Into The Sanctuary: Serviam!, Di come il Templare scacci il male

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view post Posted on 23/1/2020, 15:39     +1   -1
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« Che tutti coloro che sono stati scelti per fare e servire la giustizia,
secondo il tuo desiderio e la tua volontà
che costoro eseguano questa giustizia
la compiano,
la soffrano
e che conservino in loro e per tutto il popolo cristiano
e la luce.»
(Jacques de Molay)




Il cilicio sulla carne. Mortificazione della stessa, davanti al Triangolo inscritto nel Cerchio.
Il dolore costante, la ruvidezza del ferro a staccarsi dalla stessa, gocce di sudore a imperlare un corpo nudo, perfetto. Seni turgidi, occhi color ametista, su un viso d'angelo incorniciato da capelli color grano che scendevano fino ad oltre la vita.
Vi erano segni su quel corpo. Segni di una volontà, di un dolore, di un sacrificio giornaliero e costante per officiare se stessa al suo Dio.
Sue soffriva ogni giorno. Nel corpo, versando sangue, pregando, combattendo sacrificando gli Infedeli al suo Dio. Eppure c'era un dolore, che subdolo e malevolo, la stava portando ad impazzire.
L'invidia.
Non si addiceva a Sue, lei che era la più vicina al suo Dio. Lei che, guardandola in quegli occhi ametista, si poteva quasi intravedere Suo Signore.
Eppure questo sentimento malsano la privava del suo raziocinio. Infangando quel simbolo che portava sulle vesti e sul cuore, martirizzava se stessa e la sua carne in un atto di purificazione ed espiazione del peccato.
Lei la perfetta si stava scoprendo imperfetta.


« Tanto progredirai quanto farai violenza a te stesso.»


Le parole sussurrate, mentre la carne viene strappata. Il cilicio divenire rosso.
Si alzò. Vedeva quel simbolo...vedeva Shitsuki. E l'ira divampò.



I giorni al Santuario scorrevano nella pace. "Pace" che era parola strana da usare quando si trattava di jashinisti.
Esseri immortali, egoisti che trovavano nel sangue e nel dolore, proprio ma sopratutto altrui, la loro essenza. Votati ad un dio malevolo che orgasmava e sollazzava nel dolore e nella morte.
Ma pace era. Perchè così il Santuario delle Tre Vie era. A differenza di molti altri in quelle terre e nel mondo, il Santuario con a capo Getsumoto Agiwara proliferava nella pace e nella prosperità date da quel Dio malevolo.
E in quel Santuario, così anomalo e così ricco, il Cerchio sembrava essere nato.
Shitsuki Agiwara era tornata.
Il Gobi manifesto insieme ai Bijuu e a due Ordini millenari che si fronteggiavano per questi esseri immensi; chiamata a difenderli direttamente dal Divin Verbo, Shitsuki era tornata cambiata nello spirito e nella carne.
Lunga fu la sorpresa e l'ammirazione.
A lungo si confabulò, si parlò sottovoce, alle tavole o nei campi, di Shitsuki Agiwara e di quella trasformazione che la rendeva figlia di Jashin.
Se la santità dell'Agiwara era messa in dubbio fino a quel momento, quando si presentò sotto cotal guisa anche i più scettici dovettero prendere atto che davanti a loro vi era una Dea. O qualcosa di simile.
Di sicuro il Cerchio era tra di loro. No che la parola di Getsumoto fosse messa in dubbio, sia chiaro, ma nel mondo molti si professavano il Cerchio, nessuno di loro lo era.
Eppure Shitsuki, che nel segno di Jashin aveva proliferato, che nel suo Verbo mangiato e bevuto, la sua carne offerta a lui, il sangue dei suoi nemici versato, ora si ergeva in possanza tra di loro. Era chiaro che non era più una tra tanti.
I segni vi erano tutti. ignorarli era da pazzi, così come metterli in dubbio.
Nemmeno Sue lo fece, eppure sapeva che il Cerchio si manifestava, ma non nella completezza. Lunga era la strada per esserlo.
Tortuosa come il volere di Jashin che, capriccioso e volubile, amava dare e poi togliere, per poi riconcedere fino a che l'essenza stessa del Cerchio non fosse compiuta.
Shitsuki era il Cerchio per molti, non per Sue. Shitsuki avrebbe guidato lo Jashinismo in chissà quali nuove strade. Non per Sue.
Sue non lo credeva possibile. Il templare, che tanto aveva sofferto, ucciso, pregato e dato se stessa - anima e corpo votati a Lui soltanto - non poteva credere che una bimba piagnucolosa e viziata fosse davvero il Cerchio di quest'epoca.
Nella sua umile dimora il rosario, nervosamente, venne passato tra le mani. Il cilicio non faceva più male, non più della rabbia che serpeggiava nel suo cuore divampando nel gesto iroso di lanciare il rosario verso il muro.
Ansimò. la fronte imperlata di gocce di sudore. i lunghi capelli setosi si agitarono in una coda scomposta e dovette toglierli dalla sua fronte con un gesto nervoso della sinistra.
La vide tremare.





