CITAZIONE
Augurandomi che sia valsa l'attesa (per ambedue lol, non ne potevo più)
11 Giugno 249 DN – 18.10
Accesso a ogni cosa esistente sulla ricerca di Kaede, presumibilmente illimitato.
La mente compie da sé i primi calcoli, balzando col pensiero in avanti, a velocità di gran lunga superiori a quelle concesse al corpo: con lo sguardo fruga rapidamente la camera sterile, alla ricerca di qualcosa di adatto a ciò che ha in mente. I tamponi di cotone stipati in un barattolo di vetro fanno al caso suo; a staccarsi la flebo pensa lei, a bloccare il forellino dell'ago provvede sempre da sé, con un buon numero di giri di garza che le stringono spiacevolmente il braccio. E nel frattempo la mente ferve, lavora incessante. Non osa richiamare il maledetto chakra per richiudere la ferita, chakra che si è trasformato nel giro di mezza giornata da una risorsa preziosa al suo peggior nemico; tempo da perdere non ne ha, non può lasciare che il sangue le goccioli sugli appunti e sugli articoli, men che meno sui vetrini, né dal braccio né dalle narici: le tappa a prescindere, infilandoci dentro un tampone ciascuna. Anche se respirare dalla bocca è scomodo e gliela fa seccare tutta, meglio quella soluzione, che correre il rischio di imbrattare in giro.
È pronta.
Chiude gli occhi.
Sente il cuore ruzzolare agitato nel torace.
Respira profondamente.
Si forza ad aprire le palpebre, a mettere un piede dietro all'altro, a farsi strada tra i teli di plastica fruscianti che separano la camera sterile dal resto del laboratorio, con uno stanco Kaede al seguito.
Masuda Kirotaba: non può invocare il vecchio spettro perché le conceda la sua forza, come si farebbe con un Kami, anche se in fondo vorrebbe poterlo fare. Sente che pregare potrebbe essere rassicurante, in un modo o nell'altro, ma quello là – il Sarto - è ed è stato tutto, fuorché divino. Quello che serve a lei è la caparbietà di inseguire una salvezza improbabile: una testardaggine che sa essere appesa a un filo, minacciato da una paura insaziabile.
18.15
Una manciata di secondi dopo piomba nella prima stanza che ha visitato solo quella stessa mattina, quella che sembra custodire tutto il materiale e le informazioni raccolte fino a quel momento; individua un tavolo meno ingombro di altri, sposta sbrigativamente il ciarpame verso i bordi per farsi spazio e inizia a tirare giù i primi fascicoli dallo scaffale, dal ripiano più in alto.
Sembrano contenere un misto di ritagli di giornale accompagnati da note a margine scritte a mano, e intervallati da appunti e testi più corposi.
Il primo passo è colmare le falle logiche dei racconti di Hajime e dello stesso Kaede, che si è accasciato su una delle sedie appena hanno raggiunto la nuova stanza. A guardarlo, ora che c'è più luce, sembra ancora più pallido e stanco che nella camera sterile.
Dovrà stringere i denti anche lui.
Urako ha bisogno di capire come si siano davvero concatenati gli eventi, in un periodo storico che non è ancora riuscita a collocare nel tempo; le domande inespresse si affastellano l'una sull'altra in una testa che non può riuscire a contenerle tutte, mentre gli occhi scorrono una serie infinita di kanji, fotografie, titoloni di giornale, righe su righe di manoscritto – che per sua fortuna, è sempre redatto con una grafia ordinata e pulita. La fortuna è solo quella: sono chili di carta, litri di inchiostro, chilometri di testo.
Il bisogno di tenere sotto controllo l'ansia si fa prepotente: sente di non riuscire ad afferrare e trattenere tutte le cose che le vengono in mente. Le mani salgono istintivamente alle tempie, stringendole in una presa nervosa.
Le servono carta, penna, qualcosa su cui prendere appunti.
Li chiede, le vengono subito consegnati.
Si trova a lottare con la paura che niente di tutto ciò possa bastare.
Si forza a scrivere lo stesso.
Inizia a buttare giù febbrilmente annotazioni a sua volta, con una grafia spigolosa che a mala pena riconosce come sua, infilandole di traverso tra le pagine più rilevanti dei faldoni di Kaede, a mo' di segnalibro, o riponendole al centro del tavolo, in una pila ordinata; trascrive le domande che le vengono in mente, appunta ipotesi e le loro conseguenze, collega questo o quell'elemento con frecce... la carta si va riempiendo di simboli e parole, mano a mano che la quindicenne si addentra in quel dedalo di informazioni palesi o sottintese.
Quando è avvenuta la famosa impennata nelle malattie degli Ashura, prima che venissero messi in quarantena dal Villaggio? E perché l'impennata è avvenuta proprio in quel momento, e non prima, o dopo? Era avvenuto qualcosa di particolare in precedenza, qualsiasi cosa che abbia interessato gli Ashura o l'ambiente in cui vivevano, che abbia alterato i loro ritmi biologici e li abbia portati a sviluppare disturbi? Vivevano tutti insieme in un quartiere alla maniera dei vecchi clan, o ogni famiglia per conto suo, tutte sparpagliate per Kiri?
Qualche risposta ai suoi interrogativi la trova leggendo qui e là, tra gli appunti concessi da Kaede: ricerche scritte di suo pugno probabilmente, nel corso degli anni.
È tutto – o quasi – impresso nella carta, da estrarre con fatica e concentrazione, uno strato dietro l'altro.
Pare che gli Ashura vivessero in un quartiere specifico di Kiri, come la maggior parte dei clan riconosciuti ufficialmente dal Villaggio; con l'attivazione della quarantena erano stati prima confinati e successivamente, all'aumentare dei contagi e dei morti, spostati in un piccolo isolotto, chiamato dai piani alti Isola rossa.
Isola rossa...
La quintessenza del buongusto dei piani alti del Villaggio...
L'associazione involontaria di idee fa il resto: il volto macchiato di sangue di Kaede le danza davanti alla faccia, impresso di fresco nella memoria. Detesta il contrasto di colore tra l'azzurro degli occhi dell'uomo e il rosso vermiglio del sangue. Scuote la testa: deve tornare a lavorare.
Non riesce subito a concentrarsi di nuovo.
Il ricordo del viso insanguinato si sovrappone alla pagina usurata.
Sbuffa e rovescia la testa all'indietro.
Allenarsi e studiare non sono la stessa cosa.
L'orgoglio per non aver mai trascurato gli studi libreschi si sbriciola: il corpo ha dei limiti, ostacoli che non le piacciono e che non può evadere, specie nella sua parte più potente e delicata.
“... Kaede-san... per caso ha altri biscotti?”
20.15
Una ciotola con una manciata di frollini con gocce di cioccolata – quelli superstiti - ora troneggia al centro del mare di carta stampata e scritta, a portata di mano; la fastidiosa polverina che li ricopre si sparpaglia sottile sui fogli affastellati, occasionalmente spazzata via con colpi di mano nervosi.
Ma tornando ai nostri illustri.
