Hell is empty as one can be, Paese delle Terme, Quest Rashomon per Wrigel

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view post Posted on 19/12/2017, 16:02     +1   -1
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« (...) egli subito osserva quell'aspro e pauroso e desolato luogo,
quella prigione orribile e attorno fiammeggiante,
come una grande fornace, e tuttavia da quelle
fiamme nessuna luce, ma un buio trasparente, una tenebra
nella quale si scorgono visioni di sventura,
regioni di dolore e ombre d'angoscia, e il riposo e la pace
non si troveranno, né mai quella speranza che ogni cosa
solitamente penetra; e solo una tortura senza fine
urge perenne, e un diluvio di fiamme nutrito
di zolfo sempre ardente, mai consunto (...) »
(John Milton, "Paradiso Perduto", libro I, vv. 59-69)




Una discesa vista dal basso somiglia tanto ad una salita.
Scendeva eppure saliva. Punti di vista diversi, sensazioni simili: quella era una discesa che al contempo diveniva una salita.
In quel buio, con quel caldo che aumentava Shintou si concentrò solo su se stesso. Ma, vuoi per la tensione, vuoi per la sua naturale propensione al pensiero, Shintou e la sua mente viaggiarono. Intrisa di conoscenza, di libri, di sutra, di studi ecco che, per uno studioso e storico come l’Agiwara, quello fu un momento dove riflettere su leggende, assiomi e simbolismi – comuni in quasi tutte le religioni – e cercare un sottile appiglio per non sprofondare.
Perché in fondo quella discesa, così difficile anche restando ben ancorati ai gradini, era la metafora di come vivi e morti, e i loro regni rispettivi, dovessero essere a se stanti. Cosa che questa, per Yamamoto, non valeva.
E qui si potevano fare mille congetture sui perché. Tutti assolutamente fallaci e tutti inutili. Non era importante rispondere sui perché Yama scendesse spedito e Shintou arrancasse.
Più importante ricordare qualche concetto e qualche libro. Anche solo per tenere la mente occupata e serena.
Inferno…il posto dei morti. Delle ombre. Il regno di sotto.
Col tempo luogo dove, in alcune religioni, si espiavano i peccati e la pena eterna. Casa delle potenze infernali. Di quelli dell’altra parte.
Tuttavia, le divinità malvagie erano viste nei culti antichi in modo duplice: come potenti e terribili, ma in certa misura come positive, in quanto la loro potenza era invincibile se si fosse riusciti ad ingraziarsele; dunque erano anche venerabili e potenzialmente propizie. D'altro canto, queste divinità erano distruttive e demoniache perché il loro operato era imprevedibile e caotico, la loro intelligenza insondabile e sottile, e la loro sensibilità difficile a gestirsi, poiché era facilissimo offenderle e scatenare la loro vendetta.
E il gran visir di tutti i bastardi ne faceva parte con tutti i crismi del caso.
Ma anche se aveva a che fare con Jashin, questo non lo poneva su di uno scranno migliore. Solo che partiva con qualche conoscenza in più.
Scarna, certo, ma se la sarebbe fatta bastare.
E qui l’assioma con il suo antichakra venne spontanea. L’origine delle cose…il nulla. Il gorgo primordiale.
Il tutto nacque da lì ma con raziocinio. Senso. Un significante con significato.
Da chi? La religione diceva da un Dio buono. Il male, invece, era una creatura superiore all'uomo che si era pervertita.
E in questo il suo antichakra corrispondeva alla spiegazione e ai bassorilievi che, purtroppo, non ebbe la possibilità di studiare a fondo, in quella città sotterranea ad Oto.
Significante, il suo antichakra, con il significato, chakra. L’origine delle cose.
Le due facce di una stessa medaglia. Le fondamenta della realtà, dell’universo, del cosmo.
Cioè dell’Ordine. Che in quest’ordine gli Dei si generano e lo governano, preservando l’equilibrio, o cercando di contenere, nei limiti di quest’ordine, il male.
Da qui il passo tra la scissione bene e male è netta. E le religioni iniziano ad evolversi su questa scia.
Ma soprattutto dell’ordine che vince il caos. Caos come Male, Bene come Ordine. E gli Dei, che si generano dal nulla, come primi esseri possedenti Io e significato, equilibrano le forze dando la vita.
Il Triangolo e il Cerchio dello jashinismo, e Jashin stesso addirittura corrispondevano a tale descrizione.
Infatti non sempre le potenze infernali erano univoche. Ma duplici. Così come il regno di sotto.
Non malvagie nel senso stretto…e a volte l’inferno non era una condizione metafisica ma condizione dell’anima.
E in quest’ottica normale che fosse affascinante perché più vicino all’uomo di quanto non fosse il regno dei cieli.
Condizione a cui si aspirava. Vincere la propria imperfezione divenendo perfezione. Rompere le catene della mortalità, arrivando a sublimarsi.
Ma sempre da sotto si partiva…passando per i cicli del samsara fino ad espiarsi completamente, per giungere alla perfezione e divenire un immortale.
Ogni religione a suo modo ne parlava, spiegandone i concetti, ma restava la base identica.
E questo fascino, questa dicotomia, erano di sicuro più affascinanti, mutevoli e tentatori che la perfezione nella sua stasi eterna.
La voce di Yama lo scosse dai suoi pensieri.
Finalmente.

«Cos’è l’Epiguro? »

Domanda lecita. Risposta del nano?
Da stronzo.

«è quello, duh. »

E quello era il fondo. Ma poteva dirsi il fondo? Ma in ogni caso vibrava. Una parete traslucida che non sembrava saldata alle altre, come se fosse appoggiata solo.
Come se sotto vi fosse qualcosa?

«Cosa significa che l’Inferno cambia? Perché lo fa? »

L’alzata di un sopracciglio e si indicò.

«Ti sembro l’Inferno? Chiedilo ai diretti interessati, no? »

Non era per nulla d’aiuto. Pessima guida in un momento dove avere qualche risposta sarebbe servita come il pane.
Perché in quella penombra. Lo invitò, con il capo, solamente ad andare avanti.
Una presentazione? Lo dovevano tastare? Testare sicuro…ma capire, noiosamente, chi fosse di fronte a loro, forse.
I suoi sensi erano all’opera…zolfo dappertutto. Nessun suono.
Ma…

«Ah! »


Si mise una mano sulla testa. Gli faceva male.
Gli fece male.
Un’ondata estremamente potente d’energia. Emicrania fortissima. Non dissimulò il dolore.
Oltre quella parete vi era un’energia che mai aveva sentito prima d’ora. Enorme e potente, che quasi gli fece perdere il controllo del chakra e la presa su quella scala, ormai del tutto in verticale.
Quasi.
Il solo pensiero a chi o cosa appartenesse quell’energia lo fece desistere. Non per paura ma per timore.
Nulla di quello che aveva studiato era paragonabile alla realtà dei fatti.
Le leggende nulla.
Era ancora in tempo ad andarsene…se fosse stato un vigliacco e non avesse saputo perché fosse lì. I motivi di quella discesa nel buio più totale, fino all’essenza primigenia di quell’infinitesimale potere che portava nel suo cuore.
Shintou Agiwara avrebbe attraversato l’Inferno. Da Triangolo.
Titubò all’inizio, perché quel potere incredibile sovvertiva il suo giudizio e il suo pensiero. Ma non la volontà e l’orgoglio.
Non la caparbietà. Non la voglia di dimostrarsi degno e di afferare del tutto la propria vita e averne il controllo. E insieme a questa, domare quel potere oscuro che batteva nel suo petto e che ora era nel suo posto originario.
Averne paura? Si.
Esserne preda? No.
Controllarlo e uscire a riveder le stelle. Ricordarsi i profumi e Shitsuki. Chigawa e i suoi amici.
Molti contavano su di lui. La sua storia non era ancora stata finita di scrivere.
Non sarebbe finita nel buio.
Avanzò.

