Non era ancora nel pieno delle forze ma stava sicuramente molto meglio. Quando Shintou la baciò lo strinse a sé e si tirò su a sedere, abbracciandolo con la mano destra e ignorando le sottili fitte poco sopra il gomito sinistro, dove il taglio si stava rimarginando.
Ogni bacio, ogni tocco, serviva a rassicurarla; lo faceva per lei,
per lei, e nonostante tutti i capricci, le testardaggini, i momenti di debolezza, lui ci sarebbe stato sempre.
Questo però non significava che lei dovesse abusare della sua disponibilità. Essere certi di una cosa e darla per scontata sono pericolosamente vicini, e Shitsuki non voleva adagiarsi sugli allori e rassicurarsi del fatto che, poiché suo marito la amava e la supportava, allora lei poteva prendersi il lusso di andare con calma.
Nessuno glielo avrebbe perdonato, lei per prima.
Era questo a cui pensava mentre Shintou le preparava una scodella di zuppa fumante. Carne e verdure, esattamente quello che le serviva. Con un braccio solo era difficile tenere il piatto in equilibrio e mangiare al tempo stesso, ma Shitsuki rifiutò di farsi imboccare come un'invalida e pretese di mangiare a tavola. Suo marito le fasciò quindi il braccio riponendolo nella manica dello yukata con attenzione, in modo che stesse fermo.
I Jashinisti guarivano ad una velocità sproporzionata rispetto alle persone normali, ma un braccio troncato richiedeva comunque qualche giorno di tempo prima di tornare operativo. Doveva lasciarglielo, quel tempo. Così come doveva lasciarlo a se stessa.
«No che non sono una vigliacca» borbottò, guardando Chinuri che, come lei, era stata pulita e curata.
«E questa forza, di cui parli... So di averla sempre avuta d'animo, ma...»Arricciò il naso. La modestia non era una delle caratteristiche pulsanti di Shitsuki, soprattutto per cose che la comunità le riconosceva da sempre. E, diciamocelo, il Jashinismo non predicava umiltà e modestia come altre religioni, semmai tutt'altro.
«...Devo capire come tirarla fuori. Come usarla per qualcosa che non sia parlare.»Guardò di nuovo la sua falce, e lentamente annuì.
«Ce la faremo. Lo so.»Sorrise e strinse ancora la mano di suo marito, che se ne andò lasciandole del tempo da sola. Ne aveva bisogno, e ne aveva bisogno anche lui; Shintou era bravo a celare tutto dentro di sé, ma Shitsuki poteva comunque immaginare quanto faticoso dovesse essere stato per lui. Sicuramente sarebbe andato a sfogarsi e distrarsi in qualche modo, magari a farsi due bicchieri con le sue Lame, oppure a sbattere il martello sull'incudine per qualche ora.
"Anche per questo devo migliorare... Per non obbligarlo più a fare certe cose."Prese Chinuri, e la liberò dalla seta che la copriva. La sua falce era come lei: solida e robusta, screziata da segni di ogni tipo, ma senza grosse cicatrici da importanti battaglie. Shitsuki non ne aveva mai avute prima, e il nuovo corpo da Figlia di Jashin era ancora intatto e perfetto. Quella che le sarebbe rimasta sul braccio non era una medaglia al valore, non era un ricordo di un nemico che aveva affrontato e battuto... Ma poteva diventarlo.
Doveva solo abbattere il nemico più grande di tutti: se stessa.
Accarezzò il manico della falce, ne seguì il profilo con le dita, sfiorò le lame e decise che andavano affilate. Col braccio al collo, prese quindi la sua arma, la cote, e uscì in veranda così com'era, in yukata da casa e a piedi nudi.
Seduta sul patio che si affacciava sul cortile interno percorse più volte la lama con la pietra per affilare, generando scintille e rumore di ferro. Era un gesto abitudinario, la cura della propria arma era parte fondamentale dell'apprendimento al Santuario, e lei l'aveva sempre considerato un momento per rilassarsi ed entrare in comunione con Chinuri.
Evidentemente, però, non era stato abbastanza. Le spade di Shintou brillavano e ronzavano, la sua falce invece restava silente. Stabile, inattaccabile, salda... Ma silente.
«Tu sei parte di me, vero?»Ma sì, tanto valeva provare a parlarci.
