto le palpebre, è come se non avesse una faccia.
    La sfiora anche il dubbio di non averla mai avuta, una faccia, ma scarta rapidamente l'ipotesi, mano a mano che i neuroni sembrano riuscire ad accendersi di nuovo: ricorda di non avere più sei anni, ad esempio, e di non dormire più a casa dei suoi da diversi mesi. Le voci degli ubriachi si fanno più nitide, come se stessero discutendo all'interno dell'albergo.
    Davanti alla porta della sua stanza.
    Nella sua stessa stanza.
    Un moto di disagio le serpeggia dalla testa alla punta dei piedi.
    Ha bisogno di avvisarli che sono entrati nella stanza sbagliata. Non riesce a muoversi. È come se non avesse niente da poter muovere. Uno dei due si chiama Inori, l'altra è una donna. Non sono ubriachi, sembra una coppia che litiga, non necessariamente una coppia di sposi, anche se la prima idea a sfiorarla è quella. Sarebbe stato imbarazzante per loro, accorgersi di stare spiattellando tutto in presenza di una sconosciuta.

    La situazione è brutta. Sembrano essere nei guai con qualcosa, probabilmente qualche banda malavitosa. Almeno quell'Inori ha il buongusto di cavare la donna fuori dai suoi traffici loschi e di lasciarla vivere la sua vita in modo dignitoso, anche se quella piange e protesta. Capirà che è per il suo bene, prima o poi.
    Ora l'importante è che anche il marito se ne vada di lì e la lasci dormire in pace... ma no, continua ad arrivare gente. Un conoscente di Inori. E poi qualcosa che non va, che accende rapidamente il senso del pericolo nella quindicenne catatonica: un incendio è qualcosa che ce l'hai nelle ossa, nel sangue, nella carne, un istinto animale di sopravvivenza che ti induce a correre, scappare lontano, ma lei non ha gambe con cui correre. Non ha un corpo con cui rotolare, con cui allontanarsi. Attorno a lei si combatte. Se potesse respirare, starebbe ansimando, ma non ha polmoni. Non ha un cuore che batta impazzito. Un fischio acuto in lontananza. Uomini che muoiono, anche se non ha occhi per vederlo succedere. Lo sente dentro e basta. Poi qualcosa cambia.
    Forse un cuore ce l'ha.
    Sangue che scorre vorticoso, pelle d'oca fremente, colori che dipingono se stessi tutt'attorno.

    Si trova in piedi, sta camminando o forse correndo. È tutto così confuso. Osserva il mondo da un'altezza superiore a quella a cui è abituata. I movimenti, le falcate, non sono le sue. Ha le vertigini, ma l'incedere non rallenta: la cosa in cui è racchiusa è inarrestabile.
    Davanti a lei si materializza una donna che non conosce, sgozzata. Si sente piangere anche se non prova nulla per lei, non sente dolore. Avete fatto una cavolata. Avrebbe dovuto restare nascosta e lasciare gli shinobi fare il loro lavoro – vorrebbe dire, ma non ha ancora labbra e voce per poterlo fare. Quella deve essere la donna di prima. Irresponsabile, da parte di suo marito, esporla in quel modo, specie se sapeva di essere nei casini. Le lesioni sono troppo gravi – vorrebbe far notare a Inori – se vi trovaste ora in ospedale, ci sarebbe qualcosa da fare. Ma non qui, non ora.
    Devono limitare le perdite. Chiunque sia ad attaccarli in quel momento. Se ne devono andare.

    Qualcosa però non quadra, quello che vede è davvero troppo per essere verosimile, in piena Kiri poi. Avrebbero dovuto esserci già diverse squadre al lavoro, già da diversi minuti. Quel Rei deve essere uno di loro, no? E gli altri? “Miseria... cosa succede qui...” si domanda, alla vista della lesione sul corpo della bambina. Quello scenario è qualcosa che assomiglia ad una guerra totale, più che a un regolamento di conti. Cosa diamine sta facendo quel jonin?! Perché non sta inseguendo i criminali di turno?
    Quanto può essere potente, una banda che mette a ferro e fuoco un edificio intero e sgozza civili come vitelli? Pugnalare i bambini, poi? E i jonin non muovono un dito! Guardalo, quello là, rassegnato a farsi massacrare, già parla di vendetta senza nemmeno provare a portare la pelle in salvo.