 
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view post Posted on 20/12/2017, 09:56     +1   -1
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Shintou stava elaborando così tante informazioni nella sua testa che pareva quasi che i fumi sulfurici stessero uscendo dalle sue orecchie. Tutto però si interruppe quando si trovò di fronte all'Epiguro, con Yamamoto a breve distanza, e dovette decidere come approcciarsi a quella barriera di un tipo che non aveva mai incontrato.
Semplicemente, decise di toccarla.

«E se poi te ne penti?» sogghignò Yamamoto nell'istante prima che la mano del ronin toccasse la superficie, ma ormai era tardi per ritrarsi.
L'Epiguro vibrò più forte, e si abbassò di colpo inclinandosi sul piano orizzontale come se avesse un perno al centro. Subito però si richiuse, e contemporaneamente la parete su cui Shintou posava i piedi si proiettò in avanti, rapida e inoppugnabile.

«Ohohoh, tienti forte ragazzo, qui si balla!»

Successe tutto drammaticamente in fretta.
Shintou perse la presa sotto i piedi e volò in avanti, cadendo contro l'Epiguro... Su cui rimbalzò. La parete era elastica, e lo fece volare in alto di diversi metri, fino a circa la metà della discesa che aveva appena percorso.
Attorno ai due nukenin le pareti si stavano chiudendo su loro stesse, tremando e contorcendosi come preda di violenti terremoti e sconquassamenti interni che però non causavano crepa alcuna.
Ricadde, e questa volta l'Epiguro si spalancò. Un fiato caldo investì il ragazzo, un fiato che sapeva di malattia e stantio, di cose vecchie che dovevano morire da tempo.

«Shintou!»

A qualche metro di distanza Yamamoto sedeva in aria a gambe incrociate e braccia conserte. Stava cadendo a sua volta, ma aveva deciso di farlo con dignità e compostezza.

«Se ci separiamo...» il vento e la caduta oscuravano in parte le sue parole, rendendole scarsamente riconoscibili. «Scendi... Centro... Se vedi un lago... Indietro!»

Superarono l'Epiguro a tutta velocità, e questo si richiuse sopra di loro, serrando l'uscita e celando le stelle.
Precipitando verso il basso, Shintou notò che il pozzo si restringeva notevolmente, per poi dividersi in due sezioni, una più in alto e una più in basso, la più classica delle biforcazioni dei tunnel. Il problema era che stava precipitando e che in meno di trenta secondi avrebbe dovuto scegliere quale prendere.

FjMV8Ki


 
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view post Posted on 20/12/2017, 14:42     +1   -1
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Pensare.
Faceva parte dell’essenza di Shintou. Pensare per dirsi che era ancora lui. Per avere un appiglio, razionale, lì dove nulla vi era che l’uomo potesse comprendere. Un secchio non poteva contenere l’acqua dell’oceano, così Shintou non poteva capire fino in fondo dove fosse.
Aggrapparsi alla sua mente era un modo per salvarsi da quel gorgo oscuro, senza fondo, che tra poco lo avrebbe risucchiato.
Tenere dentro di sé i ricordi e i perché, ma anche le voglie e le contraddizioni e non lasciarsi sopraffare da quella che era davvero la sua più grande sfida.
Ma…non poteva nemmeno dimenticare il sangue e gli avversari sconfitti per arrivare fino a questo punto.
E nell’attesa di un quid la sua mente divagava, per restare ancorato a se stesso, e non nella disperazione. Di un qualcosa di più grande e forse che non poteva vincere. L’attesa…maledetta attesa che rende tutto più difficile, che contrae il tempo e lo spazio facendo affiorare i dubbi.
Ma in fondo anche questa era una battaglia. L’ennessima. Ma diversa perché diverso non era il terreno di scontro, ma le forze in campo. Ma rimaneva un minimo comun denominatore.
La volontà.
Perché una battaglia è anche volontà, ma aveva sempre combattuto contro uomini. Questa era una battaglia contro i Kami.
E non si credeva onnipotente contro gli uomini, figurarsi contro i kami e nell’inferno.
Ed era questa attesa costante che lo snervava perché il respiro prima del balzo è quello più intenso, ma anche il più difficile da fare.
E quindi quando toccò la superficie, quando tutto divenne come in una giostra, quando lui fu sballottato come una piuma in una tempesta, in parte ci fu come un grazie.
Perché?
Pensare troppo fa male. Soprattutto in momenti come l’attesa.
Bisognava solo concentrarsi sull’attimo. Ma l’attesa restava ed era tremenda nella sua essenza.
Nell’immobilità il tempo pareva non scorrere e stare sul ciglio dell’abisso era una cosa tremenda. Perché non si faceva nessuna azione.
E quindi quando tutto venne capovolto, inaspettatamente, Shintou parve sorridere. Come libero da quei legacci e finalmente che i momenti dei pensieri finivano e lasciavano il passo all’azione e ai perché dietro le domande e i dubbi.
Dai contorni sfocati, dalle nebbie, si passava al certo.

Tutto successe troppo in fretta: la parete che si proiettava in avanti, la presa sulla stessa che perse, cadde contro l’Epiguro sui cui rimbalzò letteralmente.
La spinta lo fece risalire per lo stesso percorso che aveva fatto, per poi ridiscendere con maggiore velocità.
Un ciocco di legno sembrava.
Le pareti tremarono, come scosse da qualcosa, e si richiusero sui due nukenin, mentre caddero di nuovo verso l’Epiguro che questa volta si aprì.
Aveva messo le braccia a proteggersi il volto però non servì e cadde.
Un fiato caldo ghermì la sua faccia. Sapeva di stantio, di morte e di putrefazione. Di cose vecchie che dovevano morire.
Cadde ancora.
Con la coda dell’occhio vide Yamamoto che invece, ma come diamine faceva?, starsene seduto a mezz’aria come a cadere con dignità assolute e non come un ciocco di legno in un ciclone, come stava facendo Shintou.
Le parole di Yama, perché gli stava parlando?, non erano chiare, perché il vento faceva letteralmente da muro.
Quindi arrivarono sconnesse e non chiare.
Mentre guardava Yama, vide l’Epiguro chiudersi sopra di loro. Sembrava quasi di essere entrati nello stomaco di un mostro. Ebbe questa sensazione che gli afferrò lo stomaco.
O fu solo il fatto che girava su se stesso, a mò di trottola, come un burattino lasciato senza fili.
Cercò di mettersi dritto, per fendere l’aria, e non cadere vorticando su se stesso come un idiota qualunque.
Sforzò la parete addominale, si rigirò a mezz’aria, e finalmente fu dritto. Le braccia davanti a sé a coprirsi dal vento che graffiava il viso, mentre i suoi occhi fendevano quell’oscurità.
Notò come le pareti si stavano restringendo notevolmente andando a finire in una biforcazione.
No!
Una scelta così, no. E Yama se ne stava tranquillo.
Dove doveva andare?
Sopra? Sotto?
Una scelta.
Urlò. Un grido lungo e acuto.

«Andiamo verso il basso Yamamoto! »

E cercò di dirigersi verso quel punto.
Perché? Le parole di Yamamoto. Scendi.
Così aveva udito. E all’Inferno non si doveva scendere?
Sempre più in basso? Sempre di più?

 
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view post Posted on 21/12/2017, 00:59     +1   -1
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E quindi Shintou puntò al basso. Yamamoto non lo sentì, o meglio, non diede segno di aver sentito. Si stava concentrando, ecco il perché di quella posizione: dalle sue mani congiunte si sprigionò un alone di chakra, che lo avvolse formando una sorta di cuscino sotto le sue gambe incrociate.
Shintou continuò a cadere, Yamamoto rallentò la sua discesa e quando il ronin superò il bivio scomparve rapidamente alla sua vista.
Se avesse preso anche lui la stessa strada solo il tempo lo avrebbe detto.

