«Attento, non avvicinarti. Ha una malattia molto contagiosa.» Nel sentire l’ammonizione da parte del ragazzo del Gelo, Kacchan corrugò lievemente il viso, in una smorfia, schioccando le labbra indispettito.
«E quindi? Non vedo quale sia il problema...» Rispose, liquidando così la cosa, ritornando a concentrarsi sul bambino, a cui sorrise rassicurante, con l’intenzione di tranquillizzarlo.
«Sono un medico, so bene come comportarmi in certe situazioni, e poi... Credo abbiano ingigantito la cosa più del dovuto, ragazzo. Potrà anche essere contagioso, ma dubito che rischierebbero di ammazzare metà dei contendenti con una pandemia, e il contatto diretto non uccide nessuno, quindi...» Strizzò l’occhio al piccolo, allungandogli una mano libera, con l’intenzione di stringere la sua. Con l’altra mano, invece, gli mostrò la stella ninja, invitandolo a prenderla lui stesso, tutto per fargli capire le sue buone intenzioni.
«Che ne dici, piccolo? Se non vuoi che ti punga io, puoi farlo tu. Guarda, ti faccio vedere.» Così dicendo gli fece vedere la mano e, tenendo saldo il piccolo shuriken con l’altra, si punse un dito, facendo uscire una tonda goccia di sangue.
«Visto? Non serve fare chissà quale taglio... Basta una gocciolina. E se hai paura di contagiarmi, non ti preoccupare, dico davvero!»Non voleva dargli fretta, anche perché era convinto che tutte quelle attenzioni, da parte sua, l’avrebbero facilmente stranito, se non oppresso. Dopotutto, se era stato detto alla sua squadra che era contagioso, molto probabile che avevano limitato al minimo i contatti con lui, e la cosa lo infastidiva alquanto. In certe circostanze, quel bambino necessitava di quanto più calore umano possibile, invece che di fredda diffidenza. Ecco quindi un’altra, ottima ragione, per odiare la Tsuchikage e quel suo stupido torneo.
C’era da dire, tuttavia, che finalmente la situazione era giunta ad una stasi: il compromesso era stato raggiunto, le armi riposte e nessuno avrebbe più alzato dito contro gli altri, almeno fino alla fine di quel tentativo di sbloccare la situazione. Non era di certo l’unico artefice di quella tregua, anzi, molto avevano fatto Sumiye e Sun, eppure... Sperava fosse merito suo, della sua testardaggine, del suo ostinarsi a voler evitare lo scontro e cercar di risolvere le cose nella maniera più diplomatica possibile... E facendo perdere tempo, a discapito dello spettacolo. Ah, chissà quanto doveva rodere alla Tsuchikage, che le cose non stavano andando come aveva pianificato! E se quel tentativo non fosse funzionato? Avrebbe trovato il modo di perdere ulteriore tempo. Tutto per sabotare quella farsa....
Si stava svolgendo il VI Torneo Chunin a Kiri. Gli spalti erano gremiti, la folla intenta a scrutare le vicende affrontate dagli esaminandi, come se si trattasse del più entusiasmante dei film. Un Kacchan decisamente più giovane e sbarbato osservava la scena, mugugnando la sua disapprovazione.
«Come mai quella faccia? Cosa c’è che non va?» Gli domandò suo padre, distogliendo lo sguardo dall’arena e concentrandosi sul suo pupillo, il quale manifestava un certo disagio per tutta quella faccenda. «Che senso ha tutta sta cosa?» Gli domandò, con un gesto stizzito della mano. «Come che senso ha? Come dovrebbero valutare se un ninja ha o non ha i requisiti per diventare un Chunin, scusa?» Gli rispose l’uomo, tirando sù con la cannuccia, appositamente per far innervosire ancora di più suo figlio che, per tutta risposta, lo guardò infastidito.
«Non fare il finto tonto, sai bene cosa intendo...» Gli rispose imbronciato, incrociando le braccia al petto e lasciandosi scivolare pesantemente sul suo sedile, ingobbendosi. «Riproducono scenari plausibili coi quali possono scontrarsi nel corso della loro carriera. In che altro modo vorresti valutarli se no, sentiamo.» «Senza tutto questo, magari.... Che cazzo, è proprio necessario spettacolarizzare tutto ciò? Valutali direttamente sul campo, senza tutta questa farsa, e che merda...» «Linguaggio ragazzo.» Lo ribeccò, per poi sospirare e voltarsi completamente verso di lui.