    Inori non ascolta: Inori non accetta che la bambina muoia.
    Inori raccoglie le forze, e nelle sue vene divampa uno strano formicolio... qualcosa che, con una certa sorpresa, la quindicenne si rende conto di aver già provato. Impone le mani sulla bambina, con Inori, dentro Inori, e improvvisamente sa, come anche Rei e Inori sanno, perché quella sia una decisione autodistruttiva. Nonostante ciò, Inori non si sarebbe fermato.
    Non sarebbe mai riuscita a conoscere il dolore e l'agonia dell'uomo, che già sta pregustando, con quell'ansia del condannato a morte che già pondera e assapora gli istanti della propria morte: in quel momento apre gli occhi, addormentandosi per sempre come Inori, risvegliandosi Urako, in una stanza riempita dal sole.


Un verso strozzato le risale dalla gola, mentre atterra sulle gambe malferme. È saltata giù dal lettino della trasfusione con mala grazia, più obbedendo alla legge dell'auto conservazione che alla consapevolezza di essere sveglia... e viva, in effetti.
È ancora viva.
Kaede è ancora vivo.
È giorno.

È giorno quando? Che giorno è?
“C-che giorno è?” ripete con voce gracchiante, ancora aggrappata al lettino, sorreggendosi ad esso come se fosse l'unico baluardo a difenderla da una rovinosa caduta a terra.
Kaede sembra già bello pimpante ed è già partito con uno dei suoi monologhi, a cui la quindicenne presta un solo orecchio, mentre ripercorre le visioni mortifere che le sono state donate in omaggio, assieme a una bella dose di sangue infetto.
Siamo maledetti.

Siamo.

Soppesa quella prima persona plurale con un certo amaro gusto.

Certo, figuriamoci, non l'aveva nemmeno sfiorata l'idea di potersi levare di torno quella roba, una volta infettata. Quell'affermazione non la inorridisce affatto come dovrebbe. Piuttosto, non fa che alimentare il senso di fastidio acuto, provocato dagli incubi e dal risveglio a dir poco brusco.

Essere maledetta... vuol dire essere candidata ad essere aperta come una sardina dagli ANBU, come membro del Clan Ashura nuovo di zecca. Come hanno fatto con... la donna... il suo nome... Sami.
Come Sami.
Quale onore.
Sì, anche in questo caso dovrebbe sentirsi orripilata, ma per ora riesce solo a considerare quella situazione incresciosa con un distacco cupamente divertito, come se l'intera faccenda la riguardasse appena. “Meglio maledetti che morti” ribatte atona, mentre si dirige verso la macchina del caffè strascinando i piedi.
Peccato, il solo odore della bevanda le fa rovesciare lo stomaco da dentro a fuori. Rimette il bollitore al suo posto con una smorfia disgustata.
Posa lo sguardo sulla scatola dei biscotti... e niente, non crede affatto di volerne ancora.
“Ce l'ha qualcosa per fare una tisana?
E... del pane col formaggio, quello di ieri va benissimo”
domanda con voce ancora cavernosa; si guarda attorno con lo sguardo truce di un barbagianni sbegliato in pieno giorno, e la sola idea di tornare a sedersi su una delle sedie su cui ha passato ore ed ore a studiare le fa dolere il sedere. Tornare sul lettino non se ne parla.
Resterà in piedi, piuttosto.

A proposito, qualcuno deve averle tolto le flebo.
Sarà stato Kaede.

Opta per appoggiare le natiche sul bordo di uno dei tavoli, uno ingombro di microscopi e di beute sopravvissute dalla furia distruttrice del medico, e intreccia le braccia contro l'addome.
Maledizione è una parola negativa, Kaede-san” puntualizza affermando l'ovvio, portando lo sguardo sull'Ashura superstite, ammiccando infastidita dall'intensa luce solare. Avrebbe dovuto essere rinfrancata da quei raggi tiepidi, invece si sente solo immensamente seccata. “Lei è quello che voleva preservare il Parassita. Voleva un modo per alimentarlo. In che modo questa maledizione, come l'ha chiamata lei stesso, dovrebbe essere negativa, per lei?” lo punzecchia, calcando sulle ultime due parole. “E l'epidemia è una montatura, non c'è necessità di salvare proprio nessuno... a parte lei. Tempo ora ne ha, giocare d'azzardo stavolta ha pagato.
Ha una kunoichi in ostaggio e letteralmente, la migliore congiunzione di eventi da quando ha iniziato le sue ricerche.