Scendere, scendere e scendere ancora. Cominciava ad essere noioso, il paesaggio monotono e ripetitivo. Un'eterna galleria senza alcuna fonte di luce, ma dove l'illuminazione era comunque garantita. Sembrava che le pareti fossero intrise di luce propria, come una fluorescenza naturale di colore bruno-rossastro.

Il tunnel si restrinse ancora, e Shintou si ritrovò naturalmente a scivolare lungo una sorta di scivolo umido, coperto della stessa sostanza vischiosa che aveva incontrato all'inizio. Anche questa volta la sensazione di fastidio pungente si fece sentire, e la scivolata finì per intaccargli gli abiti, logorandoli in maniera superficiale ma visibile.

Poi, finalmente, si fermò.

Aveva raggiunto un ampio spiazzo dove poteva finalmente mettere i piedi a terra. Si trattava di una caverna ampia, alta circa quaranta metri, con un soffitto a cupola da cui pendevano stalattiti nere. Pochi metri più avanti, il terreno diradava dolcemente mostrando un lago di colore giallo ocra, bollente e pesantemente maleodorante.

Non era solo. Il tempo di pochi passi, e dalle pareti della caverna e dalle stalattiti comparve, come fuoriuscendo dalla roccia stessa, una miriade di creature multiarto, scheletriche in apparenza, dall'aspetto corazzato come quello di certi insetti.



Il ticchettio delle loro zampe era un concerto, ma non di benvenuto. Le creature iniziarono ad avanzare, a decine, calandosi dal soffitto e spuntando dalla terra stessa.
In pochi istanti Shintou ne fu circondato.

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view post Posted on 21/12/2017, 16:09     +1   -1
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« Un abisso chiama un altro abisso,
al fragore delle tue cascate,
tutti i tuoi flutti e le tue onde sono passati sopra di me.

Di giorno l’Eterno mi largisce la sua benignità,
e di notte innalzo a lui un cantico,
una preghiera al Dio della mia vita. »



Scese.
Come discesa nelle regioni dell’irrazionale, dell’onirico, del patologico.
L’Inferno…oscuro budello di viscere, dove il nostro scendeva nella solitudine che accompagnava l’inferno personale in ognuno di noi.
La luce filtrava dalle pareti stesse in quella discesa monotona ed eterna sempre uguale a se stessa. Come le anime dei dannati che dovevano scontare i loro peccati in terno, nella stessa identica maniera in un ciclo infinito, fino a quando l’universo stesso non fosse esploso e la vita rinata, il samurai scendeva e scendeva ancora.
Solo, come ogni guerriero lo è nella battaglia, ma con gli occhi vivi di chi non fa parte di quel mondo e di quel mondo ne avrebbe tratto forza per sconfiggerlo.
E in quella discesa vi fu l’orrore, consapevole, che l’Inferno ora lo accoglieva. Che l’Abisso era in lui, come Shintou era nell’Abisso.
Eterno, ed eternamente viva, la sua tragica minaccia.
Dianzi a me non fur cose create
se non eterne, e io eterna duro.

E in quel budello la tragica violenza e coscienza che ormai non poteva tornare indietro fu manifesta ma non per questo ebbe paura.
Scese come freccia e la speranza nel suo cuore non fu doma né spenta. Ne fu, anzi, accresciuta.
In quel torbido budello, nelle viscere dell’Orrore Eterno, Shintou fece una promessa a se stesso.
Una promessa che fondava le sue basi, le sue radici, nella stessa anima del ronin. Un anima che era lì anzitempo e che non era gradita di certo.
Forse bramata ma non di certo sarebbe stata ghermita.
Non sarebbe scomparsa nel Buio. Fu questa la promessa.


Il tunnel si restrinse e si ritrovò naturalmente a scivolare lungo una sorta di scivolo umido, coperto della stessa sostanza vischiosa che aveva incontrato all'inizio.
Sostanza che intaccò i suoi abiti, logorandogli e la sensazione di fastidio pungente si impadronì delle sue membra.
Chissà cos’era quella sensazione.
Forse acido? Poteva studiarla…ma di certo non aveva il tempo né glielo avrebbero concesso, né la sua mente si soffermò così a lungo.
Aveva altro da fare. Era lì per uno scopo ben preciso. Di scientifico o filosofico non aveva nulla.
E finalmente i suoi piedi toccarono terra.
Un luogo ameno e sconosciuto si aprì dinanzi ai suoi occhi, mentre cercava di rimettersi in piedi.
I suoi occhi danzarono nello spazio per capire dove fosse finito. Una caverna, ampia, si aprì davanti ai suoi occhi rubino, dal soffitto a cupola pendevano stalattiti nere.
Al centro un lago, color giallo ocra, fumante e bollente e schifosamente maleodorante.
Sembrava che tutto fosse l’opposto di quello che sulla Terra era considerato bello.
E quindi? Ora?
Dove doveva andare? Yamamoto non sembrava averlo seguito e sinceramente nemmeno aveva visto quale strada stesse prendendo il nano.
Era solo. All’Inferno.
L’unica sua guida era scomparsa e la sensazione di estraneità fu terribile.
Ora era davvero solo. Ma, e questa fu più un credo che non una certezza, pensava che già sapessero che qualcuno di non voluto, qualche estraneo, un vivo, fosse nel loro regno.
Quindi si prese un momento per se. Tornare indietro era impossibile: quella sostanza era corrosiva ai massima ed era meglio starle alla larga.
Tutto era morte. E non credeva che l’Epiguro, anche se fosse riuscito a tornare su, si riaprisse così semplicemente. Poteva solo continuare ad andare dritto.
Direzione? Una qualunque bastava. Non aveva né appigli, né guide, né un’idea su dove esattamente e in che parte dell’Inferno fosse. Quindi un piede davanti all’altro gli parve, al momento, una buona idea.
Il lago fu davanti a lui…lago…lago?
Yama aveva detto qualcosa a proposito di un lago.
«Scendi... Centro... Se vedi un lago... Indietro!» ma a cosa si riferiva esattamente?
Le parole gli arrivarono confuse e sconnesse, difficile capire l’integrità della frase e dell’avvertimento, se mai lo fosse stato, di Yamamoto.
Quindi a quale lago si riferiva? A questo?
Si grattò la nuca…perdeva tempo. O per meglio dire, si stava chiudendo in pensieri che poco avrebbero giovato.
Un piede davanti all’altro, un passo alla volta, avanzare.
E questo avrebbe fatto.


NNNRfXW





Rumore.
Intorno a lui. Catturò I suoi sensi. Dalle pareti della caverna, dalle stalattiti, l’orrore nacque. Prese vita e si formò davanti a lui.
Rumore schifoso. Infernale.
Paura e orrore che prendevano corpo in ammassi scheletrici, con innumerevoli zampe, che ticchettavano sulle pareti in un lugubre concerto.
Sembravano insetti…sembravano perché lui li associò a simil insetti. Ma d’insetto non avevano nulla.
Creature che abitavano quei luoghi, che si cibavano di anime e che sembravano come vomito liquido sulle pareti.
Scendevano ed erano innumerevoli. Una legione senza fine.
E non erano lì per dargli il benvenuto.
L’Inferno, finalmente, gli stava dando a suo modo il benvenuto.
Un benvenuto fatto di zampe, orrore, paura, e Buio. Fu presto circondato dalla masnada nera, con quelle zampe lugubri che ticchettavano sul terreno, vogliose e maledette.
Furono intorno a lui. Occhi che lo guardavano. Su crani deformi, sopra un corpo schifoso.
E così fu tempo.
Basta pensieri.
Si sarebbe fatto largo con il ferro, il sangue e la volontà. La luce spuria dell’irezumi e delle sue cicatrici brillò nefasta, mentre Higanbana nacque dalle profondità del suo chakra e della sua anima, che si tramutò in acciaio.
Tre lame enormi, screziate di rosso morsero la terra mentre gli occhi rubino sfidarono la masnada nera.
Un movimento pesante, mentre Higanbana ronzò nefasta, partecipando al lugubre concerto dell’orchestra tenebrosa.
Le sue lame svettarono al cielo, mentre l’asta venne appoggiata sulla spalla destra.
Tremò il braccio di Shintou, mentre stringeva la sua sorella d’acciaio.
Divaricò le gambe e gli occhi danzarono su quei volti uguali e maledetti.