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Sue.
Il Templare del Santuario. Una donna che aveva sacrificato sé stessa per la Fede. Da libro di preghiera era passata alla falce.
Aveva combattuto contro gli eretici, proteggendo col suo corpo i pellegrini e i fedeli da chi era infedele, scoprendo poi che la sua causa - quella stessa causa a cui aveva votato se stessa - non era null'altro che letame.
e che le mani di chi doveva guidare ed essere migliore si macchiavano di crimini, di ripugnanti atti, che si stringevano la domenica in chiesa e che ricoperti di gioielli affamavano la Fede.
Perché non era importante il regno Dei Cieli ma quello in Terra. E di chi, stanco e affamato, bussava a bronzee porte entrando in navate riccamente decorate, si chiedeva perché loro dovevano vestire di stracci mentre a chi baciavano le mani le trovavano lisce e curate, con abiti di seta e gioielli che avrebbero comprato una nazione.
Sue era nata Fedele.
Era nata per servire Dio.
Ma quello stesso Dio fu inquinato da uomini luridi.
Jashin venne a lei mentre si teneva le budella, mentre lo stupro era finito e la morte arrivava ad alleviare il dolore.
Non era così per lei. La morte la strappava alla sua vendetta.
mentre vedeva i suoi fratelli trapassati a fil di spada perché venduti da un uomo troppo timoroso per essere quello che doveva essere. una guida e non un principe.
Pagavano per le cupidigie di altri. Pagavano e si domandarono dove fosse il loro Dio. Perchè permetteva che i suoi figli, fedeli che avevano combattuto seguendo i suoi precetti, ora affogavano nel loro stesso sangue, nella polvere e mani luride abusavano del suo sacro corpo che aveva donato a Dio e solo a Lui.

I ricordi affiorarono mentre quella spada, così grande da superarla in altezza, rimaneva sull'altare insieme alla falce; insieme ai vecchi simboli pagani, di quando era imperfetta. Ma non lontani dai nuovi.
Perchè dalla strada dell'imperfezione che Sue giunse alla perfezione e all'illuminazione. Insieme alla vendetta.
Una vendetta che arrivò dolce come il miele, brutale come quella spada così grande da far dubitare che una donna potesse brandirla.



[continua]
 