Eppure viene a parlarmi di una cura.
Sì... sarebbe utile a un certo punto anche capire cosa vorrebbe ottenere esattamente.
Si è privato con le sue stesse mani, in maniera incredibilmente efficiente, della sua libertà di sopravvivere in autonomia... nonostante immaginasse da sé l'esito dei suoi tentativi.
Desidera debellare il Parassita o no!? Cosa stiamo cercando?
Un modo per ingozzarlo senza ammazzarci, o estirparlo una volta per tutte?”


* * *



Avrebbe domandato più tardi, in un momento di minore seccatura, se per caso la bambina salvata in extremis non potesse essere sua madre, dopo avergli raccontato per sommi capi il contenuto dei suoi sogni. Le probabilità che quelle visioni appartengano a qualcuno di estraneo al ceppo genetico di Kaede sono improbabili, mentre non è detto che il ricordo a cui ha assistito lei sia l'unico conservato nel sangue.

Carino pensare che la "banda di malviventi" altro non sia che la forza militare di Kiri.
Carino al contrario.

"Perché Inori, nella visione, tira in ballo solo il sangue della madre...?" avrebbe domandato a bocca piena, masticando qualunque cosa fossero riusciti a portarle il medico o la gatta - "come se la madre non fosse Ashura. Anzi. Quel Rei sembra confermarlo... anche se la convinzione che solo Inori avrebbe potuto vendicare tutti loro, forse deriva dal fatto che fosse l'unico rimasto in piedi.
Però anche Rei era vivo. Perché allora sono Inori poteva vendicare tutti loro?

Si è fatto qualche teoria finora, Kaede-san? E le è capitato di avere diverse visioni nel sonno, o sempre la stessa?"
lo tartassa senza riguardo, sentendosi autorizzata - non senza una certa perversa soddisfazione - a domandare qualsiasi cosa.
Un po' come fanno i vecchi, che si sentono in diritto di pretendere le cose più disparate, per il semplice fatto di essere... vecchi.

 
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view post Posted on 30/7/2020, 11:35     +1   -1
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la curiosità e la sete di conoscenza guiderà l'animo umano fino alla fine dei suoi giorni...

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Eiki si volse a guardarla saettare dal lettino, rimase a fissarla per qualche secondo e tornò con la testa sopra alla zampa poco dopo:

Eiki - Siamo nel 300, ci hanno colonizzato gli alieni.

Kaede sorrise e confermò di trovarsi semplicemente all'alba seguente, ignorando la provocazione della gatta. Vide la kunoichi confusa, stanca, stressata, e non poté dire di trovarsi molto lontano da quella condizione. Quando però aprì di nuovo bocca, rispondendo a quello che le aveva detto lui, divenne scuro in viso, come se non avesse particolarmente apprezzato quell'uscita. Urako si era trovata catapultata in una storia che l'aveva presa per il collo e scaraventata a lottare per la propria sopravvivenza, aveva studiato e conosciuto la storia degli Ashura, ma quanto poteva davvero dire di comprenderli a quel punto? Il medico si alzò senza commentare e si diresse verso la dispensa per raccattare ciò che rimaneva. Aveva in effetti delle bustine allo zenzero e meccanicamente riempì un piccolo recipiente e mise a scaldare l'acqua. Maledizione è ciò che ha colpito noi, signorina Urako - cominciò con aria seriosa, senza più la brillantezza negli occhi che lo aveva contraddistinto fin dall'inizio della loro conoscenza - Kiri ci ha sterminato, e abbiamo scoperto che l'unico modo per sopravvivere e convivere con il parassita è creare una sintonia tra i membri del clan, respirando all'unisono. C'è però un bel problema visto che sono rimasto SOLO. Eiki alzò la testolina e aguzzò le orecchie, percependo lo stato d'animo del compagno. Prese immediatamente la parola cercando di smorzare la tensione, prima che le insinuazioni della Kiriana potessero farlo scoppiare.

Eiki - Kaede, la ragazza vuole solo vederci chiaro, per capire in che direzione andare... Che la gatta prendesse le difese della kunoichi era una novità, ma era ovvio capire che cose stesse provando ad evitare.

