| Non risponde, o meglio, una replica c'è, ma non una che si adatta davvero alla domanda. Non credo che non abbia capito cosa intendessi, no, ha scelto di non rispondere. Probabilmente lo avrei fatto anche io al suo posto, dopotutto sono una sconosciuta. Però forse questo girare intorno alla domanda costituisce esso stesso una risposta, e non quella in cui speravo. Quando stai bene non ti fai problemi a dirlo, è la sofferenza che uno sente privata. La mia espressione si vela di tristezza. Mi dispiace davvero, perché questa Urako sembra una brava persona, e saperla felice mi avrebbe sollevata. Non c'è nulla che io possa fare, lo so, però che peccato. Sarebbe stato bello incontrare qualcuno di davvero felice, anche solo per vedere che è possibile, qualcuno verso cui guardare e dire: "Voglio essere proprio così". Forse un po' mi sono anche affezionata, così, tra la soba e il tè, a una dottoressa che non avevo mai visto prima, forse non avrei dovuto, ma ormai è andata. "Si va sempre avanti, quindi, su una strada che non sai davvero dove ti porterà. Chissà come andrà a finire, sarebbe bello potersi un giorno guardare indietro con soddisfazione e un po' di rimpianto, vorrebbe dire essere stati felici." Le dico mentre seguo attentamente i movimenti delle sue mani, se non faccio niente pagherà lei per entrambe, ma non è assolutamente appropriato. "Non sono convinta che sia il caso di farmi offrire il pranzo. Sono davvero grata per essere stata invitata, e soprattutto per tutto quello che mi hai detto. Proprio per questo però ancora di più se tu pagassi per me mi sentirei terribilmente in colpa." La mia voce arriva nel mezzo della sua ricerca nel borsello. Non è una risposta che non ammette repliche, ma è sincera, e sono fiduciosa di riuscire a convincerla anche nel caso volesse insistere. Davvero, è stata così gentile, è un superiore che ha voluto mangiare con me, non può pagarmi pure il pranzo. Che figura ci farei con lei e con me stessa? Se fossi sola scuoterei la testa, sarebbe una figuraccia terribile e non deve accadere. Questo è il momento, quando la mia mano si porta al lato della sedia per cercare quello che logicamente dovrebbe essere lì, questo è il momento, dicevo, in cui realizzo di non avere con me il bastone. Devo averlo lasciato nel corridoio dell'ospedale quando mi ha chiesto aiuto con i tre feriti e l'avrò lasciato lì. Cerco di non scompormi, non voglio che questo mi distragga dal problema del conto, ma immagino che poi dovrò tornare lì. Credo che una volta usciti da qui chiederò a Urako, anche perché non so se per oggi ha finito o deve andare di nuovo in ospedale anche lei.
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