«Non puoi farci nulla. Il Torneo Chunin è soprattutto una prova di forza tra I villaggi, attua ad ottenere timore e rispetto reciproco. Ed è un’usanza vecchia come il cucco, e dubito fortemente la cambieranno, specie per un teppistello come te!» Così dicendo, calò una mano sul suo capo, scompigliandogli affettuoso i capelli. «Sfrutta quest’occasione per capire come funziona. Potrebbe tornarti utile, nel caso tu intenda partecipare alla prossima edizione... » «Oh, certo...» Rispose con una spiccata nota sarcastica nella voce. «Parteciperò senz’altro, guarda... Anzi, sai cosa? Farò di tutto per sabotarlo, altrocché. Lo renderò di una noia talmente tanto mortale, che i Kage decideranno di abolirlo definitivamente.»
Nel sentire i propositi di Kacchan, Kyosuke scoppiò a ridere, agguantando il figlio in una morsa sotto il braccio, così da potergli strofinare il pugno in testa, facendolo mugugnare di dolore, ridacchiando. «Non vedo l’ora di assistere, teppista! Sono proprio curioso di vedere cosa tireresti fuori dal cilindro...»
Chissà cos’avrebbe detto suo padre, nel vederlo lì, ad affrontare le prove in quell’arena? Sarebbe stato fiero del modo in cui stava affrontando la cosa? O si sarebbe vergognato a morte del modo irresponsabile in cui si stava comportando? Qualcosa, nel suo cuore, gli suggeriva che si sarebbe messo a ridere a crepapelle, nel vederlo agire in quel modo, memore di quel farlocco proposito che aveva fatto, quando avevano assistito allo scorso torneo insieme.... Non sapere quella risposta gli faceva maledettamente male, la morte di suo padre una ferita che mai sarebbe riuscito a superare e sopportare.
Con sguardo malinconico, perso in quei ricordi del passato così dolci e amari, i suoi occhi cobalto si fermarono in lontananza, sulla figura minuta di Giman, in groppa all’Oni insieme ad Akira. Chissà che storia aveva, quel piccoletto, quanto aveva sofferto e quanto, probabilmente, avrebbe sofferto, se fosse rimasto li ad Iwa.... Più lo guardava e più si convinceva che l’avrebbe portato via con se, a Konoha, e avrebbe tartassato suo cugino, affinché si riuscisse a trovare una cura per la sua malattia. Magari si sarebbe portato dietro anche quell’altro bambino, di cui non sapeva ancora il nome...
«Se è una questione di chakra, potremmo far pisciare i bambini sugli amuleti senza doverli per forza ferire, no?» Quella domanda rivolta da Akira risvegliò completamente Kacchan dai suoi buoni propositi, lasciandolo particolarmente interdetto. Aveva davvero detto quello che aveva appena detto? Lo guardò attonito, cercando di capire se facesse sul serio o meno, ma l’affermazione che disse poco dopo, buttata lì con non chalanse, quasi a volersi giustificare, diede al giovane di Konoha il colpo di grazia.
”Puttana ladra... Come cazzo fa ad essere ancora vivo, con un disturbo del genere?” Perché ormai ne era certo, Akira aveva una qualche forma di disturbo mentale... Forse doveva portarsi anche lui a Konoha, per metterlo sotto controllo....
Lo vide tirar fuori un kunai, con l’intento di voler ferire a sua volta Giman, ed immediato cercò di attirare la sua attenzione, facendogli gesto di metter via quell’arnese. Se avesse ferito Giman e contaminato la sua pietra col suo sangue, quell’idiota avrebbe mandato all’aria tutto il suo piano, perché esser buoni va bene, ma fessi anche no. Dopotutto, sarebbe passato solo il team il cui bambino sarebbe uscito indenne dallo scontro, quindi era facile fare due più due, altrimenti perché Kacchan avrebbe insistito tanto in quella direzione, convincendo uno dei due team a ferire loro stessi il loro protetto, mentre lui si occupava di quello col team più sfasciato? Mero e semplice doppio gioco: far credere a qualcuno che sei dalla sua parte quando in realtà stai facendo il tuo interesse a sua insaputa ed a suo discapito. Quale modo migliore di agire, se sai per certo di uscire sconfitto in uno scontro sul piano fisico?