Kaede - E' ironico, scopriamo che la fonte di energia inesauribile sono gli Ashura stessi, quando ormai non esistono più. E la cosa non è più sfruttabile perché provare a riprodurre una condizione ideale in un sangue estraneo, induce il parassita a comportarsi come in un sangue misto. Il dono più grande dell'umanità distrutto per paura. Capisce adesso che cosa intendo quando dico che siamo NOI maledetti? Si tolse gli occhialini con mano tremante, cercando di celare le lacrime nervose che minacciavano di uscire. Perché noi abbiamo trovato il modo, e conviveremo il resto della nostra vita, breve o lunga che sia, con la consapevolezza di non poter fare NIENTE. Si era scaldato, così come era già successo quando aveva rivelato il suo astio per Kiri e per quello che aveva fatto, minacciando di usare il chakra di ogni essere umano per alimentare l'unica creatura per cui valesse la pena vivere. Colpì con violenza alcune beute sul tavolo e poggiò entrambe le mani su di esso con i capelli davanti al viso: adesso piangeva.

Kaede - Vuole sapere che cosa voglio fare? Salvare le nostre vite e proteggere un materiale genetico così prezioso, ma è impossibile, IMPOSSIBILE!

Ogni oggetto all'interno della camera cominciò a vibrare e Urako poté percepire il proprio sangue ribollire. Si sentì bruciare, andare a fuoco letteralmente, con una temperatura corporea che doveva aver raggiunto i 40 gradi in un paio di secondi. Il naso del medico cominciò però a sanguinare e quando gli si annebbiò la vista fece qualche passo indietro fino a raggiungere una delle pareti. Scivolò lentamente in silenzio, con i capelli davanti al viso e le lacrime che inondavano quei due fari azzurri.

Kaede - Lasciatemi solo, vi prego...

---------------------------------------------------------------------

Passarono circa due ore prima che Urako potesse riprendersi da quella febbre strana e improvvisa, e sebbene la temperature le fosse tornata normale, le erano rimasti addosso i brividi di freddo. Lei ed Eiki avevano cambiato stanza, ubbidendo al volere del medico, e almeno così avrebbero avuto modo di parlare tra donne, magari senza necessariamente punzecchiarsi. La gatta era seduta sul lato della stanza illuminato dal sole, sembrava piacergli particolarmente:

Eiki - Non penso che la madre di Sami fosse un'Ashura, o Inori non avrebbe mai osato curare la bambina con il chakra. A meno che non fosse un'Ashura speciale, ma speciale in che modo?

Nel tempo che aveva passato con Kaede, Eiki aveva probabilmente sentito di tutti i sogni che il medico facesse e in effetti, quello raccontato da Urako lo conosceva molto bene.

Eiki - Se gli Ashura erano collegati a tal punto, penso che Inori, Sami e la donna fossero tutti antenati diretti di Kaede. Magari la madre era umana e ciò farebbe di Sami un sangue misto. Che Sami fosse sua madre? Che io sappia non è mai riuscito a trovare informazioni certe su chi fossero i suoi genitori. - Sbuffò disperata, avrebbe voluto genuinamente fare di più per lo scienziato - Non devi calcare la mano in quel modo, non ne uscirà niente di buo- Un tonfo proveniente dall'altra stanza la interruppe, e quando entrambe corsero a vedere che cose fosse successo... Kaede era sparito!
 
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view post Posted on 30/7/2020, 22:37     +1   -1
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Stesa sul letto in cui si è risvegliata il giorno precedente, ormai infettata irrimediabilmente, sbatte le palpebre ancora intontita, lo sguardo perso sul soffitto uniforme, monotono.
Sente che quella sorta di crisi è passata, lasciando dietro di sé la sensazione di serenità un po' mesta che si prova dopo aver pianto, mista a brividi e un leggero senso di debolezza. Si sente come potrebbe sentirsi un vaso di porcellana finissima, caricato sul peggiore dei carretti cigolanti in viaggio su una strada piena di buche. L'ha capito: se Kaede va in bestia, lei va al tappeto.

A quello là nemmeno serve volerle sul serio fare del male. Gli basta perdere le staffe e no, non era tra i suoi obbiettivi quello di farlo sbottare; non riesce neppure a rimproverarsi di averlo fatto, tuttavia. La voce del dovere, sempre più flebile e piccola, parla di errore strategico; il muggito dell'amor proprio invece strepita che con tutto quello che le sta facendo passare, con tutti i contributi che ha offerto alla sua fottuta ricerca, quel morto-che-cammina avrebbe solo dovuto incassare e starsene zitto.