Lo studioso sembra associare nei suoi scritti l'avanzamento della ricerca sul Chiton da parte di scienziati e medici Ashura all'aumentare dei contagi: a detta sua, una volta scoperto il potere della loro abilità, sempre più membri del Clan avrebbero provato a svilupparla... finendo però vittime del loro stesso potere. In altre parole: più Chiton, più chakra per l'emosintesi, più contagi.
Un appunto in particolare attira l'attenzione della kunoichi, sottolineato più volte: "Si contagiavano tra loro!!"
Fa scorrere il dito sotto quella frase, riducendo gli occhi a due fessure: ha l'impressione che possa portare a qualche deduzione importante, ma in questo momento sente di non avere abbastanza elementi per poterla sfruttare in maniera adeguata. Questo pensiero la fa sbuffare. Trascrive la domanda tra i suoi appunti, cerchiandola tre volte con pesantissimi tratti di matita.
20.20
Continua a sfogliare le raccolte, tirandole giù dallo scaffale una alla volta: afferra un raccoglitore dall'aria pesante e la copertina marrone abbastanza usurata e lo spalanca sopra agli altri. Dopo un rapido controllo, sente la sua attenzione tornare a risvegliarsi: se non fraintende quello che legge, pare che contenga qualche informazione sulle origini del clan.
Le domande ancora aperte sono parecchie: sono diventati quegli Ashura dopo aver manifestato il chiton e si sono quindi raggruppati, o erano già insieme quando sono scoppiati i primi casi? Quale impatto avrebbe potuto avere ciò sulla diffusione del morbo?
Probabilmente l'ipotesi corretta è seconda delle due: lo stabilisce scorrendo col dito qualche altro metro di kanji stampati fittamente, con un carattere passato di moda da un bel po' di anni: pare che fossero sempre stati insieme, da che si ha memoria. Addirittura, storicamente, i primi grandi medici di Kiri sembra proprio che fossero membri del Clan Ashura, anche se Urako non sarebbe riuscita a rintracciare conferme sulla loro capacità di usare il Chiton sin dall'inizio; Kaede, nelle sue annotazioni, sembra essere convinto di sì.
Immergendosi tra articoli, appunti, commenti, tra un biscotto e l'altro e uno spolverare di briciole cadute sulla carta, il clan prende lentamente forma nella mente di Urako: un clan con radici incredibilmente profonde a Kiri, di cui i primi esponenti non dovevano essere molto lontani dai fondatori. Anche se privi di abilità, gli Ashura erano ritenuti gente incredibilmente intelligente.
Intelligenti sì, ma se erano tutti come quello là, dovevano avere delle abilità sociali da brivido – si dice, massaggiandosi gli occhi. Ha dormito fin troppe ore quella giornata, al contrario di Kaede: non può permettersi il lusso di assecondare la stanchezza. Abilità sociali pessime, ma nessuna fonte riporta che queste capacità intellettive fossero associate a disturbi psichici di qualche tipo... in buona sostanza, la stramberia di Kaede è solo un tratto personale...
Deve per forza esserci una ragione però, se quelli là iniziavano proprio gli studi medici in massa: se no si sarebbero estinti molto prima. Si sa che Kiri è un posto bellicoso. Di pari passo vanno i comportamenti del parassita quando esposto al chakra medico: se questo gli fosse stato davvero nocivo, ogni esposizione casuale in ospedale avrebbe fatto saltare in aria una stanza, se la reazione non fosse stata controllata da un utilizzatore abbastanza esperto.
Intelligenti com'erano – o come si riteneva che fossero – non ha il minimo senso che praticassero in massa un lavoro mortale, sia per loro che per i pazienti.
È Kaede a rispondere alla domanda che alla fine si decide a fargli: "Quando abbiamo dimostrato la reazione del parassita in salute al chakra curativo... ho pensato proprio a questo. È ovvio pensare che gli Ashura si siano avvicinati alla medicina sin dagli inizi, per curare i loro primi malati, probabilmente tenuti segreti; il chakra curativo sui malati non ha reazioni particolari sul parassita. Scavando a ritroso non ho mai trovato niente su questo però."
Urako annuisce, espira lungamente e si sforza di riportare lo sguardo sugli appunti. Di nuovo una sorta di vicolo cieco. Aveva quasi sperato di poter ripristinare un po' delle forze di Kaede irraggiandolo col Konji-kin, anche solo per prolungare di qualche giorno il tempo concesso loro dal Parassita famelico.
È mentre volta una pagina che un pensiero le attraversa la mente e si ferma di botto, col foglio di carta girato a metà: una frase di Kaede è improvvisamente riemersa dalla memoria, e la tormenta fastidiosamente. Io e Hajime abbiamo ragione, è impossibile un contagio in così larga scala senza una continua fonte di energia a cui il parassita possa aggrapparsi.
La quindicenne osserva per un istante l'uomo, batte e palpebre un paio di volte e... “Kaede-san, per quanto sia sgradevole, sento il bisogno di chiederlo: tutti i pazienti di Gashima... li ha davvero contagiati lei, volontariamente, o è stato un incidente?
Per carità, comprendo il desiderio di sopravvivenza nel caso” mente spudoratamente, cercando di prepararsi all'eventualità di star coprendo un omicida di massa - “Il tizio che si è portato via Hajime poi, chi è?” aggiunge subito, forse per smorzare un po' l'impatto della prima domanda.
Deve aver colpito un nervo scoperto... vede Kaede fermarsi a respirare e cercare la seduta più vicina. Lo scienziato si prende qualche secondo prima di rispondere, ma prima che riesca ad articolare qualcosa interviene Eiki, che fino a quel momento aveva gironzolato per la stanza per i fatti suoi: è lei che rivela un argomento che Kaede, evidentemente, teneva ad evitare.
"Pensavo avessi ormai capito che non esiste nessun malato a Gashima. Con quale chakra credi possa sfamare metà popolazione infetta? Sarebbe morto da tempo già" – detto ciò, se ne va a strisciare tra le gambe del padrone, mentre Kaede termina la risposta: "Il paziente mandato ad Hajime era l'unico su cui stavo sperimentando. La mia Cavia Zero.
In vita ho sempre cercato di non usare il mio chakra, non prima di capire come poter salvare il nome della mia famiglia. Ma già così, con solo due persone tenute in controllo... sento già dentro di me cambiare qualcosa. Il parassita mi sta distruggendo" confessa, mettendosi le mani tra i capelli. Il pallore e le occhiaie sono più evidenti che mai.
Lei impiega qualche istante a trovare le parole giuste per una replica. Vero, sarebbe stata un'impresa inspiegabile, ma quanto è meglio sapere di non stare aiutando un assassino pluriomicida?
“Non è confortante, ma è comunque una buona notizia. Non potevo escludere che avesse avuto bisogno di energia, e avesse deciso di... prendere in prestito la loro, per così dire, salvo poi cercare una cura per rimediare al danno. Per quello che vale, Kaede-san, questo per me è un dato positivo.”
Se non ce l'avesse fatta, la conta delle vittime per lo meno si sarebbe fermata a tre. Peccato per quel poveraccio, nessuno merita una fine simile.
Nessuno. Lei inclusa.