«Chiedervi di condurmi da chi comanda, sarebbe troppo?»

La sua voce fu un sussurro. Tagliente come la sua falce, affilata come il filo di Ryujin jakka.
Il chakra, a mò di fiume in piena, si liberò e fluì nella sua falce mentre petali di giglio e di giglio del ragno rosso, fluirono in quell’aria nefasta.
Et in arcadia ego.
Anche nella morte vi può essere la speranza. Anche all’Inferno l’Arcadia.
Non avrebbero annullato la luce della volontà di Shintou, che avrebbe tagliato qualunque cosa, pur di arrivare ad avere il controllo del suo potere.
La sua volontà più forte dell’Inferno. Il suo Io più luminoso del Buio che tentava di ostacolarlo.





CgBMad0
« E SIA…»






La falce morse l’aria con uno stridio infernale, mentre le cicatrici pulsarono violentemente.
Lo zankusen avrebbe tagliato ogni cosa. Ogni nemico che si sarebbe frapposto fra lui e il compimento del suo destino.
E Shintou balzò tra di loro e lo zankusen, luce spuria e azzurrognola screziata di rosso, avrebbe impattato sull’orrore.
Lo Shinmei Ryuu avrebbe brillato anche all’Inferno.




CITAZIONE
Attivazione Personale- Hyakuretsu Ōkazan[chk 200][+120 alla difesa con armi/+ 120 all’attacco con armi]
Letteralmente, "Colpo Dei Cento Petali Di Ciliegio", tecnica del genere ougi, ovvero "Significato Profondo".
Unione del kaan con il suono nuovo chakra acquisito ad Oto. Ma soprattutto diretta manifestazione del suo nuovo essere e della sua nuova condizione di Immortale. I precetti dello Shinmei rimangono nella sua anima, ma vengono ampliati dalla sua nuova condizione, dal suo corpo finalmente libero dalla malattia, dalle sue cicatrici che corrono sul suo corpo illuminandosi di un blu elettrico, e da quel nuovo chakra che lo rende ancora più forte ora che è finalmente libero.
Se il kaan era un mantra buddista di meditazione, per sbloccare le proprie capacità nascoste sia fisiche che spirituali riuscendo a rendere manifesta la sua forte volontà in un simulacro, in un oggetto qualsiasi che faceva da tramite per la forza interiore, il Ki, del maestro e poter diventare capace di oltrepassare i propri limiti ed arrivare alla quintessenza della propria tecnica, questo colpo è il passo successivo.
Tutto questo viene superato, portato ad un tale livello superiore, perfetta unione, dopo sacrifici, morte e inferni passati, all’unione tra la sua vecchia via e la nuova.
La spettacolare esecuzione dello Hyakuretsu Ōkazan ha inizio con un singolo fendente di spada, che genera nel terreno, a non più di pochi metri di distanza dall'utilizzatore, una circonferenza del diametro di tre metri. Istantaneamente l'area all'interno della zona così circoscritta viene investita dal ki dello Shinmei, e sembra irradiarsi in una colonna di luce che subito si compatta in una tempesta di quelli che sembrano alla vista piccoli petali di giglio e giglio del ragno rosso. Alla comparsa dei petali di luce, la vittima sembra investita da una fitta pioggia di lame. In realtà, l'esecuzione effettiva è ben diversa da ciò che traspare dall'esterno: il fendente di spada di apertura irradia ki nell'area prescelta, ma ad esso seguono dai due agli otto brevi movimenti di spada, tanto più brevi quanto sono numerosi. Questi colpi si imprimono nel ki, che li riproduce sotto forma di lame di energia che vanno a colpire l'avversario come se fossero eseguite direttamente da sotto suoi piedi. I "petali di ciliegio" che sembrano danzare nell'area circolare dello Hyakuretsu Ōkazan sono condensazioni di energia, che seguono ogni movimento delle armi di Shintou, potenziando così i suoi attacchi con armi ma anche le sue difese con le stesse.
Saranno tanto più numerosi quanto meno è perfetto il controllo del ki da parte dello Shinmei. Si dice che i grandi maestri Shinmei riescano a generare una colonna di luce talmente intensa da bruciare gli occhi, nella quale danza come trasportato dal vento un singolo petalo di ciliegio, un livello al quale Shintou tutt'oggi aspira con risultati incoraggianti ma ancora ben distanti dalla perfezione.
~ Zankūsen Kai: Anche le armi di Shintou risentono del nuovo chakra. Di fatti il metallo vibrerà delle medesime pulsazioni del possessore. Si concretizzarà sotto forma di lama energetica in un raggio d'azione piuttosto ampio, come se fosse un prolungamento della spada, e seguirà fedelmente il movimento della nodachi. Le sue armi e l’attaccamento con esse è indissolubile, così intenso dall'impedire a chiunque di scindere il rapporto fra coloro che adesso sono definibili compagni di ventura. Shinta riesce a controllare e a modellare il suo chakra, o Ki, sulla lama della sua spada per sprigionare da essa una vera e propria bordata di energia. In termini da regolamento può decidere se i suoi attacchi ravvicinati con armi possano essere a lungo o vasto raggio con un costo in più di stamina pari a -7/-10. In più potrà decidere se infondere il proprio chakra elementare o quello sconosciuto di Oto.
Se userà il fuuton le ferite da taglio saranno aumentate di *1.1
Quello del Doton farà si che i suoi attacchi con armi prendano il malus Contundente sostituendolo al malus Taglio
Se userà quello sconosciuto di Oto i suoi attacchi con armi non potranno essere contrattaccati ma solo difesi.



//Attacco semplice a vasto raggio//
 
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view post Posted on 21/12/2017, 18:02     +1   -1
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Le creature lo circondavano, avanzando lentamente come a volerlo studiare. Si immobilizzarono per un istante, quantomeno le prime file, nel momento in cui l'antichakra brillò sotto la pelle del ragazzo, ma al vedere la falce e l'atteggiamento non si fecero più problemi.
E attaccarono.

La prima bordata venne spazzata via dal colpo di Shintou, che gli concesse qualche secondo di spazio per provare ad avanzare. Fatti tre metri in discesa, verso il lago, venne attaccato di nuovo.
Alle spalle, ai fianchi, davanti, sopra. Stava sfoltendo i numeri, a ogni colpo i corpi volavano, le teste e le zampe saltavano, ma quelle creature erano tante.
Il primo morso lo ricevette alla spalla, il secondo al polpaccio sinistro. Malgrado le creature fossero lunghe due metri e alte uno e mezzo, le loro bocche non erano così grandi da causare morsi profondi... Ma facevano male. La stessa sensazione acida che aveva sperimentato scendendo nel tunnel si ripresentava, più acuta e potente, probabilmente una sostanza che i loro denti secernevano.

Ancora, e ancora. Un metro alla volta, e ringraziare che le creature non sembravano intelligenti, né erano particolarmente resistenti. La loro forza era nel numero, e la stavano usando.

Unica consolazione, se così si poteva chiamare, era che non stavano più scendendo dalle stalattiti o uscendo dalle pareti. Non era una certezza (nulla vi è di certo all'Inferno) ma questo significava che più Shintou si avvicinava al lago meno l'esercito di esseri insettoidi riusciva a circondarlo da tutti i lati e ad attaccarlo con le stesse forze.

