La lama scattò rapida, ma altrettanto rapida fu anche la presa di Jikan: salda, la sua mano scheletrica gli bloccò il polso, tanto forte da generare una pressione dolorosa che avrebbe dovuto lasciargli perdere la presa dalla wakizashi. Eppure la mano di Kacchan rimase serrata intorno al manico, mentre il biondo stringeva i denti, lasciandosi sfuggire un breve ansito sofferente.
«Nonono, Kacchan... Io non posso morire qui. Ho un fratellino che mi aspetta!» Commentò l’uomo, sadico, assaporando con gusto le emozioni che balenavano sul volto del giovane, riconducibili, perlopiù a rabbia e delusione. Doveva esser proprio tanto soddisfatto, nel vederlo ridotto in quello stato.
«Dannato figlio di puttana...» Sibilò, iracondo, gemendo ulteriormente quando l’Iwano lo afferrò per i capelli, o meglio per quelli che gli erano rimasti, e dovette farsi forza per trattenere le lacrime di dolore, il cuoio capelluto, ustionato, che bruciava maledettamente. Se avesse compiuto un qualche movimento brusco, molto probabilmente Jikan si sarebbe ritrovato col suo scalpo in mano.
Con una lentezza teatrale, quasi volesse mettere in mostra l’ennesimo atto di quella sua pantomima agli occhi di un’invisibile platea, Jikan allontanò il braccio armato di Kacchan dalla sua gamba, ma avvicinandolo al suo viso. Con la mano libera, Kacchan afferrò il polso che gli bloccava la testa, cercando invano di allentare la morsa, temendo che quel folle volesse ferirlo con la sua stessa arma.... Cosa di cui, a dirla tutta, poteva anche non preoccuparsene, dato che era in possesso dell’antidoto per quel suo veleno con cui aveva imbevuto l’arma...
La cui lama, davanti agli occhi del giovane, apparve scarlatta, macchiata di sangue. Sangue che, Kacchan ne era convinto, non fosse suo, quindi c’era riuscito? Era stato abbastanza veloce da ferirlo e, di conseguenza, avvelenarlo? Una risatina isterica, a stento accennata, uscì a fior di labbra, ma così com'era nata, altrettanto rapidamente perì, perché quel folle di Jikan avvicinò il viso alla lama e la leccò, lappandosi via il sangue e il veleno che imbrattavano l’arma. Era immune ai veleni. Non riusciva a crederci...
Di per certo Jikan avrebbe potuto leggere, nel suo sguardo, lo sgomento e l’incredulità, eppure intravide uno strano luccichio, nelle profondità di quegli occhi blu. Eccola, nuovamente fuori, quella sua innata curiosità: come aveva fatto a diventare immune ai veleni? Quali e quanti tipi di tossina il suo corpo riusciva a gestire? E se avesse sintetizzato un nuovo tipo di veleno, sarebbe stato letale, per quell'uomo? Ah, quanto avrebbe voluto testare, provare, sperimentare su di lui! E quale, grande aiuto per la medicina e lo studio degli antidoti poteva essere, effettuare esperimenti su di lui...
Era da folli fare pensieri del genere, in un momento come questo, Kacchan se ne rendeva conto, ma ormai quell'uomo aveva completamente stravolto la sua psiche.... O forse no. Alla fin fine, cos'era davvero cambiato, in lui, da quell'incontro? Continuava a rimaner convinto sulla sua concezione della vita, del suo modo di fare ed agire. Forse, più semplicemente, aveva messo in mostra lati oscuri che non sapeva di avere, come l’esser tanto masochista e... bisessuale?
Gli scappò un profondo sospiro di sollievo quando Jikan lo disarmò definitivamente. Avrebbe dovuto provar dolore, dato che per poco non gli spezzava il polso, ma ormai era un fascio di nervi e muscoli talmente dolorante, che dolore in più, dolore in meno, non faceva più tanta differenza. Si strinse comunque il polso, quasi per riflesso, alzando lo sguardo su Jikan, il fiato corto.
«Sai, di solito le tipe ribelli mi piacciono, ma tu hai decisamente un seno piatto come un tagliere, per i miei gusti...» Stranamente, quella battuta lo ferì profondamente, quasi gli avessero infilato uno stiletto ghiacciato nel cuore. Jikan era etero. E allora perché cazzo gli aveva fatto venire tutti quei dannati dubbi sulla sua sessualità?!
Con una cura quasi maniacale, bestemmiò mentalmente tutto il pantheon completo della cultura orientale, nominando ogni singola divinità, una per una, assegnando a ciascuna un epiteto appropriato. Alcuni erano noti, altri talmente tanto fantasiosi e osceni che avrebbero fatto svenire su due piedi anche il più santo e pio degli uomini. Sul viso del giovane di Konoha, però, si palesò una smorfia dolorante, mentre si stringeva le mani al petto, assecondando la teatralità dell’evento.