Come se non le bastasse fare uno stupido strillo da donnetta, per far piombare una mezza dozzina di ANBU in assetto da guerra dalle finestre.

Ripagarlo per tutto quello che Kiri ha fatto alla sua famiglia?
Una famiglia che non ha mai conosciuto?
Pretendere che sia lei a farlo, quando a sua volta non è abbastanza vecchia da poter portare sull'anima la macchia di quel sangue innocente, è ingiusto e pretestuoso.

Sì, è sempre più seccata e non riesce a fare altro che rimuginare e guastarsi il fegato sempre di più. La voce di Eiki però la riscuote dalla spirale di livore in cui si crogiola da diversi minuti, portando alla ribalta qualcosa di cui sperava di poter parlare con quel cretino. “È la stessa cosa che stavo pensando” conferma, mantenendo lo sguardo contro il soffitto. “Ti ha parlato dei suoi sogni?
Ne fa altri, o è sempre lo stesso?”
domanda senza farsi problemi. La frittata è fatta, strano che la gatta non la voglia morta per aver fatto imbestialire il suo beneamato.
“Due ipotesi, credo, per Sami: mutazione, o fusione nella bambina tra il sangue Ashura e qualche altra abilità. Tanto auguri a capire di che roba si tratti, se il sogno è solo quello: non ci sono elementi sufficienti a identificare alcunché, men che meno tra i Clan di Kiri.
Difficile che qualcuno nato tra quella massa di arroganti, si sia preso il disturbo di invaghirsi di uno shinobi ghettizzato dal Villaggio. È molto più probabile che la moglie di Inori fosse di sangue normale.
L'unica cosa che mi viene da pensare ora, è che Inori fosse consapevole delle potenzialità di quel sangue, abbastanza da investire nella sopravvivenza di sua figlia”
aggiunge, voltandosi su un fianco e cercando il contatto oculare con la gatta - “Finora Kaede ha ritenuto che il semplice mischiare il sangue Ashura non porti effetti benefici di nessun tipo. Ammesso che si sia sbagliato, quel potenziale non può essere niente di complicato da usare, o la bambina sarebbe sopravvissuta solo una manciata di anni, nel migliore dei casi.
Deve essere qualcosa di automatico insomma, o di istintivo, alla più brutta.”


Sta per interrompere la gatta, facendo presente che far sclerare Kaede non rientra per niente né tra le sue mansioni né tra i suoi desideri, quando quel tonfo sospetto non fa saltare tutte e due in piedi: sole o non sole, brividi o non brividi, gatta e kunoichi si affacciano nel laboratorio e due paia d'occhi frugano febbrilmente la stanza vuota per alcuni istanti interminabili, prima di rendersi conto che dello scienziato non c'è nemmeno l'ombra.


Tutte le finestre sono chiuse.

La frequenza cardiaca aumenta fino ad attestarsi ad un ritmo di marcia veloce, scalciando con energia contro la gabbia toracica. Non vuole ancora credere che quella storia si stia complicando di nuovo.

“Kaede-san?” lo chiama banalmente Urako, alzando la voce per farsi sentire dall'uomo, se per pura fortuna si fosse trovato ancora all'interno dell'edificio. Ma non ci crede nemmeno lei, che quella lieta evenienza possa verificarsi. Il cuore perde qualche colpo, affannandosi in quella brutta sensazione di mancanza d'aria scatenata dall'adrenalina.
Chiedere a Eiki di usare il suo naso è il passo immediatamente successivo: la gatta si avvicina a una delle finestre che si aprono nella stanza e non sembra avere dubbi: "È scappato, è uscito fuori di testa!"
Urano batte un piede a terra, soffocando una folta schiera di imprecazioni - "Dobbiamo seguirlo!" esclama il felino, evidentemente agitato, senza suggerire nessun tipo di itinerario verosimilmente intrapreso dall'uomo. La kunoichi nel frattempo è corsa verso il tavolo su cui ha speso l'ultima giornata, lo sguardo catturato da qualcosa o meglio, dalla sua assenza: mancano dei fogli tra quelli che stava studiando, forse quelli con i ritagli storici sul Clan.
Questa cosa non le piace affatto.
Perché se Kaede fosse arrivato a capire qualcosa prima di lei, nello stato d'animo sbagliato, nessuno può garantire che non si pulisca il sedere coi loro accordi e che inizi a disseminare Gashima di cadaveri, lei inclusa... o che ci si pulisca il sedere lo stesso, a prescindere, una volta risolto l'enigma che lo angoscia.
Dopotutto basta un po' di arroganza, e anche il peggiore dei vigliacchi può arrivare a bagnarsi le mani di sangue.