A circa cinque metri dalle rive della sterminata distesa ocra, gli attacchi si diradarono fino a fermarsi del tutto. Shintou aveva i vestiti a brandelli e la carne pizzicava dolorosamente su cosce, polpaccio, spalla e fianco.
Il resto delle bestie si teneva a distanza di un metro o due, rivolgendo nella sua direzione le bocche zannute, senza però avanzare oltre. Ne erano rimaste poche decine, ma le loro zampe continuavano a evocare quel ticchettio sinistro picchiettando sulla terra rossa e calda.

Piccolo particolare: delle creature uccise non rimaneva traccia. La caverna stessa sembrava essersele riprese.

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view post Posted on 21/12/2017, 21:18     +1   -1
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« Yes, I am that warrior.
I followed my way led by the force of cosmic soul
I can reach the sword On the way to the glory
I'll honour my sword to serve right ideals
and justice for all»



Higanbana rutilò nell’Inferno, la sua essenza d’acciaio.
Brillava di luce spuria, mentre le sue zanne ebbero il loro infame pasto.
Fu una saetta in un orrenda Ombra. E Shintou rise. Rise nell’Inferno, rise nella battaglia, rise nell’essenza più pura di essere Triangolo.
Non Jashinista ma guerriero che avanzava verso valli di tenebra, per non volersi fermare, perché non poteva perché doveva.
La falce morse l’orrenda creatura, staccò la testa ad un'altra, scavò solchi orrendi in corpi deformati, mentre il ticchettio di zampe nefaste accompagnava quella battaglia.

For the glory, the power to win the black lord
I will search for the emerald sword


E nell’oscurità malevola, Shintou brillò e le sue cicatrici pulsarono ancora più violentemente. Il suo Haori brillò mentre il simbolo dello Shinmei Ryuu campeggiò glorioso e orgoglioso su di quel campo di battaglia.
La Lacrima di Dio…avrebbe fatto versare lacrime di sangue…l’Inferno avrebbe capito che Shinta Himura era un pavido, un povero sciocco e imbecille piagnucoloso, contraddittorio e piccolo umano che aveva preso in giro se stesso disonorando se stesso e i sacrifici di coloro che gli furono più vicini, non Shintou Agiwara.
Se doveva combattere con l’Inferno…
Guerra sia!
Lì non vi era Jashin…lì non vi era Immortalità…lì non vi era La Lama Nera…lì non vi era Yamamoto Kuchiki…lì c’era solo Shintou che avanzava…ancora e ancora e ancora..

Non furono le ferite a fermarlo, né l’orrende creature. La sua falce rutilò nell’aria e lo zankusen saettò all’Inferno. L’Ombra si frappose allo Zankusen e gli occhi brillarono del samurai.
Ferito ma non domo i suoi passi continuavano a portarlo vicino al lago.
Ma la moltitudine era eterna. Come le onde che si infrangevano su di uno scoglio solitario, così le orrende creature a mò di maremoto, si infrangevano sul corpo di Shintou e sulla sua fida Higanbana.
E rutilò Ryujin Jakka. La spada dei maestri dello Shinmei Ryuu ricevette la sua benedizione nel costato di una creatura. Mentre le zanne di Higanbana ghermirono il volto e il ronzio delle sue armi rispondevano a quel ticchettio di zampe, troppo abituate alle anime di coloro che avevano lasciato speranza ed orgoglio.
Shintou si fermò un attimo.
Il polpaccio faceva male.
Lo avevano ferito…quando? La stessa sensazione che aveva già sperimentato scendendo da quel tunnel…ma non poteva badarci. Uno di loro si gettò in quell’attimo di disattenzione.
Morse la spalla e Shintou l’avvertì ancora più nitidamente.
Digrignò i denti, Ryujin Jakka si mosse fulminea. Lo trapassò da parte a parte, fuoriuscendo dalla schiena.
Un movimento secco e l’acciaio brillò in quel luogo: un arco argento rossastro e la testa dell’abominio si spaccò a metà.
Gocce di sudore imperlavano la sua fronte, mentre i capelli argento ne erano madidi, ticchettò il suo sudore per terra.
Ce n’erano troppi e nel loro numero vi era la loro forza. Prima o poi le forze l’avrebbero abbandonato.
Doveva trovare un modo per uscire da lì…perché doveva esserci. C’era…lo sapeva…ci sperò con tutta la sua anima.
E forte di tale convinzione si rigettò tra di loro avanzando verso quello specchio color oro che se ne restava quieto mentre vicino alle sue rive battaglia cruenta nasceva.
Shintou fu sulle sue rive…quando ci era arrivato?
Aveva il fiato grosso, le braccia dolevano e i suoi capelli erano scompigliati e fradici di sudore.
Il numero prevaleva sul singolo e quel singolo, seppur motivato, rimaneva uno contro un’infinità. Ed era un uomo.
Seppur orgoglioso e voglioso ma pur sempre uomo.
I suoi occhi brillarono mentre Ryujin Jakka venne conficcata nella terra e il corpo di Shintou si piegò su di essa. Un momento…solo un momento per riprendere fiato…
Non uscivano più dalle pareti e nemmeno dalle stalattiti non ne erano più vomitati.
I vestiti erano a brandelli e le ferite pizzicavano ma per fortuna non erano gravi. Ma lo sarebbero presto diventate se non trovava un modo per uscire da quel posto.
Ma gli attacchi si erano fermati. Le creature restavano di fronte a lui eppure…eppure non portavano l’ultimo colpo. Ne erano rimaste poche decine, ma le loro zampe continuavano a evocare quel ticchettio sinistro picchiettando sulla terra rossa e calda.
Delle altre? Nessuna traccia.
Sparite letteralmente come se quella terra avida ne avesse divorato i corpi.
Ma il particolare migliore era che non avanzavano. Non attaccavano: restavano lì eppure non si muovevano.
Questo era un bene.
Questo era interessante, più dei perché dei corpi delle creature non vi fosse traccia.

Con la coda dell’occhio osservò il lago. Che fare? Situazione di stallo…poteva tornare indietro – e non voleva – quindi doveva avanzare.
Ma come? Quella distesa liquida sembrava infinita. Si strappò con la bocca un pezzo di stoffa e la gettò nelle acque del lago.
Doveva appurare se anche questo liquido fosse corrosivo.
Detto ciò…come fare? Se non fosse stato corrosivo, forse, con una ninjutsu di terra poteva creare un supporto per attraversarlo.
Visto che quelle cose non lo stavano attaccando poteva essere per due motivi: o non potevano attraversarlo o c’era qualcos’altro all’opera.
Quindi doveva scegliere: o rischiare l’ignoto o affrontare il certo.
Il certo…ci sarebbe morto…non aveva la forza per continuare ancora. Doveva far conto con i suoi limiti.
L’ignoto. Tutto e nulla. Ma tra possibilità e certezza…meglio una possibilità.

 
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view post Posted on 22/12/2017, 21:47     +1   -1
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Da vicino la superficie del lago appariva per quello che effettivamente era: malsana, infetta, emanante un fetore acido che colpiva dolorosamente le narici annebbiando gli occhi di chi avesse osato respirare troppo a fondo.
Forse per questo le creature se ne tenevano lontane... Per questo, e perché il pezzo di stoffa che Shintou lanciò in quel liquido ocra si dissolse immediatamente. Non affondato, dissolto: l'ipotesi che quel lago fosse acido era corretta. Qualsiasi jutsu di terra avesse provato a creare si sarebbe scomposta a sua volta in un battito di ciglia.

Le creature zampettanti continuavano a non avvicinarsi, circondando il ronin a distanza di sicurezza mentre questi rivolgeva le proprie bestemmie a qualcuno e le proprie preghiere a qualcun altro.