«E dire che mi sono allenato tanto, per avere un petto così... Però, tutto sommato, meglio così. Preferisco le tipe che abbiano le bocce al posto giusto. E poi di vipera me ne basta una sola. Gestirne due? Per carità...» Cercò di sdrammatizzare, provando a comprendere cosa, di lì a poco, sarebbe successo. Lo sguardo vagò dapprima su Jikan, poi sui suoi pupazzi, rimasti immobili al loro posto, per tornare nuovamente sulla sua croce e delizia.
«Beh, è stato bello finché è durato no?»Davvero? Sarebbe finito tutto così?
«Davvero? Finisce tutto così?» Esclamò Kacchan, rialzandosi lentamente, una leggera nota di delusione nella voce, mentre esternava quei suoi pensieri. Era quindi finito il suo gioco? Perché? Perché se ne era venuto a noia, o perché i ragazzi erano finalmente giunti nella torre insieme a Giman, decretando quindi la fine della sfida?
«Libero di andare, amico mio.» Enfatizza il giullare, indicandogli, con un plateale gesto della mano, la direzione presa dai suoi compagni.
Non può fare altro lo Yamanaka, se non andarsene, cercare di raggiungere i suoi compagni, nella speranza che stiano bene, sincerarsi delle condizioni del piccolo Giman, scusandosi con lui per averlo lasciato solo in quel modo... Eppure non si muove, non fa un passo, limitandosi solo ad alzarsi in piedi, stringendosi e massaggiandosi il polso, lo sguardo fisso sulla sua nemesi. Qualcosa, nel profondo del suo animo, vibrava incessantemente: quell'uomo non aveva ancora giocato tutte le sue carte. Ne era certo, le sorprese non erano finite, purtroppo. E solo allora mosse il primo passo, seguito da un altro, e un altro ancora. Passi incerti e barcollanti, lo sguardo ad osservare malfidente i giullari che, di risposta, rimasero stoici nella loro posizione, immobili come statue, il sorriso macabro dipinto sui volti, quasi aspettassero che il giovane voltasse loro le spalle per poterlo attaccare tutti insieme, pugnalandolo una, due, tre, infinite volte....
«Ah, Kacchan…. Il mio consiglio è ancora valido.» Il giovane si ferma, trafitto dallo sguardo del giullare, ma non si volta nella sua direzione, non intende dargli quell'ultima soddisfazione. Con lui ha giocato anche a sufficienza.
«Non ti affezionare troppo.» Non si volta Kacchan, non ha intenzione di ricambiare il suo sguardo, ne, tanto meno, il gesto di saluto che fa con la mano. Infila una mano nella tasca, tirando fuori una delle sue sigarette. Il tempo di accenderla, sbuffare il primo tiro di fumo.
«Allora addio, Jikan.» E col fumo speziato di caffè tostato e cioccolato, la figura del biondo Yamanaka si allontanò, lasciando da solo Jikan con i suoi pupazzi.
[...]
Percepì l’arrivo di Akira prima ancora di vederlo, così accelerò ulteriormente il passo, correndo più veloce gli fosse possibile, implorando il suo fisico dolorante e abbrustolito di compiere quell'ultimo sforzo.
«Akira! Cos’è successo? Perché sei tornato indietro?» Gli domandò non appena la figura dell’alto giunco di Kumo gli si parò d’innanzi, allargando le braccia giusto in tempo per riuscire a prenderlo, prima che cadesse ai suoi piedi, stremato. Nel vederlo andare a terra in quel modo, Kacchan cercò di sorreggerlo come meglio poté, allarmato, temendo che Jikan gli avesse fatto l’ennesimo brutto scherzo, ma di lui non percepiva traccia intorno a se.
«Akira! Akira mi senti? Kami maledetti, proprio adesso dovevi svenirmi?» Imprecò, cercando di sorreggere come meglio poté il corpo esanime del ragazzo che, data la differenza di altezza, era abbastanza difficile da gestire. Grugnendo a denti stretti, Kacchan cercò quindi di farsi forza nel sopportare quel peso, caricandosi il corpo inerte in spalla, le mani strette sulla gamba e sul braccio destro di Akira, cercando di proseguire quanto più velocemente possibile.
«Esame Chunin di merda. Fanculo Jikan. Fanculo Akira. Fanculo Iwa e quella troia a cui è venuta sta cazzo di idea...» Un ultimo sforzo e poi, chissà, finalmente quella prova sarebbe finita.