| Il sangue, la carne pulsante, il dolore vivo e reale. Il silenzio di Kirigarure no sato attorno a loro, che continuava le sue attività ignorando il sacro mistero che si compiva nei suoi meandri dimenticati. La nebbia che avvolgeva tutto, leggera. La Nebbia che entrambi avevano giurato di servire. Ma in quel momento, in mezzo a quel simbolo tracciato nella terra, c'erano soltanto loro due.
Benkei aveva espresso il desiderio di convertirsi. In ginocchio nella terra umida, guardava Shitsuki con aria sicura e decisa, e la ragazza si sentì improvvisamente orgogliosa come una madre.
"È questo che prova il Priore quando gli chiediamo il Battesimo?"
Al Santuario si riceveva la benedizione di Jashin solo se la si desiderava. Certo, si era fortemente incoraggiati da tutta la comunità, ma secondo la convinzione del "Devi volerlo fare", ogni bambino o ragazzo o adulto doveva rivolgersi al Priore e chiedere di essere ufficialmente accolto e accettato come accolito.
Shitsuki sorrise e annuì lentamente. «La tua scelta mi rende felice, Benkei.» Lo era. Si sentiva davvero contenta, soddisfatta. Stava servendo Jashin, stava portando onore a sé e alla sua famiglia, stava convertendo un giovane Kiriano che a sua volta avrebbe potuto espandere il Culto all'interno del suo Clan, se avesse trovato qualcuno simile a lui. Rigirò la falce nella mano e la infilò nuovamente nel fodero sulla schiena. Poi posò quella stessa mano, la destra, sul capo del ragazzo. Inspirò a fondo, e rivolse il viso verso il cielo.
«Jashin!» Non c'era una formula precisa per il Battesimo, ma cominciava sempre con l'invocazione del nome di Dio. «Sommo Jashin, rivolgi a me la tua attenzione! Un tuo giovane figlio è qui oggi in ginocchio per chiedere di essere accolto nelle Tue divine grazie!» C'era chi pensava che Jashin avesse forma maschile, altri femminile. Altri ancora, qualcosa di totalmente diverso. Shitsuki aveva incontrato il Dio nelle forme di una bambina, ma sapeva che quello era solo un involucro per qualcos'altro. Non essendoci un'unica interpretazione perché molto probabilmente il Dio si sarebbe annoiato a mostrarsi sempre uguale, tutti gli appellativi erano considerati accettabili. «Concedimi l'onore e l'onere di guidare questo fanciullo sulla Via delle Tre Lame!» Abbassò gli occhi, puntandoli in quelli di Benkei. Era a lui adesso che si rivolgeva, era con lui che si stava per prendere un impegno solenne. «Io, Shitsuki Agiwara, mi impegno a istruirlo e accompagnarlo nel suo percorso, nella speranza che diventi degno del Dono. Prometto di insegnargli i Principi e le Leggi, e di aiutarlo nella sua educazione.»
Aveva stabilito così lo spazio che li separava. Lei maestra, lui discepolo. Un divario di forze, ruoli e conoscenze in cui intimamente si crogiolava. Dopo una vita passata nell'ombra dell'essere la sorella minore, avere qualcuno di più piccolo e inesperto da accudire le dava un senso di potenza che non poteva paragonare ad altro. Hokichi era adulto, ed era venuto a lei chiedendo espressamente di essere istruito. Benkei era un ragazzino che non sapeva niente, dimostrava solo una buona attitudine, e ora si stava affidando totalmente a lei. E Shinta... Beh, Shinta era una questione diversa. Jashin camminava di fianco a Shinta già da molto tempo, e Shitsuki sentiva che il loro rapporto era molto più paritario rispetto a quello degli altri che aveva battezzato. E a proposito di battesimo, tolse la mano dalla testa di Benkei e scese a stringergli il braccio ferito. Gli fece male. Voleva fargli male, oltre che a sporcarsi la mano del suo sangue.
«Io ora battezzo te, Benkei Han...» Congiunse le mani, mescolando il suo sangue a quello del ragazzo. Poi gli posò un dito sulla fronte e tracciò un cerchio. «Nel nome di Nostro Signore delle Lame.» Tracciò il primo lato del triangolo. «Purifico i tuoi peccati, e rinasci oggi a vita nuova.» Sulla fronte dello studente venne tracciato il secondo lato. Shitsuki disegnò anche il terzo, concludendo l'invocazione. «Ora siamo fratello e sorella di lama. La mia falce combatterà al tuo fianco e il mio coltello colpirà i tuoi nemici.»
A proposito di coltello, la mano sinistra andò alla sacca portakunai ed estrasse un pugnale dall'aspetto antico ma affilato. Era coperto di ideogrammi sbiaditi, ma alcuni si potevano ancora riconoscere. Due formavano il cognome di Shitsuki, Agiwara, un altro significava Sangue. Era il coltello da cerimonie, e lo impugnò stringendo l'elsa con la mano ferita. Poi però lo rigirò in modo da tenerlo per la lama, e lo porse a Benkei.
«Ora offrimi il tuo sangue, giovane Benkei. Offrilo a me per offrirlo a Jashin. Rinasci, nel sangue e nel dolore, come il giorno in cui venisti al mondo.»
Era un ordine; gli occhi rossi della Genin non lasciavano il viso di Benkei, ansiosi di vederlo completare il rito. Non gli avrebbe fornito alcuna indicazione ulteriore, sarebbe rimasta lì in piedi di fronte a lui, aspettando di vedere cosa avrebbe fatto.
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