| Shintou iniziò a mangiare. Aveva fame, ora. Appena le pietanze furono sul tavolo il suo stomaco brontolò sul serio. E che la proforma, il galateo si andasse a fare un giro. La fame era troppa. Si era allenato nemmeno da ventiquattro ore e Kuma l’aveva aperto a metà. E per non farsi mancare nulla Kuros ama aveva disposto che Kuma, Seishin e Hikaru fossero i suoi avversari. Tre belve assetate di sangue. Tre falci l’una diversa dalle altre eppure maledettamente e pericolosamente assassine. Vi era Artiglio che rivaleggiava con Higanbana per la stazza. Tre zanne ricurve, dal filo smussato, enormi, ricoperte di bende e con delle tacche sul piatto della lama. E ormai non si riusciva più a contarle. Poi vi era Giunco…dannata falce. Faceva male ancora il taglio infertogli. Veloce. Troppo. Troppo veloce…difficile prevederla, maledettamente impossibile seguirla. E poi Wado Ichimonji…la falce di Seishin. Ombra. Armonia. Non si sarebbe dato un Ryo allo spirito guerriero di Seishin…gravissimo errore. Prendere sotto gamba l’Ombra del Santuario significava ritrovarsi la sua magnifica e perfetta falce dritta nella carotide e con la testa perfettamente in bilico sulle punte della falce. Da soli erano terribili…insieme una forza inarrestabile. Shintou ne era uscito malconcio, con un braccio andato a Jashin, un taglio verticale sul petto, così profondo da incidere persino i polmoni, ematomi e quant’altro. E aveva fame. Aveva perso ettolitri di sangue…doveva mangiare e tanto. Mangiare e riposare. Si era fatto quasi due giorni di dormita ma il suo stomaco ora brontolava peggio di Susanoo. Quindi ordinò, mangiò, riordinò, rimangiò con una foga enorme. Se il conto fosse stato salato avrebbe pagato tutto lui. Ma ora doveva mangiare. Tanto…
« Buon appetito!»
Si sfregò le mani. Sorrise con un pupone e iniziò la sua meticolosa e accorta opera. Più volte sembrò sul punto di soffocare. Qualche bicchiere e passava la paura.
E poi…eccola lì. Scintillante, magnifica, con il suo corpo perfetto e le corde lucide. Lo invitava a sedersi vicino a lui, a prenderla, a pizzicare la sua essenza in un connubio fatto di suoni e anima. Amplificare il proprio Io dandogli suono. Una chitarra. stava lì: silente e in un angolo e a Shintou balenarono gli occhi. Dopo i gattoni la chitarra era un’altra sua passione e al santuario stava massacrando i timpani di tutti, con quel nuovo genere musicale che gli aveva fatto sentire fratello Kenshin. Di solito era un vagabondo: veniva al santuario per poco tempo, per poi ripartire e ritornare…dopo venti-trent’anni. Non amava stare sempre nel solito posto e aveva imparato a fare il cantastorie e il girovago. Vedere il mondo e suonarlo. Normale che nei suoi viaggi si fosse portato appresso qualcosa. E quel qualcosa a Shintou lo affascinava maledettamente. Non era mai stato un musicista, né tantomeno aveva pensato di diventarlo – figurarsi non credeva di toccare i venticinque anni! – ma ora, con la sua immortalità, scopriva molto. Il mondo offriva tanto e lui poteva giocarci, crescere, imparare, osservare da tutto ciò. E così aveva incominciato a suonare la chitarra. Amava quello strumento. Soprattutto suonato di sera, davanti alla famiglia Agiwara, con quelle noti che mai prima si erano sentite nei territori degli shinobi, eco lontano, di un mondo che avrebbe visto. Con quella voce profonda, roca, con le dita che si muovevano sul manico, accordi e le dita a pizzicare le corde che emanavano il suo Io più profondo. Cantare? Suonare la propria anima. Non era così diverso dallo scrivere gli Haiku. E gli metteva in musica. E quindi si alzò. E Shitsuki capì. Perché riconosceva il brillio negli occhi del marito e sapeva