Quando il suo pensiero cercò di estendersi a soluzione più creative, o più folli a seconda di come la si volesse intendere, la superficie del lago si increspò, generando onde regolari e tranquille al cui centro sorgeva una figura che lentamente si alzava dalle acque, arrivando ad emergere del tutto e a posarsi con la delicatezza di un petalo sulla superficie.



La creatura era alta almeno sei metri. Emerse dall'acqua demoniaca senza che apparentemente questa la potesse sfiorare nemmeno. Elegante, nel suo essere priva di espressioni, bocche o gestualità alcuna: teneva le mani intrecciate in grembo, le gambe nascoste da una sorta di ampia gonna che però pareva essere parte stessa del suo corpo.

«Cosa stai cercando, anima integra?»

La sua voce era profonda, calma come una lastra di ghiaccio ma non altrettanto fredda. Pur non avendo una bocca con cui parlare la creatura si faceva udire perfettamente.

«Sono Enzymion Kimosis, e sovrintendo all'equilibrio di questo luogo. Perché massacri i miei agenti, o visitatore?»

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view post Posted on 23/12/2017, 02:14     +1   -1
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Acido. Quel lago era un’immensa distesa acida.
Se ci avesse messo piede dentro, si sarebbe liquefatto del tutto. Problema. Enorme problema.
Anche creando, con una ninjutsu di terra, un qualcosa con cui attraversarlo risultò vana. E quegli esseri rimasero lì…in attesa di cosa?
Ma per quanto sarebbero rimaste così?
Una situazione di stallo maledetta e asfissiante. Davanti a lui le creature, dietro il lago. Ma non poteva né avanzare, né indietreggiare. Era bloccato del tutto.
Bloccato all’inferno e aveva la strana sensazione che, alla fine, avrebbero attaccato.
Non sapeva dirlo con certezza ma aveva la sensazione, che prese a scivolargli sulal schiena col suo tocco gelido, che non sarebbero rimaste così a lungo. Quindi cosa fare?
Dove andare?
Una zattera lasciata alla deriva….ecco cosa sembrava: un naufrago. Il problema è che il naufrago affrontava cose conosciute, forse una possibilità di salvezza v iera ancora, ma per lui?
Lui era all’inferno. Un mondo che non era il suo.
I piedi che calpestavano quella terra, non erano di anime peccaminose o che i Kami avessero scaraventato per la legge dell’equilibrio, erano di persona viva.
Non morta.
Una contraddizione. Un controsenso che avrebbe potuto distruggere l’Inferno stesso e la realtà tutta. Ma lui era lì…contraddizione o meno..lì e da solo.
Perduto all’Inferno. Disperato?
No.
Non poteva permettere alla disperazione e al dubbio, al suo essere Uomo, di sopraffarlo. Non ora. Non adesso. Non in quel luogo.
Non doveva e non poteva. Perché? Perché se lo avrebbe fatto non avrebbe avuto più la forza di alzarsi, di combattere e di ricordarsi i perché e i motivi che lo avessero condotto in quei luoghi dal Buio sempiterno.
Doveva solo affidarsi a se stesso. Un pensiero osceno, in tale situazione, ma era così.
Yamamoto era sparito, lui era chissà dove, in un mondo sconosciuto, dove ad ogni passo vi erano creature pronte a sgozzarlo e in ogni caso, e questa era una croce e una dannazione, doveva avanzare.
Avanzare verso l’ignoto per dare battaglia.
Quindi non poteva permettersi di disperarsi. La speranza non andava persa ma andava coltivata, tenuta stretta e il suo calore forza e linfa per un’impresa che ad un uomo non era concessa fare.
Eppure…eppure lui era lì…quindi con volontà e acciaio avrebbe proseguito.
E si ritornava nello stallo: come fare?
Lanciò un imprecazione verso Yamamoto. Nano da quattro soldi…bastardo e schifosamente figlio di puttana!
Ma anche prendersela con il nano dell’aka, non avrebbe sortito effetto alcuno e quindi…quindi avrebbe provato a prendere una di quelle creature, e a vedere se poteva usarle come mezzo per attraversare il lago.
Chissà…forse essendo di quei luoghi…un pensiero formulato più per pazzia che per effettivo discernimento.
Perché poteva anche fallire. E vi erano più probabilità nel fallimento che nella riuscita…ma doveva farlo.
Tentare tutto. Anche l’impossibile perché non doveva arrendersi di fronte a questa immane montagna da scalare.
Ne avrebbe raggiunto la cima. Anche sputando sangue.
Era pur sempre uno jashinista. Il Gran Visir di tutti i bastardi era di quel mondo e sicuro si stava orgasmando a vedere la sua piccola creazione, agitarsi a mò d’insetto, per tentare di riprendersi il suo destino.
Lui aveva già attraversato un’Inferno. E ne aveva vissuto un altro per tutta la sua vita….questo non sarebbe stato né peggiore, né più difficile.
E mentre il suo pensiero prese forma in azione, la superficie del lago si increspò, generando onde regolari e tranquille al cui centro sorgeva una figura che lentamente si alzò dalle acque e si posò con la delicatezza di un petalo sulla superficie.
Una visione… estraniante. Come poter descrivere quello che occhio umano faceva fatica a capire, discernere, comprendere e a dare significato?
La sua mente restò confusa di fronte all’apparizione, quasi, divina. ma in un certo senso l’Inferno stesso era Divino.
Divinamente malvagio.
E, come Deus ex machina, la divinità fu davanti a lui.
La sua voce era profonda, calma come una lastra di ghiaccio ma non altrettanto fredda, e sembrava avere dei modi eleganti. Pur non avendo una bocca con cui parlare la creatura si faceva udire perfettamente.
E la domanda fu posta.
Giusta?
Cos’era il giusto e lo sbagliato? Cambiavano a seconda dei punti di vista, del credo, della volontà e dell’ideale.
Mise la falce sulla spalla destra, guardando la creatura di fronte a lui.
Gli rispose con una voce, si affannata, ma ferma.

« Il mio nome è Shintou Agiwara. »

Un inchino con la testa.
La guardò. La scrutò e...come doveva rispondere?
Shintou non era un’ipocrita, un pusillanime o un falso bugiardo. Avrebbe risposto con sincerità alla domanda, senza arrogarsi diritti che non aveva e senza pensare che la sua verità fosse quella giusta.
E che lui agisse facendo la cosa pura.
Perfetta.
Perché non era così. E non avrebbe mentito di fronte a chi, di quei luoghi, ne era il Re. Che fosse un Kami, che fosse qualunque cosa, lo avrebbe trattato con rispetto dovuto, ma rimanendo fedele a se stesso e al suo credo.
Era lì per uno scopo…nasconderlo non lo avrebbe fatto. Non in un luogo così.
Anche all’Inferno avrebbe mantenuto intatto il suo orgoglio e il suo spirito.

« Mi hanno accerchiato e mi sono sentito minacciato. E in quanto tale ho attaccato. Non credo che questi luoghi siano pacifici o la parola pietà sia usata spesso.
In più, non credo che uscire a centinaia abbia favorito il tutto.
Per rispondere all’ altra sua domanda…sono qui perché devo. Devo attraversare questo luogo e proseguire per arrivare fino in fono all’Inferno e cercare di ottenere il pieno controllo del mio destino.»


Un respiro affannato. Cercò di riprendere il controllo del suo respiro.
Avrebbe voluto chiedergli se poteva aiutarlo…gli si strozzò in gola la domanda.
Fidarsi?
Difficile dirlo, in tale contesto e situazione.
Attese. L’unico modo per riuscire nella sua impresa era capire e comprendere. Sperduto com’era qualsiasi informazione poteva essergli utile.
Pose un’altra domanda con voce calma.

« Dove mi trovo, se posso domandare?»