Il raggio d'azione del chakra di Kaede, piuttosto, ha un che di stupefacente... quanti chilometri li separano dal capanno nell'acquitrino? E un Ashura nemmeno troppo abile è in grado di mantenere il Parassita a una distanza simile?!
Un silenzio concentrato cala nella stanza, interrotto solamente dal frusciare della carta, dal grattare del lapis sul blocco degli appunti, dai sospiri pesanti che ogni tanto ha bisogno di buttare fuori, dai gemiti della sedia spostata indietro e dallo scalpiccio ritmico di passi: rumori che si ripetono in ordine, come un piccolo ciclo delle stagioni nella sua versione da laboratorio. Crede di aver preso un buon ritmo di lavoro e non si aspetta minimamente che quella sensazione spiacevole la aggredisca così, all'improvviso: quando la riconosce per quello che è, gira di scatto la testa – con tanto di scricchiolio di vertebre cervicali – verso l'Ashura, e prima ancora di recepire l'ondata di adrenalina, lo sguardo cattura con orrore l'immagine di un uomo pericolosamente vicino ai suoi limiti: è la mancanza di sonno, a quanto pare, il primo creditore a bussare alla porta; anche senza averne la certezza matematica, Urako crede di sapere cosa potrebbe avvenire, nel momento in cui l'Ashura dovesse assopirsi.
E reagisce d'istinto, disordinatamente, come si fa davanti a un pericolo imprevisto.
“Oi... OI, KAEDE-SAN!” esclama schizzando giù dallo sgabello: pessima idea, le ginocchia cedono e sbanda contro la scrivania, picchiando un fianco contro il bordo di legno. Fa male. Lo ignora. Raggiunge Kaede, non saprebbe nemmeno dire come, la stanza le balla intorno vorticosamente. L'intensità della sberla che avrebbe affibbiato allo studioso sarebbe dipesa dal suo grado di sonnolenza, dopo quello strillo: uno schiaffetto o un bel ceffone, insomma. “Caffeina. Subito. Prenda dell'ossigeno per tutti e due. Dobbiamo ritardare gli effetti dell'ipossia e farle passare il sonno. Posso continuare a lavorare? Ce la fa da solo?” domanda con insistenza, affannata come dopo una lunga corsa, mentre barcolla verso la caffettiera e versa in una tazza forse sporca, forse pulita, non le importa, quel fondo freddo, granuloso e marroncino rimasto in fondo al recipiente. Ci butta dentro una generosa dose di zucchero, gira il tutto con una certa fretta e lo ficca in mano all'uomo - “Caffeina, zuccheri, ossigeno. Mandi giù tutto. Lo so che fa schifo. Ne faccio dell'altro, va', ma prenda subito le bombole!” lo esorta mentre svita le componenti della macchina del caffè e prepara una dose piena di bevanda, non senza rovesciare almeno una cucchiaiata di polvere a terra, per l'agitazione.
Le mani sono fredde, le tremano tanto che per poco non le sfugge il bollitore dalle dita.
21.30
Quando torna sugli appunti, anche solo leggere e comprendere una singola riga di testo è diventato eccezionalmente difficile.
L'idea che Kaede si addormenti di colpo, di non fare in tempo a svegliarlo, è uno spettro incombente che demolisce la sua facoltà di concentrarsi.
I ritagli di giornale sono ingialliti e ricoperti dalle tipiche picchiettature giallastre che colpiscono la carta vecchia; sicuramente hanno anche l'odore tipico dei giornali vecchi, ma adesso non può avvertirlo, col naso occluso dal cotone. È lo stato della carta ad attivare nella sua mente la domanda che avrebbe dovuto porsi da un pezzo: lo sguardo scorre verso la parte alta delle pagine, dove sono impresse le date di emissione dei quotidiani da cui erano state strappate. Roba di cinquanta, forse sessanta anni fa addirittura, nei casi dei fogli più vecchi. Aggrotta le sopracciglia: quanti anni aveva quell'uomo, quando è stato perpetrato lo sterminio?
Farlo parlare, tra le altre cose, potrebbe essere una buona idea per tenerlo sveglio: motivo in più per tartassarlo. "Le date che leggo sono troppo vecchie, Kaede-san. Non mi spiego come abbia fatto ad accorgersi, da solo, di portare quel sangue nelle vene" lo apostrofa, appena lo sente tornare nella stanza. Si stacca dalle carte lo stretto indispensabile per recuperare ossigeno e mascherina per sé, prendendo una lunga boccata di gas per cercare di riattivare i neuroni stremati.
Un probabile orfanello scampato non si sa come a uno sterminio metodico, che per intervento divino viene informato sulle proprie origini? “Ha altri parenti in vita, oltre Hajime?”
Sì, è un bluff bello e buono, ma porta a un vicolo cieco: i due non sono affatto parenti, l'aria sconcertata di Kaede è troppo genuina per essere artefatta. Certo che sarebbe stata un'ipotesi affascinante: la Cavia Zero che muore alla morte di Kaede e Hajime che sfoga la sua ira contro il Villaggio inerme...
Le risponde senza alzarsi dalla sedia, la mascherina un po' scostata dal viso: "Io ho disotterrato la verità sulle mie origini... Volevo ridare un nome alla mia famiglia. Io voglio solo dimostrare che quella degli Ashura non fosse una maledizione... sono cresciuto da solo da che ho memoria, con un sogno. Non conosco la mia famiglia" – d'accordo, orfanello confermato - "se non tramite i racconti su quei giornali."
Gli lancia un'occhiata stranita: "... e allora sopravviva, Kaede, e se ne faccia una sua, di famiglia. Non ho ancora capito però come si sia reso conto del suo retaggio, se Kiri ha insabbiato tutto. Si è sentito male all'improvviso e ha deciso di approfondire? Senza spendere chakra come fa adesso, avrebbe potuto andare avanti per anni ignaro, senza accorgersi di nulla..."
"Ho sofferto abbastanza da sapere chi fossi" – e Urako, sentendosi scodellare una simile scempiaggine melodrammatica, è sul punto di roteare gli occhi per l'esasperazione: forse è la cretinata più grossa che potesse sparare, ed è lì quindi che c'è bisogno di scavare; lui si appoggia allo schienale della sedia, lì lì per dormire, di nuovo... e a lei salta la mosca al naso, di nuovo.
Si allontana di scatto dal tavolo su cui ha poggiato i faldoni con gli articoli e marcia a grandi falcate – per quanto consentito dalle sue gambe, non esattamente lunghe – e ghermisce la mascherina quasi penzoloni, strappandola dalle dita infiacchite dell'uomo "... questo non mi aiuta. E NON DORMA!" lo rimprovera seccamente, ficcandogli la mascherina di nuovo sul naso "Faccia due passi e prenda dello zucchero, non riesco a lavorare se non collabora. Mi servono fatti e dati quantificabili. Qual è stata la prima volta che si è reso conto della sua condizione? Lei ha detto che il parassita nasce nel sangue di un Ashura, ma questo non è chiaro: deve per forza venire da qualche parte, o trasmesso durante la gravidanza o contratto subito dopo la nascita. Sono passate decine di anni dallo sterminio. Almeno uno dei suoi genitori deve essere fuggito ed essere sopravvissuto venti o trent'anni senza manifestare nulla, e così lei, prima di intaccare il Paziente Zero. Vuol dire che un modo per convivere col Parassita c'è, a patto di non scatenarlo, e se normalmente il parassita è invisibile, deve per forza aver fatto qualcosa per provocarlo.