«Sei parte di me... Sei stata fatta con la mia anima... Eppure non comunichiamo, vero? Cioè... Tu sei in fondo alla mia mano e ci sei, punto...»Il rumore della cote sulla lama fu l'unica risposta che le sue orecchie udirono. E come poteva essere altrimenti? Chinuri non era un essere vivente, per quanto non la si potesse nemmeno considerare una normale arma. Di sicuro però non parlava.
«Eppure... Nemmeno le spade di Shintou sono vive. E non gli parlano. Però ronzano, diamine, le sento anche io!»Finì di affilare l'ultima lama e si alzò in piedi, prendendo la falce e tenendola sollevata davanti a sé. Era pesante, e anche parecchio; tenere il braccio teso era un esercizio massacrante che non riusciva a mantenere per più di un certo numero di secondi, ma non era quello l'allenamento a cui mirava in quel momento.
L'aria autunnale le solleticava la pelle con quel leggero freddo pungente ma non insopportabile. Il braccio sinistro rimase dentro la manica dello yukata, mentre il destro tornò lungo il fianco sorreggendo Chinuri.
Si mise al centro del cortile, sull'erba fresca, e roteò la falce in modo da appoggiarne la testa davanti ai propri piedi, impugnando il manico con decisione. Prese uno, due, tre respiri profondi. Ne sentiva la consistenza del legno contro il palmo, e quando la sollevò ne avvertì distintamente il peso. A occhi chiusi, immaginò la forma, le dimensioni, la curvatura delle lame. Conosceva così bene la sua falce che non faceva fatica a dipingerla nella sua mente con precisione.
Immaginò la falce che si alzava, si muoveva, e con naturalezza il braccio seguì quei movimenti facendoglieli percorrere. Sempre a occhi chiusi, Shitsuki si prese il suo tempo per, semplicemente, far muovere Chinuri. Con un braccio solo era faticoso ma non impossibile; era come tornare ai primissimi giorni dopo la Prova, quando la sua anima aveva preso forma tra le sue mani, tagliente e affilata.
Rotazioni, spostamenti, passi, affondi. Tutto con calma, mentre il suo corpo si scaldava per lo sforzo ma la sua mente rimaneva lucida e concentrata.
E dopo un certo tempo -non sapeva quanto, aveva gli occhi chiusi quindi non poteva calcolare quanto il sole fosse calato sull'orizzonte- iniziò a far scorrere il chakra dal proprio braccio lungo la lama. Quando lo fece, Chinuri apparve ancora più brillante nella sua mente: rossa e azzurra, l'energia la percorreva infondendosi in ogni suo centimetro, dal manico di legno levigato ai chiodi che tenevano le lame in posizione. Ogni singolo frammento e scheggia, non doveva dimenticarsi di niente, non doveva tralasciare nulla.
Il sudore le impregnava lo yukata, ma il cuore batteva forte e stabile. Ogni passo, ogni affondo e sollevamento era uno sforzo che passava in secondo piano, perché la mente della ragazza era focalizzata sul riempire di chakra la propria arma e sul sentire come questa rispondeva.
Era più pesante? Più leggera? Rimaneva la stessa, ma in qualche modo non era più una prosecuzione del braccio, non quanto poteva esserlo prima. Pur incastrandosi perfettamente nella sua mano, pur eseguendo i movimenti in maniera armonica, non era più un "qualcosa che lei muoveva" ma un "qualcosa che si muoveva con lei".
Lo yukata zuppo le dava fastidio. Se lo tolse, e mantenendo il braccio ferito contro l'addome riprese a spostarsi, a piegarsi, saltare, in quello spazio che era solo nella sua mente. Mai aprì gli occhi, perché conosceva la sua arma e la sua casa, sapeva dove colpire per non tagliare un albero, sapeva quando far scorrere chakra nel piede per non affondare nel laghetto.
Era una consapevolezza nuova che ai suoi occhi chiusi spalancava un mondo di prospettive mai abbracciato. Perché lei sempre si era affidata ai suoi sensi per dominare, mentre per la prima volta si armonizzava con qualcosa, con la sua falce.
Chinuri non ronzava, non era come le spade di Shintou, non aveva bisogno di farlo.
Le sue tre lame sussurravano, e il loro sussurro accompagnava Shitsuki nei suoi movimenti, che diventavano i
loro movimenti.
Shintou l'avrebbe trovata ancora lì, con le bende madide di sudore e con l'erba scavata dai suoi passi, una figura demoniaca danzante di chakra e acciaio, sangue e carne, fusi assieme nell'armonia dell'universo.