Gli effetti benefici del sangue misto...
... potrebbe aver intuito come attivarli?
E ha bisogno di allontanarsi da lì per farlo?

A loro vantaggio hanno la luce solare, che verosimilmente ha diradato la nebbia fitta, riducendo le possibilità di nascondersi. Con molta probabilità gli ANBU appostati avranno già individuato l'uomo, ma non l'avranno certamente ingaggiato, ignari del suo retaggio.
Lo terrà segreto finché le sarà possibile.
È inverosimile però che gli shinobi di guardia non si siano insospettiti, vedendo passare lo scienziato per finestra.
Ma perché diamine usare una finestra?! Perché non la porta?!
“Se è abbastanza fuori di testa da non riuscire a nasconderlo, non lo faranno allontanare. Dobbiamo sperare che sia abbastanza in sé da non insospettirli” riflette ad alta voce, lanciandosi di corsa verso la porta d'ingresso - “e la cosa più facile sarebbe farlo recuperare dagli ANBU, se solo non fraintendesse” spiega alla gatta, con la mano sul pomello della porta.
Ma perché non è uscito dalla porta?!
Stacca la mano dal pomello, lanciando un'occhiata sospettosa verso un immaginario pericolo esterno - “... non da qui...” borbotta a bassa voce, tornando sui suoi passi, diretta verso la stessa stanza da cui è sparito l'uomo: se è passato un uomo adulto da quell'apertura, non sarà un problema fare altrettanto per una ragazzina e una gatta.
“Crederebbe di essere stato tradito e cercherebbe di massacrarne più possibile, no?” continua a spiegare più alla gatta che a se stessa - “Finirebbe le energie e addio mondo crudele” sibila stranita, immensamente contrariata dal fatto che un maschio idiota abbia su di lei un simile potere di vita e di morte.
“Eiki, posso contare solo su di te se vogliamo che resti vivo, lo sai da sola, vero? Hai il tuo fiuto, puoi trovarlo, Kaede ascolta solo te. Io posso solo correrti dietro.
Una volta fuori chiedo agli ANBU di tenersi a distanza, per il bene di tutti, ma sai da sola che mi daranno ascolto solo finché non sentiranno puzza di bruciato. Dobbiamo essere rapide. Quella è gente a cui non si può darla a bere.”

Essenziale è che Eiki resti convinta di potersi fidare di Urako.
Di vitale importanza è che la gatta la appoggi.
Nella speranza forse folle che i due non siano in combutta per rigirarsela come un tonkaysu fritto in padella. Nella certezza che nel momento in cui lei per prima vorrà dare fuoco alle polveri, le basterà gridare: le basterà morire, obbedendo agli ordini impartiti da Hajime.
Non crede di doverci arrivare o meglio, non ha voglia di crederlo. Le basta considerare quell'evenienza come non improbabile per sentirsi preparata ad ogni evenienza.

“VIOLAZIONE DEL PERIMETRO” sbotta sgusciando all'esterno, sforzandosi di tallonare la gatta. Un falso allarme è la cosa meno pericolosa che le venga in mente ora, per far sì che le forze speciali tengano le antenne dritte senza avventarsi su Kaede. “NON OSTACOLATE LE OPERAZIONI”
Non aggiunge altro.
Cosa vuol dire?
Tutto e niente.

Vuol dire che è successo qualcosa, o non avrebbe dato l'allarme. Vuol dire che Urako ritiene che ci sia un estraneo in circolazione. Che se non si sono accorti di niente, c'è da tenere aperti pure gli occhi dietro alla testa, quelli metaforici. Vuol dire che Kaede e Urako non c'entrano niente e vanno lasciati lavorare, che è la cosa più importante, che se Kaede si trova davanti anche solo l'imitazione in cartapesta di una maschera di porcellana, darà fuori di matto come non mai.
Vuol dire, si spera, che se mai dovrà far uccidere Kaede e farsi trascinare con lui giù nel jigoku, ci sarà qualcuno di invisibile a terminare quello che lei non può completare.



CITAZIONE
Si riesce a capire da fuori se c'è una ragione particolare per cui Kaede è passato per finestra?
O è passata Equitalia a bussare? XD
 
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view post Posted on 31/7/2020, 12:29     +1   -1
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la curiosità e la sete di conoscenza guiderà l'animo umano fino alla fine dei suoi giorni...