Lei potrebbe portare una mutazione del Parassita, se fosse di sangue misto, e per questo riuscire a trasmetterlo a terzi. Ha mai fatto ricerche in questo senso?"
Il soffiare irritato di Eiki si oppone allo sbottare della kunoichi ma Kaede la calma, accarezzandola al collo, cercando di svegliarsi con un paio di schiaffi; alza lo sguardo osservando Urako e sorride: "Potrebbe, davvero, potrebbe essere. Dal midollo che mi ha prelevato ho potuto notare alcune sottili ma sostanziali differenze, ma non posso dire se ogni Ashura abbia delle particolarità. Ma... io, sangue misto? Lo crede possibile?"
Lo crede pù che possibile.
È difficile che una sola persona sfugga ad un'epurazione, se è Kiri a ordinarla, figuriamoci due soggetti isolati o addirittura una coppia! Le probabilità puntano nella direzione di un ipotetico figlio illegittimo, sfuggito quindi alle maglie della Nebbia e poi morto poco dopo aver procreato a sua volta il protagonista di quella faccenda.
Kaede sta a pensarci a lungo, riprendendo la parola solo quando sembra aver raggiunto una qualche sorta di conclusione: "L'emosintesi è costante, fin dalla nascita, DEVE essere così. Ma senza utilizzare il chakra per le arti Ninja, e soprattutto senza usare il Chiton, lo scambio potrebbe anche continuare per tutto il ciclo vitale di un Ashura. I malati avevano tutti un'età compresa tra i quindici e i trent'anni perché era l'età in cui i Ninja cominciavano a sviluppare le proprie abilità, imparando a impastare il chakra. Non l'avessero mai fatto avrebbero potuto continuare a vivere senza problemi, o almeno avrebbero potuto avere una possibilità. Io ho provato in verità a usare il Chiton in passato, con effetti disastrosi per il mio corpo. Così ho deciso di non usare mai più il mio chakra.
Quando usavo il chakra... gli effetti erano terribili, immediatamente. Anche adesso, mentre alimento il parassita nel tuo corpo io..." - si ferma un attimo, come colto da un'illuminazione - "Un'emosintesi più veloce del normale.."
Urako lo fissa piuttosto torva, trattenendosi dallo sbuffare. “Lavorerei molto meglio se fosse completamente onesto con me, Kaede-san” commenta cupamente - “Come se avesse alternative” lo punzecchia, aggrottando nuovamente le sopracciglia.
"Deve anche capire la mia posizione, inizialmente dovevo essere accorto riguardo le informazioni... É pur sempre una Kunoichi di Kiri" replica lui – una risposta prevedibile, che decide di ignorare, per non perdere tempo in discussioni inutili.
Deve puntare dritta al sodo.
“Mi sta dicendo che la rapidità del suo malessere potrebbe essere legata alla sua minore resistenza all'Emosintesi, causata da un sangue non puro?” lo incalza, sentendo le domande affastellarsi l'una sull'altra; "no no... Ragionavo sulla sua teoria del sangue misto. Il parassita nel suo sangue agisce troppo velocemente, così come fa con me quando uso il chakra. Magari considera anche il suo "sangue misto". Se io avessi sangue misto, quanto Ashura sarei? Per metà? Un quarto? E lei in questo momento, mentre le dono il chakra, come sarebbe considerata?"
Una serie di domande aperte, che finisce per trascrivere sui suoi fogli, senza riuscire a collegarle con altri concetti. Il labirinto si espande senza presentare uscite palesi.
22.20
Dopo un certo numero di ore di studio, arriva anche il momento di sviscerare tutte le ipotesi. Tutte, ma proprio tutte, incluse quelle che non promettono bene, iniziando da ciò che aveva evitato di dirgli in prima battuta: “Dovrebbe sapere che il cuore per noi shinobi rappresenta il centro del sistema circolatorio del Chakra. Questo si sposa con l'andamento della malattia, che colpisce gli arti e le zone periferiche, dove la circolazione risulta meno attiva.
I piedi di una persona hanno la funzione di un secondo cuore, favorendo passivamente la risalita dei fluidi corporei quando sono messi in movimento... e mi creda, so che questa osservazione potrebbe essere stupida, ma è possibile che il degenerare fisico sia legato al movimento fisico?
I trent'anni sono la soglia in cui il fisico ha cessato la crescita e inizia a declinare. Senza un'attività fisica regolare, il sistema si mantiene in equilibrio per qualche anno, poi iniziano vari disturbi... tutti gli Ashura erano medici, giusto? Lavoravano sul fronte o in ospedale? Quanto movimento giornaliero potevano svolgere?”
L'uomo risponde abbastanza prontamente: "Non saprei, sarebbe un'analisi troppo vacua da verificare. Un'attività assidua comporta a un uso di chakra che sia minimo o no, questo comporterebbe ad ammalarsi perché il parassita avrebbe meno chakra a cui attingere. Onestamente collegherei un' assidua attività solo a questa conseguenza senza altri dettagli rilevanti"; torna a farsi sentire anche la voce di Eiki: "ciò fa di te un grande Guerriero Kaede, starmi dietro ed essere l'ultimo Ashura in vita. Chapeau"
Deve trattenere un grugnito esasperato.
22.50
"Kaede-san, cosa intendeva dire esattamente quando ha scritto: "Si contagiavano tra loro!!" - domanda con voce leggermente impastata, sollevando la pagina che è andata a recuperare tra i documenti già esaminati e sollevandola ad altezza viso. Kaede, che nel frattempo si è versato un altro caffè, riprende proprio quegli appunti, scorrendoli con lo sguardo stanco: "Inizialmente avevo ragionato sul fattore "idea". Nel senso che ogni qualvolta un Ashura medico scopriva di più sul Chiton, e ne condivideva le informazioni, si verificava un picco di contagi. Le scoperte portavano alla malattia, in buona sostanza si contagiavano tra loro, ogni volta che si avvicinavano a una nuova scoperta dell'abilita e al volerla sviluppare.
In breve infatti lo sviluppo proseguì in maniera assolutamente segreto, portato avanti sotto la supervisione di Kiri quando non era ancora stata decisa l'epurazione; a pensarci adesso però, con le scoperte fatte insieme, magari alcuni medici erano arrivati all'idea di usare un chakra non proprio per l'emosintesi... Ovvero quello degli altri Ashura. Lo crede possibile?
Magari in questo modo alcuni sono riusciti a sviluppare un Chiton avanzato, a spese dei loro cari che facevano da carburante". Si gratta la testa e scrive quelle nuove idee in una nota che prosegue quella da cui era partito il ragionamento; "l'energia inesauribile..." borbotta piano - "Io ho provato a far abituare il parassita a un organismo estraneo, ma se invece usassi quello di un altro Ashura per cibare il mio, potrei usare il Chiton? Peccato sia l'ultimo rimasto" - commenta, poi guarda Urako e sembra sorridere sotto a quei capelli rossi e ingarbugliati.
