| Per prima arrivò lei: la più dolce delle constatazioni, l'insperata ed istintiva certezza che quei briganti non l'avrebbero sgozzata sul posto. Megu era sollevata. Incredibilmente sollevata. I suoi muscoli cominciarono a rilassarsi e le lacrime smisero di scorrere; con un gesto ancora un po' tremante ma sicuro, la shinobi si tolse gli occhiali appannati, e li ripulì gli con la stoffa del coprifronte. Solo dopo questa operazione, e solo dopo qualche istante, i suoi occhi misero davvero a fuoco il miserevole spettacolo di corpi martoriati che veniva offerto loro. A quel punto, le sue labbra si strinsero, e la fronte si corrugò.
"Che diavolo... Che diavolo vi è successo...?"
La voce le era uscita fuori simile ad un soffio: il sussurro spaventato di una ragazzina che ha appena capito per la prima volta cosa si intende con l'espressione "rischi del mestiere". Ako ora era ai suoi piedi, e tutti i suoi uomini la guardavano con occhi scintillanti di lacrime e speranza; persino i lupi erano quieti. Megu si prese del tempo, riannodando il coprifronte al braccio. Cosa si aspettavano da lei? Cosa avrebbe potuto fare lei, Megu Kamizuru, una semplice Genin neopromossa di Iwa, per tutti loro?
"Sapete," esordì, cercando di recuperare un tono di voce dignitoso, "Immaginavo che quell'armaiolo fosse un tipo poco serio. Un vero idiota, anzi, oserei dire. E anche i miei superiori non si fidano di lui."
(Eppure eccomi qua.)
I suoi occhi faticavano a rimanere fissi sul suo interlocutore principale, così come a posarsi su chiunque altro. Tutte quelle ferite la atterrivano, la disgustavano. Odiava la situazione in cui si ritrovava. Odiava quella sensazione di inadeguatezza che le strisciava nello stomaco... Cosa diavolo poteva fare? Perché le addossavano tutta quella responsabilità, con le loro parole, con gli sguardi, con le loro silenziose preghiere? Megu voleva solo tornare a casa. Aveva ritrovato le armi. Aveva completato la sua missione... Desiderava sentirsi elogiare dai suoi, voleva festeggiare di nuovo, voleva brindare e sentirsi importante. Strinse la mano destra sul fumogeno rosso, in tasca, senza tuttavia estrarlo. Forse era esagerato utilizzare proprio quello... Ma Megu non aveva timore di esagerare. Voleva solo ritornare al più presto possibile tra le mura del suo Villaggio...
"Non sono altro che una Genin. Non posso aiutarvi in alcun modo... Cosa potrei mai fare? È il rango più basso tra gli shinobi. Semplice manovalanza. Nessun potere, nessuna influenza, niente. Mi dispiace."
Il suono della sua stessa voce non le piaceva affatto; aveva immaginato un ben diverso epilogo per la sua prima missione, un trionfo pieno. Ma ora sentiva soltanto un'esitante codarda che balbettava qualcosa... Proprio non riusciva a suonare più convinta di così. Perché doveva sentirsi in quel modo?
Tese il braccio sinistro in avanti e si allontanò di due passi da Ako, quasi volesse bloccare le sue immaginarie proteste o proibirgli di muoversi, anche se l'uomo era fermo ai suoi piedi; dopodiché tirò fuori il segnalatore, mostrandolo bene all'oste e a tutti gli altri.
"Ora sparerò questo segnale, e Iwa invierà qui una squadra. Ninja di rango superiore al mio... Parlerete con loro. Vi aiuteranno... Mi spiace. Ho fatto il possibile."
Il colpo sarebbe partito, e il frastuono avrebbe coperto le ultime parole del discorso di Megu. Il suo corpo era di nuovo teso, e pronto alla fuga.
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