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view post Posted on 7/8/2020, 16:50     +1   -1
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Passeggiare di sera, mentre tutti sono nelle proprie case, in quel lieve silenzio rotto di tanto in tanto dai rumori provenienti dalle case.
Era il suo momento preferito della giornata. Quando non era Sue, non era una Lama del Santuario, né era una Jashinista era solo Sue immersa nei suoi pensieri.
Da sola.
Sempre.
Amava restare sola, lontano dal brusio inutile di una vita spesa nel letame, lontano dalle chiacchiere inutili, lontano dagli allenamenti che non servivano perché non dal braccio veniva la forza, ma dalla fede. Ma riconosceva che l'abilità serviva. Anche se nessuna lama poteva più prenderla, il suo corpo rimaneva debole come lo era un tempo, perciò corruttibile e facilmente schiacciabile.
L'abilità le permetteva di difenderlo, visto che non cono lo spirito si poteva combattere, e solo Jashin sapeva quanto avrebbe desiderato sapere come fare.
Come poter far si che la sua anima divenisse falce e scudo impenetrabili, per difendere il suo Dio.
Si sedette. Il villaggio visto da così lontano sembrava quasi una pennellata abbozzata su di una tela.
Vedeva le luci delle finestre accavallarsi le une sulle altre. In silenzio. Un brusio leggero colto dal vento.
Quanto tempo era passato dall'ultima volta che aveva visto Shintou? Un anno? O due? Per la prima volta, dopo troppo tempo, stava contando i giorni, il tempo scorreva di nuovo per lei.
Si tolse i guanti d'armi. Molti pensavano alle sue mani come immacolate, perfette, morbide. Nulla di tutto questo.
Non aveva unghie curate, la pelle aveva i calli e i segni della spada e di guerre. Le cicatrici di ferite e di bruciature.
Illuminavano bruscamente un passato di guerra e di sangue, dove l'unica bellezza era la Fede. Quella contava. La sua era inutile orpello. Non serviva a proteggere. Quelle mani da delicate presto si fecero di ferro, per poter proteggere la parola di Dio e coloro che la seguivano.
Se le guardò...il silicio le doleva più del solito. Giusto.
Non doveva dimenticare né il dolore di oggi, né quello di ieri.



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Nel silenzio Sue si domandò se quello che faceva fosse giusto. Se era giusto continuare anche mentre il suo Dio preferiva altro. Un'altra per l'esattezza.
O se dovesse partire, se dovesse sgozzarla, e perché ancora non faceva nessuna delle due.
Tradita.
Ecco come si sentiva. Tradita dal suo Dio. Di nuovo. Ma se il primo la tradì con il silenzio e l'inganno, lui la tradì con le parole e con la scelta. Perché nessuno aveva la fede di Sue. Nè Yamamoto, né il Priore. Grandi tra i più grandi degli Jashinisti.
Ma nessuno era come lei nella forza della Fede, men che meno Shitsuki Agiwara.
L'odiosa e puttana Shitsuki Agiwara.
Il perché lei fosse la favorita ancora non riusciva a spiegarselo.
Favorita di Jashin...una delle sue figlie!
La smorfia di disgusto sul quel volto perfetto fu inquietante. Inavvertitamente aveva stretto troppo il guanto d'arme. La mano gli tremava. Nemmeno se ne accorse. Il pensiero di quella lurida cagna le faceva dimenticare persino il dolore. Persino la fede.

«Sue...»

Voce come vento tra gli alberi. Miraggio? Fantasia? Jashin?!


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Era Jashin? Nel suo essere indefinito, l'inquietudine e l'alienazione colsero Sue che sulle prime non capì. La spada venne stretta.

«Suvvia, non sono tuo nemico. Perché dovrei esserlo?»

«Perchè non dovresti?»

«Perchè non ho motivo di ucciderti ma di conoscerti si.»

«Conoscermi?»

«Sei potente tra gli jashinisti, famosa e lo eri già quando da donna mortale difendevi degli accattoni pusillanimi. Si...chi non conosce ...., oggi detta Sue?»

Gli occhi cobalto della donna si fecero stranamente liquidi. Il suo vero nome. Quanto tempo era passato? Divennero come punte di spillo quegli occhi. Ma la spada non venne abbassata. La presa salda.

«Volevo conoscerti. Si...volevo molto.»

«Non sei Jashin. Ma non sei nemmeno un uomo...chi sei

Il silenzio. Il fruscio delle foglie d'autunno. Il primo freddo a spazzare il tepore ormai morente estivo.

«Credi che vi sia solo Jashin? Jashin è stato più veloce ma non accorto.
Vi sono dei che ti vorrebbero. Io tra tutti. L'invidia...sentimento molto umano si, ma l'invidia di vederti dare tutto per un patetico, folle...»