"Se lei fosse un Ashura sarebbe tutto più facile"
"Peccato, sono una comune mortale" ribatte lei, con un ghigno che sembra più una smorfia.
"Tra le varie ipotesi che stavo valutando, prima di scartarla, c'era qualcosa di simile ad un macro-organismo. Ripensavo al fatto che la prima volta che sono svenuta, lei era furibondo, come se il Parassita reagisse al suo stato d'animo. Come se lo stress di un elemento potesse creare squilibri colmabili solo con un maggiore assorbimento di energia. Ha presente il funzionamento del Cortisolo? Una cosa del genere. In questi termini, la malattia di un elemento avrebbe potuto provocare la malattia dei suoi congiunti, in un effetto-domino incontrollabile. Questo però presuppone che gli Ashura condividessero energia costantemente, e magari non solo quella. Se il Parassita fosse in qualche maniera in grado di supportare le attività cerebrali, ad esempio, si spiegherebbe l'eccezionale intelligenza manifestata dai membri del Clan. Senza nulla togliere... "
Alle sue parole, l'uomo inizia a camminare avanti e indietro, per pensare ma soprattutto per tenersi sveglio: sembra molto interessato... "è interessante, si sposa anche con le mie valutazioni. Questo parassita è molto più di un organismo unicellulare. Se fosse così, l'importanza della "linea di sangue" diventa assoluta. Come se gli Ashura vivessero come un unico grande essere che effettua Emosintesi.
Energia che si canalizza verso il più forte che necessita di più energia. Questo però vorrebbe dire che siamo segnati. Senza altri Ashura da cui prendere energia, saremo morti entro qualche ora" – afferma, quindi prosegue nel suo ragionamento - "Quello che io ho cercato di fare con lei diventa così quasi "naturale". Non essendoci altri Ashura da cui prendere energia, stavo cercando di "crearne" uno nuovo... Facendo abituare il parassita alla sua energia"
Urako può vederlo nei suoi occhietti luminosi, percepisce quasi quello che sta pensando: "Siamo al punto di partenza signorina Urako. L'energia inesauribile erano gli Ashura per gli Ashura, questa scoperta andava studiata decenni fa. Mentre adesso sono solo io"
23.05
Le ci vuole più tempo di quanto non vorrebbe, per metabolizzare la mole di informazioni ricevute. La mente risponde sempre più lentamente, nonostante gli zuccheri che si sforza di ingerire a intervalli regolari, pur senza essere davvero affamata. "... in sostanza... abbiamo le ore contate e l'ipotesi che anche io possa tentare di controllare il parassita come farebbe un Ashura è pericolosa, perché rischia di essere troppo dispendiosa per una contropartita insufficiente.
Le sue analisi, Kaede: ci sono valori particolarmente alti o bassi, rispetto alla media? L'energia viaggia nel sangue sotto molte forme. Se qualche valore è troppo alto o troppo basso, potrebbe farci da spia.
Se trovassimo qualcosa che plachi la fame del parassita... una soluzione temporanea... finché non ci viene in mente qualcosa che funzioni sul lungo periodo"
Lui ha la mano sul mento: si sta spremendo le meningi, quando in realtà vorrebbe palesemente abbandonarsi a un dolce sonno. Un sonno eterno. Eiki lo aiuta tenendolo d'occhio, impegnandosi a disturbarlo quanto basta per evitare che si assopisca.
"Mmm valori alti? Non saprei... sullo scambio non si scappa, il parassita vive di chakra, e solo con quello Ashura fa un'emosintesi corretta. Io sono già riuscito a fargli credere di poter prendere energia Ashura anche dal tuo sangue, dobbiamo ragionare su questo" le fa notare, smontando purtroppo la promettente ipotesi di poter replicare in qualche modo la composizione peculiare del chakra Ashura.
"Dobbiamo fargli credere che tu sia un'Ashura. Così da fargli fare un'emosintesi più controllata. E se... che gruppo sanguigno ha?" domanda improvvisamente, mentre Urako si afferra sconsolata la base del naso tra le dita: "fargli credere...?" ripete con un sussurro seccato "A positivo" – risponde poi, niente affatto convinta di quell'idea appena partorita da quella testa color carota.
Un colore tanto simile a quello della chioma di Yu.
"Io sono Zero positivo, potremmo fare una trasfusione! Donandoti il mio sangue potremmo mandare in pappa il parassita, potrebbe scambiare il tuo sangue per il mio. Considerando che per ora lo sto nutrendo"
Si è accesso d'un tratto: sonno e stanchezza sono un lontano ricordo, mentre Urako non è altrettanto entusiasta di quell'idea: "così finirà per spossarsi ulteriormente. Io sono disponibile, ma lei è sicuro di non crollare subito dopo?" commenta con e sopracciglia sollevate, per poi passarsi una mano sul viso stanco. Lui fa spallucce: "Crollerei comunque, ma avremmo almeno una speranza"
Non consolante.
E lei, è abbastanza con le spalle al muro da acconsentire a quell'esperimento?
Che fine ha fatto la faccenda del sangue misto?
Quanto può incidere una trasfusione di mezzo litro di un sangue non puro, su un volume totale di cinque litri e mezzo di sangue estraneo come il suo?
Masuda Kirotaba, anche lui si è sentito altrettanto stanco, durante una missione?
Anche lui è stato sul punto di imboccare la prima strada che gli si è parata davanti, pur di andare da qualche parte? Pur di non restare bloccato dov'era?
“Devo riflettere, Kaede-san.
Posso domandarle per favore, nel frattempo, qualcosa per cena?
Magari staccare qualche minuto può aiutarmi a riattivare la testa...” borbotta rovesciando il capo all'indietro; Eiki se la ride apertamente quella domanda, ma Urako non ha più le energie mentali per preoccuparsi: quell'uomo probabilmente è una di quelle persone che vuota del tonno in scatola nella tazza di noodles istantanei pur di non allontanarsi dal lavoro, ma se è arrivato a trent'anni evidentemente è in grado di produrre qualcosa di edule.
… tonno... sì... ma per fortuna non in mezzo alla zuppa istantanea: quella pare insalata. Un'innocua insalata.
Qualcosa che potrebbe pulirle i denti dalla poltiglia stucchevole di pasta frolla che ci si è appiccicata sopra: la saluta con un certo fiacco sollievo, ringraziando lo studioso ed abbandonando per il tempo necessario la pila di documenti, sbattendo le palpebre sugli occhi che bruciano.
23.40
"mi ha detto in precedenza che mischiando il sangue Ashura con del sangue estraneo si ottengono degli effetti... particolari. Quanto particolari, esattamente?" - domanda con voce davvero stanca, a testa bassa. Il momento in cui si troverà ad accettare qualsiasi proposta di quel tizio, per quanto assurda o pericolosa o inutile, è pericolosamente vicino.
