| O-chan rimase sorpresa dalla richiesta del ragazzo e, esitante, si guardò intorno prima di rispondere, cosa che mise immediatamente sull’attenti il giovane Kacchan, che le si avvicinò preoccupato. Lei, però, lo invitò in un locale il cui accesso era vietato alla clientela, così avrebbero potuto discutere con maggior tranquillità e segretezza. «Ecco, vedi... Oggi non sei il primo che ha chiesto di questa pergamena... Poco più di un’ora fa è venuto un uomo che l’ha presa e....» Kacchan la interruppe subito, conscio del fatto che, probabilmente, sapeva già di chi si trattava, ma aveva bisogno di una conferma.
Cercando di mantenere la calma, le descrisse Momosuke e lei, effettivamente, confermò che si trattava proprio del vecchio e che, con sorpresa del ragazzo, l’uomo si trovava ancora lì, con l’intenzione di rifocillarsi ed usufruire dei servizi della loro struttura. Grattandosi le cosce, più come tick nervoso che come vero e proprio palliativo per un qualche prudito, Kacchan chiese alla donna dove si trovasse e lei, titubante, lo accompagnò fino alla porta di un bagno privato. «Grazie mille Ori-chan. Da qui in poi ci penso io.» Le fece con fare rassicuratorio, ma il furore che si vedeva nel suo sguardo tradivano nettamente il suo reale stato d’animo, cosa che fece correr via la donna, più che altro per evitare che altri potessero intromettersi in quella faccenda.
Sospiro profondo e Kacchan aprì la porta, senza bussare, ritrovandosi davanti a quel vecchio merdoso in compagnia di due signore di una certa età, probabilmente le aveva rimorchiate arrivato lì. L’uomo, nel vederlo entrare, non si scompose minimamente, anzi, sembrò addirittura non riconoscerlo, concedendogli soltanto un cenno di saluto distaccato, per poi concentrarsi sulle signore che lo accompagnavano.
«Schifoso merdoso vecchio di merda....» Sibilò a denti stretti Kacchan, serrando i pugni, il nervosismo manifesto per via di impercettibili schiocchi elettrici, quasi fosse carico di energia elettrostatica. Momosuke, nel sentirsi nominare in quel modo, lo guardò storto, senza però staccarsi dalle galline vecchie. «Ehi ragazzino, non so chi tu sia, ma ti conviene moderare il linguaggio, specie davanti a queste due signorine...» E, nel sentirsi complimentare in quel modo, le vecchie ciabatte ridacchiarono pure, facendo ulteriormente imbestialire il ragazzo. Quindi la sbornia gli aveva pure candeggiato il cervello?
Puntò il dito indice contro di lui, iracondo, emettendo altre scintille elttriche nell’aria umida del bagno. «Cazzone che non sei altro. Non solo mi mandano a fare il lavoro che TU non sei stato in grado di fare, perché ti sei divertito a perder tempo a giocare a carte e ubriacarti, ma mi tocca pure risolvere i tuoi cazzo di casini! Sai quanto tempo mi hai fatto perdere, ubriacone di sto cazzo? » Vedendolo accigliarsi, Kacchan potè intuire che, forse, un minimo di memoria gli stava ritornando, e inoltre stava mettendo in ulteriore agitazione quelle vecchie oche, per cui Kacchan optò per rovinargli ogni futuro divertimento.
«Sei spregevole, lo sai vero? Svendere la tua amata Lucinda a carte.... E Kassandra? Dimmi, lei dove l’hai lasciata? Cos’è, hai venduto anche quel tuo grande amore?» Come previsto, quei nomi femminili, privati del loro contesto, provocarono lo sconcerto delle due donne, che supposero si trattassero di donne con cui l’uomo aveva avuto a che fare. Sdegnate, si coprirono con degli asciugamani e se ne andarono via, lasciando a bocca asciutta Momosuke, che invano cercava di giustificarsi. Ma quali giustificazioni poteva mai trovare, per aver venduto le sue amate?
Furente, scrutò Kacchan con odio, pronto a saltargli alla gola per avergli rovinato quel momento di sollazzo e fu allora che scoppiò l’ennesima rissa di quella giornata: calci, pugni, schiaffi e mordi si avvicendavano da ambo le parti, ma Kacchan era giovane e nel pieno delle forze, a differenza dell’uomo che, nonostante la grande esperienza che poteva avere, non poteva fare granché, dato il suo stato di salute messo a dura prova dai postumi della sbornia e della rissa con i suoi compagni di bevute. Così, dopo qualche scarica elettrica e dei colpi menati con il gunbai dello stesso Momosuke, Kacchan spedì il vecchio gambe all’aria, facendogli fare un bel tuffo carpiato all’indietro nella vasca.
«Fanculo…. Te… e il tuo cazzo di capo.» Sentenziò, sputando un grumo di sangue e leccandosi il labbro spaccato, mentre iniziava a frugare nella cesta in cui erano riposti i suoi effetti personali, ed eccola, finalmente, quella cazzo di pergamena. Non gli restava altro da fare che riportarla dal signor Arata, però.... Chissà, magari poteva dare una sbirciatina al suo contenuto? Giusto per incazzarsi ulteriormente, nel caso si fosse trattata di qualche stronzata.
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