Non finì la frase. Quello spadone calò con tutta la sua forza.
Tagliò quelle veste, con un singolo colpo. Con una rabbia avvertibile sul filo della lama.
La veste andò a terra. Vuota.

«Ecco l'invidia di cui ti parlavo. Nominare il tuo Dio, con tali parole, per farti scatenare. Un lago perfetto sono i tuoi occhi che ora sono furenti.
Dalla perfezione algida, quasi divina e alienante, siamo giunti ad un fuoco così intenso che ammiro. Che voglio


«Sono già di qualcuno, letame. Mi annoi e mi disgusti.»

Di nuovo quelle veste. Non lo aveva colpito. Forse si. Forse no. Guardò in quello stesso punto. Non erano più lì. La voce intorno a lei.

«sei forte. Una vera e pura Jashinista. Che combatte per Jashin...ma mi domando se jashin si batterebbe mai per te?»

«E perché dovrebbe farlo?»

«Perchè non dovrebbe...»

La colse impreparata.

«Un Dio che vi da tale potere e poi vi abbandona a cosa? A voi stessi? A che pro? Ah si...per servirlo...ma nei modi vostri e personali eppure mai la sua voce vi arriva. Solo quando vi reputa degni. A suo giudizio sempre.
Lo vedete una volta, vi dà questo dono e poi?
Il nulla. Andate in giro come pecore e la maggior parte di voi viene ammazzata e trucidata e nemmeno allora si degna di parlarvi. Eppure sangue e dolore li date. Anche e sopratutto il vostro.»


«Un Dio. Può un secchio contenere tutta l'acqua dell'oceano?»

«No...ma una parte si. Puoi non capirlo, ma puoi averlo con te sempre. Lui lo senti qui, ora

Parole che scavavano in delle crepe.

«Un silenzio da una parte inquietante da una parte che mi piace. Inquietante perché la tua rabbia è palpabile, la tua fede e devozione urlano, ma dall'altra sento che le mie parole non le trovi sbagliate.
Se solo fossi mia...»


«Posso non capire Jashin, forse posso anche non sentirlo eppure la mia fede non vacilla alle tue parole, Dio. Jashin sa e questo mi basta.
Sono sua. Ora, domani e per sempre. Il resto non conta né m'importa.»


«Oh...si invece. T'importa eccome. Hai combattuto per lui, la tua carne viene straziata ogni giorno, il tuo dolore immenso per accrescere la sua gloria, la tua lama grondante sangue a non finire eppure non su di te sono i suoi occhi. Ma su di una ragazzina che non conosce nulla. Ti tiene in tale considerazione da preferirti lei. Se fossi mia non accadrebbe.
Io amo e proteggo coloro che in me hanno fede. La tua è mal riposta.»


La spada calò di un poco.

«Ho fede in lui.»

La doveva avere. Perché sennò cosa sarebbe lei? Cosa ne resterebbe di lei? Di nuovo smarrita. Di nuovo sotto la pioggia, sotto un portico ad elemosinare un tozzo di pane.
Tenendo tra le mani un medaglione. Nient'altro.
E quando vide quelle porte aprirsi si sentì salvata e perduta.
Jashin le aveva dato la salvezza dal tradimento. Ma se anche lui l'avesse tradita?
Se anche lui fosse stato come Dio? Lei...cosa avrebbe mai potuto fare? Se le porte del Paradiso restavano serrate e Jashin muto e incurante?
Lei a cosa serviva? Lei per chi era importante...

«Ma forse lui non in te.
Ma lo scoprirai...ho tempo bambina mia. E sarai tu a cercarmi...perchè le mie parole sono giuste. Ma perdersi è normale...»


Sgusciò alle sue spalle.

«Ma io ti ho trovata. Non mi aspetto ora una risposta, c'è tutto il tempo e vedrai da te quanto sia debole e pusillanime il tuo finto Dio.»

E quelle parole furono vento. Lasciarono un brivido indefinito sulla schiena del Templare, mentre guardò la casa degli Agiwara.

 
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view post Posted on 25/7/2021, 12:34     +1   -1
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"Sei un'infedele?"
Come allora inutile!