Non ha fame, non sul serio: l'odore del tonno non lo sente nemmeno, col naso tappato tutto il cibo sa di cartone. Mastica meccanicamente, tirando su una foglia dietro l'altra, con lo sguardo perso nel vuoto.
"Sì, anche se dipende molto dalla condizione del parassita. Inizialmente sta sulla difensiva, rispondendo come quando ha percepito il chakra curativo, come un sistema immunitario. Trattandolo però, abituandolo al sangue estraneo attraverso la costante immissione di chakra Ashura in esso, risponde in maniera sempre diversa. A volte lo avvolge, avvelenandolo, altre volte lo accoglie fintanto che ne trova energia"
Questo non è promettente... considerando che quella roba dovrebbe iniettarsela...
"Ricordi le macchie colorate sul mio pavimento? Quella sostanza era una risultante di questo: non era più sangue ma un liquido vischioso...” - sempre promettente, insomma...
“Tutto questo però nel caso in cui si immetta sangue non Ashura in un sangue Ashura, nel caso contrario non ho mai provato. Verosimilmente il parassita si attaccherà al sangue sangue Ashura trovandolo pieno di energia. In definitiva... Se tu mi facessi una trasfusione potrei implodere, ma facendola io a te dovresti solo trarne vantaggio, o comunque... Tempo"
“Mhhh” mugugna masticando le ultime foglie di lattuga, con un grugnito niente affatto convinto.
Che dire?
Nel senso: se non si farà niente, è certo che moriranno entrambi.
Facendo qualcosa, potrebbe aprirsi un qualche tipo di speranza.
Ammesso che si faccia la cosa giusta.
Quanti dati ha a disposizione, per stabilire la bontà di quella scelta?
Pochissimi. In condizioni normali, assolutamente insufficienti. Di più: fare una trasfusione con un sangue simile sarebbe terribilmente, totalmente sconsigliato, specie senza fare qualche tipo di test prima. Sarebbe già più intelligente concedersi qualche possibilità di sbagliare, ma senza morire istantaneamente e in modo orrendo.
Decide che ci avrebbe pensato ancora un po', e lo fa non senza avvertire l'ansia azzannarla allo stomaco.
1:00
La mezzanotte è passata da un'ora.
Lei si avvicina a quel momento in cui supererà la soglia della stanchezza, per ricadere in uno stato di lavoro meccanico e quasi febbrile.
Sente gli occhi gonfi e le palpebre secche.
Si costringe a terminare la pagina, che rilegge per la quinta volta senza riuscire a capirla, la volta, sospira. Questo prendere tempo non sta dando quei brillanti frutti che avrebbe sperato.
No, non è che avesse realmente sperato in una svolta. Razionalmente, è poco probabile che un'illuminazione improvvisa cambi improvvisamente le carte in tavola.
Semplicemente non ha escluso la possibilità che ciò avvenisse... e un po' questo fatto è frustrante.
Kaede legge in silenzio, a qualche metro di distanza: gli lancia una lunga occhiata in tralice, per verificare che non stia dormendo – anche se in quel caso, se ne accorgerebbe immediatamente – quando viene distratta da un tonfo ovattato, che la fa sobbalzare. La penna le ruzzola via dalle dita.
Si china a raccoglierla e torna sugli appunti, evitando a bella posta di incrociare lo sguardo del felide: Eiki è saltata sul tavolo e si avvicina silenziosa; poi la guarda assorta, leccandosi una zampa
"Di' un po', che farai semmai dovessi salvarti? Andrai a denunciare Kaede? O dirai di aver incontrato Eiki ai tuoi amici dell'eremo?"
Urako non stacca gli occhi dall'articolo che sta leggendo: "A che pro? Farmi bella davanti al Kage? Credimi, non ne ho bisogno" bofonchia a bassa voce, con tono leggermente altezzoso.
"Per quanto riguarda te, Sosui non ti ha mai nominata, io non ti ho mai vista, fine.
Se Kaede non minaccia Kiri, lasciare che viva libero è la cosa giusta da fare. Sono certa che il Mizukage concorderebbe. Potrei fare in modo che Kaede abbia un buon posto al Villaggio, ma nemmeno posso forzarlo a seguirmi. Scelta sua. Sarà un casino piuttosto fare rapporto.
... finita questa storia, vedo di trovarmi un ragazzo.
Fare la reclusa sui libri mi ha rotto le scatole."
D'accordo, di quest'ultima aggiunta non glie ne fregherà poco e niente, ma per lei è una specie di promemoria.
La gatta sogghigna, senza staccare le iridi feline dal suo sguardo abbassato: "sei ingenua se pensi che questa storia finirà a lieto fine. Credi che un Kage accoglierebbe l'ultimo superstite di un clan epurato da Kiri stessa?" e poi: "Sosui non mi ha mai nominata dunque?" domanda probabilmente in modo retorico, mentre si guarda gli artigli retrattili - "non mi sorprende".
Non che le dia fastidio essere distratta: staccare cinque minuti può solo farle bene. Però la situazione post-guarigione, ammesso che si verifichi, si trascina dietro una serie bella grossa di problemi da risolvere e rischi sgradevoli, a cui si sta sforzando di non pensare. Sbuffa e solleva lo sguardo dall'articolo: "Io invece trovo te prevenuta, Eiki-san. Conosco Hayate Kobayashi meglio di te e sono io a metterci la faccia con lui. L'incognita per me piuttosto è la voglia di Kaede di piantare grane. Nulla mi garantisce che non cambi idea, per quanto poco gli convenga."
O almeno, questo è quello che ha bisogno di ripetersi, per sentirsi meno sulle spine.
È vero che è il Sarto, è vero che la sua carica è pari a quella di un Generale, ma è altrettanto vero che una sua caduta sarebbe ben più fragorosa di quella di un normale chunin.
No, non vuol dire che si sta pentendo di aver ottenuto la Katana.
Fa spallucce e torna a leggere. "Potrai vivere la vita che sogni, quando Kaede sarà guarito" conclude il discorso, risparmiandosi altre osservazioni sul fatto che gli affari tra lei e l'Eremo non la riguardano.
La gatta però sembra indispettita dall'ultima risposta: "vivo la vita che ho scelto già da tempo, e spero non sia una ragazzina dai mille buoni propositi a rovinarla. Kaede vuole solo trovare una cura, aiutalo e saremo tutti felici. Sarà come dici ma vivo da ben più tempo di te ragazzina. Vedremo se Kiri è cambiata a tal punto"
Ma quanta acidità.
Urako alza gli occhi al cielo, o meglio, al soffitto in penombra, ma evita di sprecare fiato.
"Accetto la scommessa" ribatte atona, tornando a infilare il naso tra le pagine odorose di polvere e formaldeide; lei, in tutta risposta, fa cadere per terra con la zampetta alcuni fascicoli rimasti accatastati sul bordo della scrivania.
“E tieni in ordine" sibila, prima di saltare giù e tornarsene tra le gambe di Kaede.
…......
… stronza.
1: 45
Si tira una manata sulla fronte.