Inutile cercare di richiamare l’attenzione del musicista di Kumo, perché quello che seguì dopo lasciò Kacchan a bocca aperta, mentre si portava le mani ai capelli. Se si fosse andato a cercare, su un dizionario, la definizione di “esasperazione”, molto probabilmente si sarebbe trovata un’immagine raffigurante quell’esatta espressione che Kacchan aveva al momento.
«AKIRA, MA CHE CAZZO! Puttana di quella troia di Izanami, lei e tutta la razza sua...» Doveva fermarlo a tutti i costi, anche se questo voleva dire strangolarlo personalmente, o quel deficiente li avrebbe tutti ammazzati e...
Un campanello gli suonò all’orecchio, bloccandolo sul posto e gelandogli il sangue nelle vene. Quel chakra lo riconosceva bene, ma... Che diavolo ci faceva lì?
«AKIRA, PROTEGGI GIMAN!» Gli urlò, stringendo immediatamente a sè l’altro bambino, nell’esatto momento in cui, dall’alto della torre, un’ombra cadde su di loro, atterrando a pochi passi dalla torre in un lieve vorticare di sabbia sottile. Sembrava fossero passati secoli dall’ultima volta che l’aveva visto, invece era passata a mala pena un’oretta, forse qualcosina di più, e il suo corpo non perse tempo a ricordarglielo, la mente che andava a quel momento in cui, imprigionato nel suo corpo, cercava di prendere il sopravvento su di lui.
Perché era lì? Avevano finito il suo gioco, quindi non aveva senso che fosse ancora lì a tartassar loro l’anima, ma allora... Lo avevano mandato apposta? Forse si erano stufati della situazione e avevano mandato lui a movimentarla? Avrebbe dovuto tremare come una foglia, Kacchan, eppure non potè fare a meno di nascondere un sorriso sotto i baffi, cercando di tener a bada l’adrenalina schizzata alle stelle.
«Ancora tu? Ma non dovevamo vederci più?»Il seguito avvenne talmente tanto in fretta che lo Yamanaka non ci fece nemmeno più caso, tanto la situazione sembrava l’ennesimo deja-vu della sua prima prova: i giullari fantocci armati che gli portavano via il bambino, per poi immobilizzarlo... Semplicemente li lasciò fare, lo sguardo costantemente rivolto a quel suo acerrimo nemico che, ammantato di quella sua solita bellezza eterea, sorrideva sornione a tutta la scena.
«Cos’è, Jikan… Sentivi troppo la mia mancanza?» Lo canzonò, scrutando le lame premute contro la sua gola. Il metallo gelido a contatto con la pelle rovente lo fecero rabbrividire, generandogli una strana ondata di euforia.... Non ci stava più con la testa, era evidente. Non vedeva l’ora di porre fine a tutta quella storia e se era Jikan a dover scrivere sopra la parola fine, beh... In qualche modo l’apprezzava, come cosa. Il tutto si stava chiudendo in un cerchio, iniziato con lui e lui concluso. Bisognava solo capire come e dove si sarebbe riaperto il prossimo ciclo... E qualcosa gli fece intuire che, forse, poteva avere a che fare con qualcuno che non era stato particolarmente contento del suo modo di fare...
Il gas narcotico azionato dal capo giullare iniziò a fare effetto, i primi iniziarono a cadere, ormai privi di sensi. Kacchan cercò di tenere duro, resistere all’effetto soporifero che quel fumo faceva al suo corpo, perché se conosceva quel pazzoide, sapeva bene verso chi sarebbe andato ad infierire e, difatti, eccolo che si avvicinò a lui, ricreando quello strano contatto tra loro che lasciava ogni volta confuso il ragazzo.
«Ci vediamo dall’altra parte, crocerossina.»«Oh, non vedo l’ora, puttanella...» E gli rivolse il suo sorriso più soddisfatto che potesse fare. Era riuscito a far interrompere la prova, magari aveva pure mandato in bestia quella vacca della Tsuchikage. Insomma, aveva vinto, no?
Il corpo divenne pesante come un macigno, anche tenere gli occhi aperti divenne un’impresa.
«Ahahaha! Non ti smentisci mai, teppista...»
Qualcosa gli giunse all’orecchie, un suono familiare, forse il fruscio del vento... Difficile riconoscerlo, specie con l’effetto del gas a renderlo sempre più stanco, eppure quel suono flebile gli riempì il cuore di gioia e, col sorriso a fior di labbra, alla fine si lasciò andare tra le braccia di Morfeo.