"Lei ha tutto"

TU NULLA...



Se i mesi passavano, non passavano le voci nella sua testa né l'immagine di quell'incontro.
Ogni volta che chiudeva gli occhi sentiva, ricordava e scavano dentro di lei, ferendola, mettendola in crisi. Dubbi.
O certezze?
Perché voleva questo? Lei era questo? Le domande si accavallavano, eppure portavano ad una sola e semplice risposta: lei odiava Shitsuki Agiwara.
Ma stava anche odiando Jashin dal più profondo, segreto e insondabile angolo del suo cuore. Se odiare Shitsuki era l'invidia, molto umano come sentimento, odiare Jashin significava mettere in crisi – non in dubbio – spezzare, distruggere, tutto quello che era che aveva fatto e per cui aveva lottato. Il suo sacrificio, questo odio, lo rendeva sterco che galleggiava su questa latrina che erano le sue certezze.
Il suo mondo.
Una latrina.
Pezzi di merda i suoi sogni e le sue speranze. E in tutto questo Shintou era assente. Da quando era diventato un suo confidente? Da quando i consigli di quel pavido imbecille erano diventati importanti?
Si accorse anche di questo e il cilicio strinse e morse ancora di più la carne. Un rivolo di sangue. Gocce a ticchettare per terra che sembrarono cannonate nella sua testa.
Nemmeno questo era giusto. E per cosa flagellava il suo corpo? Un corpo dedito a Jashin a cui offriva dolore e sangue. Il suo. Ma non lo reputava più giusto e inutile farlo. Non sentiva più Jashin nel suo cuore. Non era nel dolore, né nel sangue che versava per lui la verità e la sua presenza.
Non lo era più. Come quel maledetto giorno. Ancora la verità gli veniva sbattuta in faccia, ancora con la violenza e quella sensazione di fiele in bocca.

E mentre Shitsuki accresceva la sua fama, Figlia di Jashin, la Preferita del suo Signore, lei la guardò da lontano e provò odio e per la prima volta volle il suo sangue. Lo voleva far sgorgare da quella lurida vanagloria, quell'orgoglio manifesto, e dimostrare che non esisteva una Preferita. Una menzogna.
Come lo era Jashin.
E per la prima volta fu un pensiero egoistico e di vendetta, portato dalla disperazione. E tantò bastò all'ombra per poter strisciare indisturbata nel Santuario. In attesa di momenti propizi.
La prima Lacrima di tenebra era stata versata. Il Templare dalla corazza scintillante era divenuto nero come la notte, i suoi occhi spenti e ricolmi di un odio che celava come il pugnale del tradimento.

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- L'odio senza desiderio di vendetta è un seme caduto sul granito.



E non lo avrebbe sprecato.
Il granito avrebbe accolto la testa della finta Preferita insieme al suo sangue e a quello di tutti loro.
Anche Shintou?

 
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view post Posted on 26/5/2022, 16:01     +1   +1   -1
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Il sorriso del nano è una lama peggiore di quella falce che gira tra le sue mani.
Bellissima.
Lame nere come la notte che brillano come pietre preziose del mondo dei morti, in esse si scorgono abissi insondabili di terrore dove vi sono mani che non sono mani in attesa di un tempo a venire.
Gocce di sangue cadono per terra.

«Va male.»