riconoscere le sue passioni. Ma quello era anche un battesimo del fuoco. Un conto è suonare per la sua famiglia, a casa, con gente che ti amerebbe sempre anche se fossi un impedito cronico, un conto è con degli sconosciuti che non gli interessava nulla di te. Ma Shintou voleva suonare. Perché? Perché voleva suonare per quella gente, per sua moglie e i suoi amici. Un modo per sdebitarsi. E visto che a parole non era bravo – più bravo nello scrivere lettere e poesie che parlare a voce di sentimenti – suonò. Tra l’altro…non poteva nemmeno usare la Moltiplicazione Superiore sennò troppi occhi indiscreti…quindi? Come fare quel piccolo concerto? Fratello Kenshin come li aveva chiamati? Anfradded? Inploged? ‘Sti cavoli…a stringere erano concerti solo voce e strumento. Sarebbe andato bene. Si sedette, prese la chitarra e guardò Shitsuki. La prova del nove. Ora si sarebbe visto sul serio se era bravo o una grande pippa per usare un termine tanto caro a Kuma. Si mise seduto. Le persone chiacchieravano. O almeno si facevano gli affari propri. Guardò sua moglie. Un occhiolino divertito…ora avrebbero capito se Shintou fosse una rockstar oppure un emerita pippa. La prima corda venne pizzicata. La seconda. La terza. Un accordo. Una fischiata ad accompagnare la melodia.
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« Why oh why does God hate me? 'Cause I've seen enough of it, heard enough of it, felt enough of it Had enough of it! »
Parole straniere. Il significato non era conosciuto. Ma Shintou le stava imparando. Non l’aveva scritta lui ma gli piaceva. Gli piaceva il suono, la melodia e quel poco senso che era riuscito a capire traducendola. Se vi fosse stato Eiji era meglio ma…Shintou non chiedeva mai l’aiuto di nessuno. Non per orgoglio ma per tigna. Le cose le doveva fare da solo e riuscirci. Scoprire il suo limite e superarlo. Che fosse una tecnica di spada, che fosse l’antichakra o una malattia, che fosse persino imparare una nuova lingua… Era riuscito ad imparare a suonare la chitarra, avrebbe imparato persino quella lingua. E a proposito di chitarra: allora Shitsuki? Ora non dicevi più che erano note a cazzo di cane, strimpellate da un sordo? Chissà cosa avrebbero detto Kazora e Chigawa? O Kuma?! E la voce andò seguendo le note…
Qualcosa, durante quel concerto improvvisato, entrò. Quattro zampe, una coda, sinuoso, bello, grasso o grassa, con gli occhi color dell’oro. Si mise su di un bancone, leccandosi una zampa in placida attesa. Di cosa? Di tutto e di nulla. Aveva il pelo grigio e bianco, striato, e sembrava perfettamente a suo agio. La coda sferzava l’aria mentre adagiato sul bancone, placidamente, si guardava intorno. Kami fate che non lo veda Shintou! L’ultima volta che vide un gatto al santuario, lo cacciò per tre giorni per tirargli la coda. Mise a soqquadro l’intero Santuario, con buona pace di Getsumoto e di Kuro sama che se lo videro cadere dal cielo, ridendo come un pazzo, con quella palla di pelo che saltava di tetto in tetto, correndo tra le viuzze del santuario. E dietro…bhe…un gatto umano completamente impazzito. Certo tornò vittorioso da Shitsuki, graffiato puzzolente, ma vittorioso. Con la povera bestia ormai tra le braccia e lui a coccolarsela, a tirargli la coda e a miagolare. Si…Shintou miagolava e faceva le fusa…uno spettacolo ridicolo…che i Kami fossero dispendiosi di accortezza e lo facessero uscire subito, l’enorme palla cicciosa di pelo. Shintou adorava i gattoni…e più erano ciccioni più scattava in lui la volontà di agguantarli. E che le convenzioni sociali andassero a farsi benedire. Era meglio che non lo notasse…no…assolutamente.
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