Lo fa perché si è appena ricordata l'ennesima cosa che vorrebbe domandare al signor superstite, e che le è sfuggita di mente almeno due volte fino a quel momento. Nel parlare di nuovo, sente la lingua muoversi a fatica, gonfia e irrigidita.
La domanda in sé dovrebbe avere una risposta abbastanza scontata, ma non crede di poter proseguire serenamente senza chiedere di tutto, incluse le cretinate. "Sono molto stupita, Kaede-san, dal fatto che un Ashura - mi passi il termine - non particolarmente esperto, riesca a mantenere vivo il Parassita del paziente di Hajime. La distanza è enorme. In che maniera ci riesce?"
"Mi sono quasi distrutto nel provare a gestire quello dentro di lei, signorina Urako. Come crede sia possibile una cosa del genere?" - detto ciò, fa una pausa; "il suo corpo ha reagito male agli esperimenti, e nel momento in cui non gli ho più concesso chakra, il parassita ha cominciato a prosciugarlo. In che condizioni era quando lo ha visto? Beh a lei succederebbe lo stesso, ma in maniera ben più veloce."
Ma che pensiero motivante.
"Pietose. Del tipo che stimolano a darsi da fare per non finire in quel modo.
Necrosi alle estremità, tranne il mignolo sinistro, parte inferiore del corpo immobilizzata per il sangue solidificato. Hajime lo imbottiva di morfina."
Kaede scuote il capo con i gomiti sulle ginocchia, prima di affondare la testa fra le mani - "per l'appunto."
2:30
No che non è un problema da poco: è solo che sembra piuttosto al di fuori della sua portata adesso.
Sente a patina di polvere e cellulosa ricoprirle le dita. Non le piace, vorrebbe lavarsi le mani, ma inutile farlo se torneranno a sporcarsi in meno di due minuti.
Poggia la guancia destra sul pugno chiuso, sbuffando dal naso: non può preoccuparsi adesso di cosa racconterà a Hayate, una volta tornata a Kiri.
Punto primo: non sa se ci tornerà.
Punto secondo... non c'è un vero punto secondo.
Quello che ha detto alla gatta è vero per metà: non è affatto sicura che il Mizukage sarà d'accordo con la sua decisione, né che possa accettare come motivazione qualcosa tipo “era l'unico modo per fare le cose fatte bene”, o peggio: “le stragi le lascio a voialtri, il Sarto ha le sue vie”.
Non riesce sul serio a capire se davvero Kaede saprà lasciarsi tutto alle spalle. Non sa come spiegare agli ANBU la sparizione di Kaede, senza denunciarlo come Ashura e mentire affermando che sia scappato di nascosto. Non saprebbe nemmeno cosa inventarsi, se mai decidesse di imbastire una storiella convincente che non preveda rivelazioni scottanti sullo scienziato.
Cioè mentire, anche in quel caso.
Il Sarto... il Sarto dice che la menzogna non è il modo giusto di chiudere quello strappo.
Sospira.
Poggia gli occhi sui pugni chiusi.
Rimanda tutto al momento in cui avrà senso occuparsene.
3:15
"Com'è che l'avete venduta a Kiri, esattamente, la storia dell'epidemia? Sono convinti anche loro che i pazienti siano decine, o vi siete divertiti tutti a farmi passare per scema?"
Forse ha bisogno di parlare, per ricordarsi di essere ancora sveglia – e più in generale, viva.
"È bastato fare vedere i sintomi alle spie mandate dal Mizukage e a quel punto hanno creduto a tutto quello che gli ho raccontato. Intuendo che potesse trattarsi di un Ashura sono usciti fuori di testa, hanno fatto di tutto per occultare le informazioni e hanno immediatamente isolato i confini dell'isola" – alla faccia dei soldati addestrati dal proverbiale sangue freddo, insomma.
Anche i migliori vanno in paranoia... "era troppo pericoloso indagare oltre con più uomini... E infatti sei qui. Credi di essere stata mandata per salvare un'isola?"
Questa uscita non le piace. La fa passare da credulona sprovveduta. Non sa quanto riesce a dissimulare il disappunto.
"Mi hanno illustrato quello che credevano di aver capito e mi hanno chiesto di aiutarla a sviluppare la cura. Tutto qui. È lavoro, il credere non c'entra niente". Il pensiero di poter dare degli imbecilli a tutti gli ANBU una volta rientrata a Kiri prende corpo e si fa allettante.
Kaede fa spallucce: "La torchieranno quando tornerà, probabilmente. Sarà meglio che si inventi una buona storia"
Il pensiero di poter dare degli imbecilli a tutti gli Anbu una volta rientrata a Kiri, si fa improvvisamente meno determinante per il suo buon umore. Kaede sorride, consapevole di essere stato molto positivo nella sua ultima affermazione - "Mi ha dato la sua parola e io la mia. Ci salveremo entrambi"
"... mi aiuterà lei a con a storia. Le sue possibilità di prendere il largo indisturbato dipendono moltissimo da quanto sia buona, specie quando verrà fuori il fatto che l'epidemia non esiste. La mia offerta è sempre valida, Kaede-san" ribatte prontamente, decisa a non lasciargli credere di poterla mollare al suo destino senza muovere un dito.
"Se riusciremo a scrivere una pagina storica sulla ricerca Ashura, la aiuterò ben lieto"
Annuisce, per il momento tranquillizzata dalla risposta.
4:50
E se lasciar perdere, drogarsi un po' e lasciare che la natura faccia il suo corso fosse la scelta migliore?
5:30
Il nero della notte che scolora in un muro lattiginoso grigio scuro.
È arrivata all'alba.
Non sa spiegarsi come mai, ma trova la cosa confortante.
5:45
Crede di aver superato – di nuovo – la barriera ella stanchezza. Sente tirare gli occhi, come se fossero secchi. Kaede è ancora sveglio.
6:55
Ha messo su l'ennesima caraffa di caffè. Non è nemmeno certa di saperla preparare correttamente. In altre parole, non riesce a capire se faccia schifo o no: Kaede trangugia sempre senza fare commenti.
È abbastanza certa che non sappia di bruciato, tutto sommato l'importante è quello.
Si sorprende a domandarsi se non sarebbe stato bello uscire a vedere l'alba sul mare.
Non crede che gli ANBU avrebbero fatto chissà che problemi.
In fondo, nemmeno sanno cosa stia succedendo.
Potrebbero benissimo trovarsi ad estrarre il suo corpo esanime tra qualche ora, e passare le prossime due settimane a domandarsi che diamine sia successo davvero là dentro.
8.30
Non riesce a prendere tra le dita i fogli di carta.
Le sfuggono.
Tutto le sfugge.
I pensieri, le parole, le tazze di caffè.
La vita, anche.
A cosa si aggrappa?
Se il Parassita la uccidesse ora, è certa che nemmeno se ne accorgerebbe per il troppo sonno.
Si alza, passeggia avanti e indietro nella stanza, forzando nei polmoni più aria di quella che serve. Non pensa di sentirsi più sveglia, nemmeno adesso. Sbatte i piedi, come quando devi liberarli da uno strato di fango spesso prima di entrare in casa. Non pensa di poter andare avanti.