Ansima, guardando la sagoma che cresce davanti, sopra e contemporaneamente tutt'intorno a lui.
Un cazzo di problema, pensò il nano. Un enorme problema. Eppure rideva perché gli piaceva. Non quella cosa, sia chiaro, per cui provava un odio scellerato, ma per quello che gli stava facendo provare. L'eccitazione.
Erano secoli che non ne provava più.
"Forse solo quando ho combattuto con Hyou intravedendo quell'ossessione e utopia allo stesso tempo".
Si...forse allora.
Ma non era così forte. Perché non aveva la sua falce in mano. Combatté solo con il potere di quelli dell'altra parte. Oggi era diverso. Oggi la sua falce si era mostrata dopo secoli.
Le ali del mostro si allargano a venti braccia in ogni direzione, dominando il suo campo visivo. La massa della creatura continua ad espandersi e riempie l'oceano di incubi che chiama casa, ogni dente luccicante ora grande quanto un adulto... e diventa sempre più grande. I suoi quattro occhi predatori lo fissano. Distacco?. Forse fame.
Ma come poter comprendere un qualcosa che andava oltre le sue conoscenze.
E il nano di conoscenze ne aveva molte. Aveva visto gli abissi del caos, aveva visto il Messaggero e i Demiurghi sui loro Tredici Troni fatti di galassie in putrefazione. Aveva visto oltre il velo non appartenendo più a questo mondo ma divenendo un qualcosa che camminava tra i mondi e le dimensioni che formavano la Realtà.
Eppure oggi era con le spalle al muro.
Sensazione sgradevole.
Ma quanto gli piaceva anche.

- Qualcosa ti turba?

La sua voce è così forte che scuote l'intero spazio, una voce che si piega e si contrae, sussurra e urla. Gli strati continuano senza fine, un'aria cantata non da una voce, ma da milioni.
Lo schiocco della lingua. Il ticchettio nervoso del collo. Lo spasmo muscolare della mano.
Il nano rideva e i suoi tick nervosi lo rendevano ancora più inquietante.

«Ora capisco.
Sei peggio. Molto peggio


Ora sa.

- Si

Sfarfalla il suo corpo. Raggi dorati screziano delicatamente la luce sopra la sua forma simile a un raggio. Una nuova carne ansima increspandosi contro una finta marea, con le vene che si illuminano per un fugace istante prima di ritrarsi dalla superficie della pelle del mostro, ciascuna a suo modo viva e indipendente come nazioni sovrane Luce spuria incornicia, come una collana di magatame metastatiche, l'imperatrice come uccelli che volteggiano sulla cima di una montagna lontana. È bellissimo, in un certo senso. Se il Caos avesse un dio, ecco come sarebbe. Orribile, mostruoso e bellissimo.


- Di quelli che hanno conoscenza solo due sono ancora vivi. Uno sei tu.

«Quindi? Se è così devo ucciderti. Semplice.»
«Non ci riuscirai. Sei privo anche della più elementare forma di resistenza. Altri sono venuti prima di te, nelle ere che hanno preceduto la mia nascita. Altri aspiranti eroi, che imbracciavano armi a loro dire capaci di respingerLo. Eppure tutti loro sono stati consumati. I minuscoli frammenti che ne sono rimasti, se mai ce ne sono stati, sono diventati grumi consumati nel mare caotico. »
«Ma io sono ancora qui. E ci voglio rimanere ancora per parecchio tempo. Mentre tu sei l'affittuario che non paga il canone mensile. Devo buttarti fuori dalla Realtà. »

Certo. Tentava di fare lo spaccone. Pensava. Pensava velocemente. Avevano sfruttato Sue corrompendola per arrivare fin qui.
Due vivi.
Lui e il Priore. No...perchè usare Sue allora?

«Shintou.»

Lo disse con distacco. Freddo innaturale. I processi cognitivi del nano erano stati obliterati con una rapidità che lo soverchiava.

«Menti. Tu vuoi me. E Getsumoto. Ma sebbene il tuo invito mi lusinga non mi piace chi mette in mezzo le mie cose.
Lui rimane dove sta. Io rimango da questa parte. Il trucco con Shintou è stato un bel colpo, ammetto che per un secondo ci sono cascato, ma in fondo siamo noi le Due Torri su questa scacchiera. »


L'affilatissima punta di un'ala dell'imperatrice gli trapassa il petto, sollevandolo dal suolo mentre si dimena cercando di liberarsi. La falce pulsa. L'atichakra rutila un inferno abissale che strappa le dimensioni, facendole collidere le une sulle altre in uno schianto silenzioso.
Nulla.
Neppure un graffio. Nulla di nulla.

«Io non mento mai. Sei vivo solo perché ti permetto di vivere. Perché è un mio desiderio.»