 
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view post Posted on 24/12/2017, 15:35     +1   -1
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L'inespressività della creatura non mutò alla presentazione di Shintou, e all'esposizione dei suoi motivi. Le mani, o zampe come le si volesse chiamare, permanevano dolcemente ripiegate e quegli occhi profondi continuavano a fissarlo.

«Ti trovi nell'Ihmagen, il mio regno. In questo luogo chi vi entra viene vagliato, testato ed eventualmente rimosso, qualora si dimostrasse un pericolo o un essere indesiderato.
I miei agenti si occupano di ciò...»


Le creature fremettero, facendo ondeggiare le numerose zampe.

«Ed evidentemente non ti hanno trovato adatto. Quindi, cortesemente, Shintou Agiwara... Non sei qui perché devi, ma perché vuoi

Enzymion Kinosis reclinò la testa di lato, in una maniera più simile a quella di un gufo meccanico che a un animale con vertebre funzionanti.

«Che cosa vuoi da questo luogo? Non troverai nulla attraversando il mio lago. Solo la tua fine.»

Minaccia? Avviso? Difficile capirlo, dalla mancanza di sfumature nella voce e dalla totale assenza di un'espressione.

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view post Posted on 24/12/2017, 16:21     +1   -1
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« Dovere e volontà a volte coincidono.»

Rispose franco e senza giri di parole.
Era lì si per dovere, ma anche per una precisa volontà. Sapeva molto bene cosa significasse affrontare la vita per dovere e non per volontà.
Quando le due cose non erano in armonia ecco che la vita diventava un fardello. I segni sul suo corpo, le cicatrici, quel malefico antichakra ne era la testimonianza.
Ma oggi le cose erano diverse. Lui era un uomo diverso.
Non stava affrontando questa impresa titanica senza aver ben chiari i motivi. La stava affrontando soprattutto con la volontà. La stessa che ebbe contro Indra, la stessa che ebbe contro Jashin…non sarebbe stato più un vigliacco pusillanime.
Il sangue che aveva versato, le battaglie affrontate avevano forgiato Shintou.
Cuore di spade.
E con la spada di questa precisa volontà avrebbe tagliato il suo destino. Lo avrebbe vinto…o avrebbe perso. Ma non da vigliacco.
Non come Shinta Himura…no!
Strinse il pugno e gli fece male.
E fu la sua volontà a farlo parlare. Fu quella a muovere i suoi passi qui, alla fine di ogni cosa, dove la tenebra era sempiterna.

« Da questo luogo e da Voi solo una cosa, se posso.
Attraversarlo per raggiungere la fine. Raggiungerla perché in me ho un potere che devo e voglio controllare.
Un potere che fa parte di questo mondo.
Quindi, anche se sarà la mia fine, attraverserò questo lago e raggiungerò l’altra parte. Se il mio destino è morire lo affronterò…ma non prima di aver dato battaglia.
La mia vita mi appartiene e con essa questo potere. Lo controllerò…ma se questa mia volontà mi porterà alla fine…almeno…»





a1ZayUB
« MORIRò AVENDO TENTATO!»

 
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view post Posted on 26/12/2017, 16:48     +1   -1
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Enzymion Kimosis sospirò. Oltre al suono, piccolo e infinitesimale, il sospirò si manifestò come una vibrazione della superficie del lago, un'onda sottile che raggiunse le rive ma, a differenza delle onde normali, non tornò indietro.

«Allora non hai ascoltato le mie parole. Ti ho detto che non troverai nulla oltre al mio lago. Non è questa la tua strada... Torna indietro.»

La superficie del lago iniziò a ritirarsi, scoprendo una riva dove il terreno, rosso e arido, veniva sostituito da un fango bollente e lucido, pulsante come carne viva.

«Altrimenti sarà mio dovere finire quello che i miei agenti stavano cominciando.»

Questa volta l'avvertimento aveva un sapore molto più minaccioso. Non c'erano espressioni a sottolineare l'intento, né Enzymion aveva mosso un muscolo. Tuttavia, il tono più freddo e profondo lasciava poco spazio ai fraintendimenti.

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view post Posted on 26/12/2017, 18:08     +1   -1
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« Anche lei non ha ascoltato le mie parole.»

Shintou lo guardò. Vide il lago vibrare, di una vibrazione infinitesimale ma vibrò.
Un onda sottile, lieve come un delicato petalo di rosa che si adagiasse su candida neve.
Si posò su quella terra infame eppure non tornò indietro.
Come se il lago e la misteriosa creatura fossero un tutt’uno. Come se quel luogo fosse lui stesso; un unione indissolubile. Anima e lago uniti.
O per meglio dire come se il lago avesse creato una forma con cui palesarsi agli occhi di Shintou. Una forma si aliena, misteriosa e che i suoi occhi a stento decifravano, ma pur sempre dotata di un quid. Che la rendesse significato agli occhi dell’uomo insulso e piccolo che ora si trovava di fronte a lui.
Ma questo non fermò Shintou.
Respirò a fondo…gli occhi bassi, le lame quiete, il respiro intenso e calmo. La sua mente volò a casa.
Fu un attimo.





c6Rgsd3
« Non posso…»




Non poteva arretrare, tornare indietro e riprendere la sua vita.
Non poteva perché sarebbe morto. Non domani certo ma lo sarebbe stato.
Di nuovo un cancro. Di nuovo un qualcosa di maledetto che lo corredeva dall’interno facendo scorrere il tempo come una spada malefica che si sarebbe abbattuta.
La contrazione di ogni cosa, la rinuncia alla speranza, l’attesa come il TUTTO e l’angoscia a condire ogni cosa.
I baci di Shitsuki, le risate con i suoi amici,il cercare di proteggere il santuario…buffo…aveva dato il suo cuore per questo.
Glielo aveva sacrificato a Jashin per far morire Shinta e far nascere Shintou.
Per seppellire una vita infame, una malattia, dolore, angoscia, terrore, fallimenti. Non cancellarli ma seppellirli.
La seconda possibilità.
Ricominciare di nuovo e come nuovo.
Beffardo il destino…diventare un demone per amore…combattere per l’inferno con il loro potere e morire. Alla fine…non era sfuggito al suo destino.
Lo aveva solo posticipato.
Sorrise…sbuffò dalle narici. Incredibile era dir poco.
Alla fine era ritornato al punto di partenza.
Però…però…

« Io devo continuare ad avanzare…»

Fermò la frase a metà. E le parole di Yamamoto gli entrarono nel cranio.
Shintou…maledetto imbecille!
E se davvero…e se quella fosse la direzione sbagliata?
«Scendi... Centro... Se vedi un lago... Indietro!»
Perché doveva mentirgli? Se avesse preso per vere le sue parole…sarebbero state le stesse del Nano.
Senza guida…ogni cosa poteva essere la fine.
Aveva posto la domanda sbagliata.
Non attraversare il lago…era chiaro che la creatura gli avesse risposto in quella maniera. La sua volontà era di attraversarlo?
No!
Era di trovare la strada giusta…maledetto imbecille!
Ragionare…ragionare…non poteva ritornare ad essere Shinta Himura che si gettava a capofitto nella morte per vanagloria e nascondere le proprie paure.
Non poteva permettere di riesserlo.

« Mi perdoni davvero…
Io devo trovare la giusta via per arrivare al centro del potere dell’antichakra.»


Lo guardò…negli occhi?

« Mi sono perso è vero. Mi indichi la giusta via e io me ne andrò dai suoi territori.»