Non crede di poter cavare ancora molto.
né a sé, né da Kaede.
12.20
Nama mugi namagome nama tamago
Nama mugi namagome nama tamago
Volta pagina, non ha capito nulla di quello che ha letto, va avanti comunque, occhi che vagano in un mare grigio quasi indistinto, la veglia che si lega a sillabe ripetute a mo' di litania, echi strozzati di preghiere mai formulate.
Nama mugi namagome nama tamago
Nama mugi namagome nama tamago
13.30
Nama mugi namagome nama tama...
Batte le palpebre.
Quanto è rimasta con gli occhi aperti e il viso affondato tra i pugni chiusi?
Le sclere sono ruvide come carta vetrata, le guance arrossate, quasi incollate alle nocche, tanto che staccarle fa quasi male.
Non crede di aver dormito.
Kaede non pare essersi accorto di nulla.
Strizza le palpebre.
Saranno cent'anni che ha iniziato quel lavoro.
Si alza per andare a farsi un caffè.
L'odore del caffè potrebbe farla vomitare ormai.
15.15
Ce l'ha davanti, in qualche modo: il frutto di tutti i briefing che ha fatto con Hatsue in ospedale, di tutte le strategie di soluzione di problemi che ha imparato a schematizzare, da quando è alle prese con beute, storte, becker e provette. Un'accozzaglia di fogli affastellati probabilmente chiara solo a lei, e a cui vorrebbe solo poter dare fuoco, quando tutto sarà passato.
Quando tutto sarà passato...
Deve solo avere il coraggio di ammettere ad alta voce che l'idea più orripilante - se andasse storta - è anche la più plausibile.
Passare dalla paura di soffrire mentre precipita nel nulla della non-esistenza, al desiderio di trovare pace, in un modo... o nell'altro.
Purché tutto ciò passi.
16:45
“Kaede, senta qui.
Se facciamo la trasfusione subito, ci giochiamo il tutto per tutto, senza poter verificare prima quanto male le cose possano andare. Morte per morte, non è intelligente né scientifico: voglio poter sbagliare più di una volta, senza bruciarmi le altre possibilità.
La cannula dovremo inserirla comunque in vena: prepariamo un test che possa avvicinarsi almeno vagamente alla situazione che andremo a creare. Posto che io abbia intorno ai 4 litri di sangue in circolazione, data la statura e la corporatura, e che lei mi doni non più di mezzo litro di sangue, anche se meno sarebbe più prudente, possiamo ipotizzare una miscela con una parte su nove proveniente da lei: controlliamo le eventuali reazioni e decidiamo se sia un'ipotesi praticabile.
Dopo aver prelevato il necessario terremo le cannule inserite e chiuse finché non saremo certi che non mi disfarò in una pozzanghera maleodorante. Sfilarle non è una buona idea, sappiamo già come andrebbe a finire.”
Kaede è stremato, veramente stremato; le occhiaie hanno raggiunto dimensioni e colorazione preoccupanti. L'uomo non può far altro che fare spallucce: non sembra più molto lucido per pensare; dal canto suo, Urako si sente come un filetto di pesce steso ad essiccare: rigido e senz'anima. "D'accordo, proviamo" esala lui. Detta così, la fa sentire vagamente in colpa.
Tanto per gradire, interviene Eiki a gamba tesa. Urako batte le palpebre guardando nel vuoto: non ha le forze mentali per arrabbiarsi. "Questo allunga soltanto i tempi e Kaede deve dormire. Ti farai ammazzare. La trasfusione ci darebbe la possibilità di lasciarlo riposare, con nel tuo corpo il suo sangue per il parassita"
Avrebbe quasi voglia di risponderle che prima di aprire bocca, potrebbe almeno farsi un addestramento medico di base; per fortuna Kaede ha ancora qualche goccia di energia mentale rimasta: "Stai tranquilla, ha ragione la signorina Urako, non perderemo più di pochi minuti"
La gatta mugugna e va a rintanarsi dietro le gambe del padrone, che è accasciato sulla sua sedia, lottando con un sonno mortale.
Ore 17:30
L'attrezzatura è stata allestita, con le mani che minacciano di far scivolare provette e aghi come se le dita fossero fatte di tofu fresco. Urako lavora accanto allo scienziato, in silenzio, concentrando tutto ciò che resta loro dentro per sistemare l'occorrente per la breve prova e l'eventuale trasfusione, subito dopo. Non può dare torto a Eiki: Kaede ha superato da un pezzo la soglia della fatica sopportabile, se l'esperimento dovesse mitigare i dubbi della quindicenne, dovrà procedere alla svelta con quell'azzardo.
Non che lei sia messa particolarmente meglio.
Le sembra di avere il cervello imbevuto di melassa.
Non fa ancora accomodare Kaede sul lettino da trasfusione, per motivi ovvi; prendere la vena del suo stesso braccio, in quelle condizioni, richiede più concentrazione del dovuto. Se non prendesse subito la vena, rischierebbe naturalmente di innescare un'emorragia che non potrebbe contrastare efficacemente.
Quello che segue è offuscato nella memoria. Un susseguirsi di gesti meccanici, dovuti più alla memoria muscolare che a una lucida consapevolezza. Osservare che il campione che viene fuori non sembra avere particolari comportamenti aggressivi, non suscita nemmeno l'euforia che si sarebbe aspettata di provare.
Lo scuote intorpidita, mescolando i fluidi che già sono diventati uno.
Se solo avesse il tempo per fare un lavoro accettabile, dovrebbe come minimo effettuare osservazioni al microscopio e qualche test di conferma.
Se solo avesse il tempo.
Osserva per l'ultima volta in controluce la provetta accuratamente chiusa, scuotendola leggermente, senza notare strane esplosioni, cambi di colore o disidratazione improvvisa.
"Il parassita sta probabilmente giovando dell'energia nel mio sangue, avendolo abituato al tuo sangue in precedenza, potrebbe anche creare un equilibrio naturale" – commenta Kaede, osservando la scena - "inoltre non cambia colore, e non è esploso. Questo vuol dire che non ha perso potenza e contemporaneamente non sta combattendo l'intruso... Direi che la via è praticabile"
“Lo spero, Kaede-san” replica lei atona.
Sta a guardare la fiala ancora solo per un istante, poi la poggia accanto al microscopio ormai ignorato; Kaede potrà donare meno sangue di quanto non farebbe normalmente, date le sue condizioni. Sarà opportuno, a occhio e croce, provare una trasfusione braccio-braccio: l'attrezzatura c'è, sarà una pena farla funzionare mentre è collegata al marchingegno, ma a meno che Eiki non abbia fatto un corso-base di medicina ninja, non può fare affidamento su di lei.
Il suo ultimo pensiero prima di attivare la trasfusione, è che avrebbe dovuto portarsi lì vicino la maledetta morfina.
Alla fine se ne è pure dimenticata.
E dovrà pure improvvisare qualcosa per salvare capra e cavoli, se per caso Kaede facesse qualche stronzata.
Di nuovo, finirla lì non sembra poi tanto male, come soluzione.
Peccato solo per... beh, per tutto.