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Era una situazione che stava degenerando ma che al peggio doveva ancora arrivare. Urako e la gatta uscirono dalla finestra allertando gli ANBU, di guardia dalla parte opposta della casa, davanti al cancello d'ingresso. Doveva essere quella la motivazione che aveva spinto Kaede a non uscire dalla porta principale, oltre ad eventualmente conoscere un percorso alternativo che gli permettesse di eludere la sorveglianza della squadra speciale. A ogni modo, solo uno dei due ninja giunse al richiamo di Urako, come un fulmine, già evidentemente allertato prima ancora che la ragazzina venisse fuori dall'abitazione. La sua maschera di porcellana non lasciava trasparire le emozioni del suo sguardo e in un primo momento non si riuscì a dire se fosse preoccupato, adirato o già pronto alla guerra. Prese la parola a quel punto, rivelando un dettaglio che alla kunoichi doveva essere sfuggito quando era giunta per la prima volta in quel luogo:

ANBU - Il sigillo perimetrale della zona è stato forzato dall'interno, e abbiamo ricevuto ordini precisi nel caso in cui fosse successo. Il mio compagno è già sulle tracce del fuggitivo, si tratta... del dottor Kaede?

Niente da fare, quei due ninja erano stati addestrati a reagire a tutte le problematiche possibili una volta giunti a Gashima. Controllavano tutti gli accessi e le uscite ed evidentemente il gesto del dottore era già così considerabile una sorta di reato. Qualsiasi fossero state le sue intenzioni, per un argomento delicato come l'Epurazione di un clan da parte di Kiri, avevano ordine di bloccare con ogni mezzo qualsiasi possibile fuga di informazioni. Eiki fremeva, tremava di rabbia e Urako, abituata com'era a riconoscere i comportamenti di quei felini, lesse nei suoi occhi ristretti, attraversati dai raggi del sole allo zenit, i pensieri che la stavano sovrastando, e prima che potesse dire qualsiasi cosa percepì sulla propria pelle una strana sensazione. La vide nascere e crescere intorno a sé, rapida e incontrollata, la forza di chakra che avvolse tutto il perimetro, prima che la gatta aprisse bocca in un eloquente e contemporaneamente incomprensibile miagolio profondo, tetro e intenso.

ANBU - Tornate in casa e non uscite fino a nuovo ordine.

Vide la ragazza e il felino tornare lì da dove erano venuti, risollevando la finestra dal basso verso l'alto, e risalendo in maniera piuttosto innaturale la parete, così da scomparire alla sua vista e permettergli di tornare di pattuglia al cancello, in maniera tale da tenere sotto controllo il sigillo ripristinato. Tutto apposto, tutto regolare.

Eiki si trascinò letteralmente la compagna, afferrandole i sandali con i denti, e la condusse nel retro dell'abitazione, in un insenatura tra oggetti accatastati e vesti lasciate al sole ad asciugare: Svegliati! Svegliati e seguimi! Esclamò provando a bombardarle la testa di chakra, sperando che una liberazione a quel livello di energia bastasse per liberarla dall'influsso della Genjutsu utilizzata. Urako si destò del tutto a quel punto, trovandosi a seguire la gatta senza essere sicura della maniera in cui ci era finita. Stavano correndo, in mezzo a una fitta foresta di alti bambù che sembrava stesse risalendo un ripido altopiano. Lì in mezzo c'era ancora una nebbia piuttosto importante, sebbene per ogni decina di metri che salivano la situazione sembrava migliorare a vista d'occhio. In alto il sole era forte, si faceva largo tra le frasche e schivava abilmente i cumuli più densi di nebbia, desiderando di raggiungere il suolo e illuminare così il percorso che Eiki stava seguendo in modo forsennato. Erano passati da un sentiero nascosto che dalla casa di Kaede si apriva sotto terra fino a quella foresta, sebbene l'odore inconfondibile del dottore si mischiava a quello di una seconda persona, con tutta probabilità l'altro ANBU, riuscito a mettersi sulle sue tracce.

Eiki - Onestamente non mi importa un fico secco della tua vita ragazzina, e sono sicura di avertelo già detto, quindi non farmi la morale sull'ANBU e sulla possibilità che ci uccidano tutti una volta che ci avranno raggiunti. Ho preferito crearmi la possibilità di fuga piuttosto che aspettare che l'altro soldatino catturasse Kaede. A ogni modo, cercherò di dirti tutto quello che so sui sogni, prima che l'ANBU si renda conto della tecnica e si metta anche lui a cercarci più incazzato che mai.