Questo era Shintou Agiwara.
Prima era stato Shinta Himura. Preso dalle paure, dall'angoscia.
Dall'ansia.
Non essere nelle mani di Jashin, passivi agli eventi ma attivi.
Ed eravamo attivi quando con la speranza andavamo verso il tempo e non quando con l’attesa aspettavamo che il tempo giungesse verso di noi.
Lui aveva fatto questo sbaglio: chiuso nell'attesa, nell'angoscia di rivivere le sofferenze di Shinta Himura si era scordato di chi fosse diventato. Di quanto sangue e dolore fosse servito per forgiare Shintou...Cuore di Spade.
Non doveva più dimenticarlo.
Nel suicida la speranza non era del tutto estinta, perché non si poteva compiere quel gesto se la morte non fosse vista come la sola ragione di vita, dopo che le speranze erano state negate, le illusioni falciate e le attese erano apparse senza fine.
La stessa condizione di Shinta Himura...imbecille!
Si era dimenticato....strinse il pugno. Gli fece male.
Bene...che questo dolore gli fosse servito per ricordarsi cos'era e i perchè.
Shinta si sarebbe suicidato assegnando al passato il compito di esprimere tutto il senso della sua vita.
Facile così...era facile davvero. Si sarebbe liberato dai pesi dando una bella passata di spugna.
Lindo e pulito quando invece puzzava di merda!
Shintou Agiwara no...non si comportava così.
Aveva conosciuto la fatica di ri-assumere il proprio passato togliendogli l’onore di dire l’ultima parola sul senso della sua vita.
Lo sguardo fu fermo.
In attesa della risposta.
Non avrebbe abbandonato la speranza.
Avrebbe trovato un modo per tornare alla sua vita.
Come Shintou Agiwara.

 
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view post Posted on 27/12/2017, 15:26     +1   -1
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Il lago smise di ritirarsi, seppure la sua riva continuò a restare scoperta. Quelle bolle putride di fronte ai piedi di Shintou esplosero più volte in maniera casuale, senza però fare altro.
Enzymion Kinosis annuì lentamente, l'unico gesto fisico che gli aveva visto fare fino a quel momento.

«Lo immaginavo. Era chiaro che ti fossi perso, Shintou Agiwara. Chiaro a tutti tranne che a te.»

La ritrovata umiltà parve rasserenare il tono della creatura, ma prima che potesse dire qualcosa i suoi agenti ripresero ad agitarsi. Alle spalle di Shintou il ticchettio delle zampe si fece improvvisamente assordante, e tutti gli esseri insettoidi iniziarono a dirigersi verso una delle pareti, poco lontano dal condotto che Shintou aveva attraversato per scendere.

La parete della grotta si fece incandescente, e alcune bolle di terra comparvero sulla sua superficie. Quelle bolle divennero globi, poi sfere, che si staccarono veleggiando a mezz'aria. Erano di diverse dimensioni, ma tutte almeno di due metri di diametro, e dotate di occhi e bocche da cui si intravedeva l'interno magmatico.



Sopra uno di quei rotondeggianti demonietti, ce ne stava un altro: Yamamoto, sorridente e pacifico, a gambe incrociate e con un braccio che sventolava allegro.

«Shintou, ragazzo mio! Ma dov'eri finito? Non pensavo di trovarti ancora qui!»

Veleggiando fino al lago non venne mai perso di vista da Enzymion e dai suoi agenti, i quali continuavano a ticchettare le loro zampe con una certa ansia, mentre le sfere volanti magmatiche passavano sopra di loro ignorandoli.

«Enzymion Kinosis, sempre una gioia rivederti. Il fanciullo qui non stava cercando di farsi una nuotata, vero?»

«Sì, a dire il vero»
rispose l'entità con estrema calma. «Ma ha capito da solo che non sarebbe stata una buona idea. Portatelo via, Fibra.»

Il demone rotondo cavalcato da Yamamoto si spostò verso Shintou, e il Nano gli sogghignò dall'alto dei suoi tre metri di altezza.

«Forza giovincello, salta su. Prima che ti faccia male sul serio... E ringrazia Enzymion Kinosis per la sua pazienza. Oggi dev'essere un periodo buono, eh?»

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view post Posted on 27/12/2017, 23:04     +1   -1
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« Lo so.»

La consapevolezza. L'umiltà. Necessarie per agire con rettitudine e giustezza.
Era all’Inferno non su di un campo di battaglia. Era all’Inferno non contro Uomini.
Era nella terra di kami così oscuri, antichi e potenti che affrontarla nei panni del fu Shinta Himura avrebbe solo portato ad uno e uno solo risultato: morte.
Ma Shintou Agiwara poteva. Lui solo poteva attraversare quelle lande demoniache e tornare a riveder le stele.
Un suicida come Shinta avrebbe perso la sua anima, la sua vita e insieme ad esse la speranza. Shintou avrebbe tagliato quel destino.
Non doveva più scordarselo.
Rinfoderò Ryujin Jakka ormai silente, mentre Higanbana tornò nel sigillo che era il suo irezumi. In attesa di nuovi scontri e nuovi nemici.
La prima grande prova era stata superata: mille altre ne sarebbero giunte. Più insidiose, più malevole e impegnative ma questa era stata una vittoria.
Prima di tutto contro se stesso.
Se la sarebbe goduta. O almeno fino alla prossima.
E il ticchettio delle zampe divenne, improvvisamente, assordante.
Shintou si voltò immediatamente e la sua mano sinistra andò all’elsa di Ryujin jakka: pace non era per quelle terre.

Gli esseri insettoidi iniziarono a dirigersi verso una delle pareti, poco lontano dal condotto che Shintou aveva attraversato per scendere.
La parete della grotta si fece incandescente, e alcune bolle di terra comparvero sulla sua superficie.
Altri nemici? Il filo di Ryujin Jakka si mostrò. Un tlac inconfondibile. Gli occhi come magma. Lo stesso che si intravedeva dalle bocche di…quegli esseri?
Si perché quelle bolle divennero sfere, che si staccarono veleggiando a mezz'aria. Erano di diverse dimensioni, ma tutte almeno di due metri di diametro, e dotate di occhi e bocche da cui si intravedeva l'interno magmatico incandescente e pulsante.
Ma cosa più straordinaria non era l’apparizione di questi indesiderati ospiti era chi cavalcasse uno di questi affari.

« YAMAMOTO?!»

Si proprio il dispettoso, bastardo, figlio di buona donna del nano dell’Akatsuki. Che fresco e beato, come se stesse andando ad un appuntamento amoroso, comparve gaudio e suadente, con uno dei più classici sorrisi da grandissimo figlio di puttana che avesse mai visto in 22 anni di vita.
Lui aveva rischiato il collo e il grandissimo figlio di buona donna, pace all’anima sua se mai madre avesse avuto l’ardire e il coraggio di procreare un’essere del genere, eccolo a comparire dal nulla come se nulla fosse successo.
Anzi…si permetteva pure il lusso di sfottere!
Bastardo di un nano!
Gli avrebbe dato volentieri una sonora pedata in quelle chiappe rancide, da alzarlo di 40 centimetri.

« Ringrazia la mia se non ti butto in quel lago!»

Sbuffò dalle narici. E per un momento parve Shitsuki quando si arrabbiava.
Adesso stava iniziando a prendere pure i modi di sua moglie…guardò il nano di bieco, con le mani sui fianchi e si lisciò la barba. Sbuffò sonoramente e respirò profondamente.
Quiete…anche se con yamamoto nei dintorni la quiete era un lusso. Anzi: una parola da cancellare dal vocabolario.
Ma prima di salire doveva fare qualcosa: si voltò verso Enzymion Kinosis e si inchinò.
No…non dimenticava. Era vivo perché lui aveva deciso diversamente.
Poteva ucciderlo, non lo aveva fatto. Certe cose non potevano essere dimenticate.

« La ringrazio. Non dimenticherò la sua benevolenza nei confronti di un idiota.»

E tentò di mettersi seduto su uno di quei cosi. Palle. Globi.
Insomma…qualsiasi cosa fossero Shintou tentò di sedercisi su e di mantenere un minimo d’equilibrio.

 
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