Lo spazio si contrae. Come se si accartocciasse su quel corpo maledetto. Il gargantuesco corpo del dio dell'abisso si contorce e si distorce, ritirandosi in una sagoma più minuta. Riconoscibile. Almeno per la piccola essenza di chi aveva di fronte. Almeno li era più facile non impazzire, non sentirsi naufrago. Fluttua silenziosamente a terra, incombendo sopra Yamamoto mentre tentacoli e occhi peduncolari si riassestano fino a formare un'oblunga e segmentata imitazione di una testa umana. Si avvolge nelle sue ali apparendo ancora una volta come una donna imponente che emana autorità.
Yamamoto sa di non poter vincere. É una constatazione di fatto.
Non ha mai perso. E quando lo fece fu sempre per un suo piano, per suo diletto, per provare qualcosa.
Oggi era una preda.
Un verme appeso all'amo. E vista la scena non si era poi così lontani dalla verità. Un pensiero soverchiante.
Mentre di fronte aveva un qualcosa che non aveva coscienza. Ma infinite. E lo sapeva.
Lo vedeva da come sorrideva su quel volto pallido riflesso, imitazione sconcia, di un volto umano; da come arricciava le labbra, da come la guardava. Per ogni mossa che Yamamoto aveva pensato, per ogni risposta, quel bastardo ne aveva fatte incalcolabili prima.

«E cosa vorresti da Shintou?»
«Che sia mio. O che sia distrutto.»
«Appartiene ai Demiurghi. E prima ancora a Jashin...non credo lo permetteranno, sai? Questo mondo ha delle regole. La scacchiera su cui si gioca al Grande Gioco Immortale sancisce il continuo di tutto questo che vedi.»
«Che sarà mio.
La vittoria del Vuoto è assicurata dalla sua stessa natura e non è necessario aggiungere altro.»


Era chiaro oramai agli occhi di Yamamoto. Il nano dell'akatsuki era un gigante, storpio nel fisico, ma gigante nello spirito, Titano tra i mortali, potente tra coloro che si affaccendavano come cortigiane e guitte sull'uscio del reale potere.
Yamamoto sapeva e si ricordava. Quell'entità era un cancro oscuro che aveva attecchito nel cuore del Vuoto espandendolo, contraendolo, soggiogandolo per poi divorarlo.
Nata da quello stesso scontro, nata dai desideri dell'uomo, nata dalla bramosia, desiderio e bisogno.
Questa sacca blasfema si espanse fino ad avvolgere il Vuoto. Inerte e placido fino a quel momento, cambiò, la metastasi al suo interno crebbe, divenendo ora questa cosa che era davanti a lui.
Ne aveva sentito parlare troppo tempo prima. Ora gli era venuto in mente. Il ricordo gli fece provare disgusto, orrore e paura.
Ed erano millenni che non provava più paura.

«Tu sei il Dio dell'Abisso. Il Dio dell'Oblio. Un antica leggenda, di un popolo oramai scomparso, un mito tribale legato a un'antica divinità, che cancellava ogni cosa esistente senza provare odio, rimpiazzando tutto con la propria presenza. »

Si ora era chiaro. Nella Legge dell'Equilibrio lei era il Caos e l'Oblio. Era la non regola che porterà questo mondo alla fine e al silenzio.
E fu il sorriso che gli fece tremare la schiena. Perché aveva capito. Perché sapeva che lui aveva ricordato. Mito?
Verità.
E quante volte aveva detto, colui che oggi era conosciuto come Yamamoto Kuchiki, nano dell'aka, uomo deforme ma gigante che vi sono leggende che nascondono verità oscure?
Errore madornale non essere maestri di se stessi.

CZiWy9D
- Tutto ciò che incontro lo sottometto ai miei desideri
O lo D I S T R U G G O




Poi il lampo. Una falce nera come la tenebra e l'Abisso seguita da una che sembrava uno spruzzo di stella. Come aurora che accarezzava ancora le tenebre della notte.
La risata. Lo schiocco d'ira. Lampo.
Sue a terra tenuta dal nano. Getsumoto insieme a Jashin.
Silenzio.



Edited by Wrigel - 26/5/2022, 18:31
 
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