Correvano rapidi, senza fermarsi, tra un bambù e l'altro, ma all'orizzonte non si vedevano né il ninja di Kiri, né il dottore. La gatta raccontò così alla compagna degli altri sogni di cui aveva sentito: Un altro di quelli ricorrenti era quello in cui Kaede stesso si trovava sopra una sorta di palco, per parlare a un pubblico molto ampio. Si rivolgevano a lui con il nome di Saisei. nel sogno però non era lui, anche se vedeva con gli occhi di questa figura... Una donna

Urako - La madre di Sami?

Eiki - Può darsi... però in questi sogni non c'era traccia di Inori, o della bambina. La donna era sempre sola, a capo di questo gruppo di persone. Non erano ninja, semplicemente gente... comune.

Urako ci pensò un po' e provò a ragionare su quel nome: Saisei che sta per Rinascita immagino. Un nome d'impatto. Sembra programmatico, o almeno un elemento di propaganda. Una persona del genere che parla alla folla... di cosa parlava?

Eiki - Mmh... parlava di un'isola, della loro isola. Che sia l'isola rossa? Magari dopo l'epurazione qualcuno l'ha fatta rinascere come nuova terra.

La kunoichi era stufa, commentando quelle nuove informazioni con un grugnito lamentoso: Potrebbe essere stata massacrata con tutti i suoi seguaci da Kiri, una volta scoperta, o essere sopravvissuta, al contrario. Senza sapere chi sia davvero è impossibile collocarla nel tempo.
Potrebbe essere anche la stessa Sami, per quello che ne sappiamo, e non sua madre. E paradossalmente Potrebbero essere tutti vivi e al sicuro
- poi un pensiero, innocuo e quasi surreale ma incredibilmente concreto alla luce di tutti i fatti - il colmo sarebbe se Gashima e quell'isola fossero lo stesso luogo.

Eiki - Forse Kaede lo ha capito.

Urako - Già. Che Kaede abbia capito qualcosa di cui non ha voluto parlarci, è abbastanza chiaro... non credo sia fuori di testa. Avrebbe potuto fare decine di cose idiote e ti assicuro che a quest'ora lo saprei.

Continuarono a correre finché non videro il sole baciare l'orizzonte e come se potessero aggrapparsi a quella luce per uscire dal baratro di nebbia, si tirarono fuori con un balzo, con un occhio alle spalle per essere sicuri che l'ANBU non li stesse già seguendo. Era però davanti a loro che si trovava il fulcro di quella vicenda, a cui erano legate le vita di tutti i protagonisti in gioco: si trovavano sulla cima di un altopiano che dava su tutta Gashima, e lontano, nel centro del villaggio, uno splendido palazzo con al centro la costruzione di un'enorme lama di spada che rifletteva i raggi del sole per tutta l'isola. Urako l'aveva già vista, da qualche parte, durante gli studi che aveva fatto sul clan. Una spada con la lama verso l'alto, attraversata da un semicerchio rosso: il simbolo della casata Ashura.

Kaede era lì, sofferente, con lacrime di sangue, in piedi sopra il corpo esanime dell'ANBU, immerso nel suo sangue.


Kaede - Io non volevo... non avrei voluto tutto questo, ma è il mio destino, la mia maledizione...

Eiki balzò in avanti con gli occhi lucidi e gli artigli ad afferrare il suolo: Kaede ti prego, non farlo, non è ancora finita. I sogni sono la chiave, possiamo risolvere questa storia insieme!

Kaede - Già... i sogni... il lascito della mia stirpe, della mia famiglia. L'ultima eredità delle memorie distrutte dalla Nebbia. Saisei è la nomina affidata alla donna che ha ricostruito l'isola rossa distrutta da Kiri, l'ha fatta rinascere dalle sue ceneri con il nome di Gashima. - Strinse i pugni, osservando il corpo dell'ANBU - La Saisei era Sami Ashura, mia madre. - Poi si rivolse a Urako nello specifico, osservandola tra le lacrime rosse - Un'Ashura e una kunoichi vissuta senza il Chiton, come fosse una persona come tutte le altre. Mi dica, signorina Urako, Perché?
 
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