Non avrebbe mai più dimenticato lo sguardo di Katsumi: non vi era la paura della morte, ma soltanto un insolito atteggiamento scherzoso verso chi aveva di fronte. Sembrava volessi perseguitare il giovane Senju anche dopo la sua morte, magari nei suoi sogni.
Finalmente si accasciò a terra e i due Nara potettero ritirare quell'ombra imprigionante. Da sotto le radici si sentì quella testa urlare a squarciagola, probabilmente preoccupata di non sentire più quell'insopportabile voce di Katsumi. Anch'ella si rivolse al povero Makoto, supplica solo di rimuovere le radici.
Niente da dire, aveva fatto un ottimo lavoro stavolta e si era tolto un grosso peso di dosso. Quella ragazza con la falce aveva portato nient'altro che guai e qualcun altro oltre la ragazza amica di Hitomaru e il chunin stesso si sarebbe ferito: magari Makoto che sembrava essere il prossimo bersaglio delle due. Gamatatsu con una voce sofferente si stupì del finale a sorpresa organizzato dal Senju complimentandosi con lui per il successo, ma lamentandosi per i modi. In fondo il rospo aveva ragione, ma Makoto non aveva vissuto con tranquillità quella situazione.
Makoto: "Hai ragione Gamatatsu... però in questo modo nessun altro si effetto male. I prossimi saremmo stati io e te..."
Il rospo cambio il suo colore naturale e si allontanò di qualche metro dal Senju. Fortuna che Hitomaru diede il consenso al povero rospo di ritirarsi altrimenti avrebbero assistito ad una nuova scena disgustosa. Gamatatsu non se lo fece ripetere due volte e scomparse all'interno di una nuvola di fumo bianco. Chissà se l'avrebbe più rivisto.
Intanto Hitomaru frugò nella sua borsa per ricercare degli oggetti curativi adeguati. Tolta la parte di sopra del suo abito, la sua ferita era evidente e fuoriusciva un bel po' di sangue. Applicò qualcosa che Makoto non conosceva e inghiottì una pillola: non aveva idea di che roba fosse, la medicina non faceva per lui.
Finita la cura Hitomaru si avvicinò al corpo senza vita di Katsumi: uccisa in un modo brutale, ma era stata neutralizzata alla perfezione. Il chunin si complimentò con il Senju per il lavoro svolto degnandogli finalmente di uno sguardo apparentemente compassionevole. Makoto non resse a lungo e decise di abbassare lo sguardo mestamente per evitare quello del suo superiore. I complimenti erano arrivati, ma forse aveva fatto il lavoro di un assassino e non quello di uno shinobi: la linea tra le due parti era piuttosto sottile.
Una voce familiare provenì tra gli alberi della foresta: era Yosai insieme ad un altro ragazzino dai capelli biondi. Makoto si domandò che fine avesse fatto il suo compagno in tutto questo tempo e perché non era lì con lui a dargli man forte contro Katsumi. Fortuna che era riuscito a reggere con la sua strategia lo scontro con la ragazza o ci avrebbe rimesso la pelle al primo incontro.
Yosai trasportava insieme al ragazzino biondo la kunoichi di nome Mariko, la quale era stata ferita nei pressi nello stagno ma per fortuna sembrava essere ancora in vita. Quando scorse un gruppo di ragazzini dietro Yosai, gli occhi di Makoto brillarono e il collo si distese verso l'alto. Una ragazzina bionda, una rossa, un ragazzino...
Fu interrotto subito da Yosai, che dopo aver spiegato il recupero di quei bambini dal nascondiglio della donna con la falce, distrusse le speranze di Makoto: Fumiki non era lì. Abbassò di nuovo lo sguardo mestamente e si lasciò cadere con il sedere per terra per riposarsi e riflettere sulla situazione. Se sua sorella non era nel nascondiglio di quelle donne, allora doveva essere ancora con l'uomo dalla
Maschera demoniaca o peggio ancora già morta. No, non ci voleva pensare.
Dopo che il ragazzino biondo si lamentò per l'eccessivo peso, Yosai decise di lasciare il gruppo portando Mariko in ospedale affidando agli altri il gruppo di bambini spaventati. Prima che potesse andar via, Mariko pronunciò a stento qualche parola; si rivolse al fratello chiedendogli che fine avesse fatto Katsumi. Con lo stupore di Makoto, Hitomaru rispose che era tutto apposto. Quei due erano fratelli e, nonostante sia sorella fosse ferita, Hitomaru era riuscito ad andare avanti lasciandola da sola e ferita vicino allo stagno. A Makoto non era andata altrettanto bene, ma ammiro il chunin per la sua forza d'animo. Si sentì un debole.
Improvvisamente Hitomaru alzò la guardia nelle vicinanze del corpo morto di Katsumi, che tanto morto non era visto che si rimise in piedi riafferrando quella dannata falce. Makoto spalancò la bocca incredulo rimanendo fermo sulle gambe per lo stupore. Non era capace neanche di uccidere?
Prima che potesse capire cosa stesse accadendo, Yosai intervenne con il suo fantastico Mokuton, proteggendo Hitomaru e catturando nuovamente Katsumi con fatica.
Dopo alcuni minuti, la ragazza con la falce e sua madre solo testa furono imprigionate per bene e condotte in qualche cella di Konoha.
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Erano tutti lì riuniti nello studio dell'Hokage, che mentre loro combattevano contro Katsumi e sua madre, ella probabilmente aveva combattuto contro scartoffie e pergamene varie per il disordine che c'era in quella stanza. Il rospo color arancione affidato a Jin, era lì con la sua evocatrice e Makoto si chiese che ruolo avesse svolto durante quell'indimenticabile mattina.
Anche il gruppo di bambini salvati era in quella stanza e magari potevano aver visto Fumiki, ma non fu facile ottenere informazioni da quei piccoli. A quanto pare Jin aveva rincorso l'uomo dalla maschera demoniaca, ritrovando però soltanto una copia lignea: questa tecnica era utilizzata soltanto dai Senju, per cui l'identità del rapitore cominciava a delinearsi. Makoto era incredulo; non conosceva nessuno all'interno del suo clan da potercela avere con Fumiki o la sua famiglia. Magari suo nonno Aritomo non era apprezzato da tutti, ma quel gesto era davvero oltre ogni limite.
L'Hokage spiegò come durante la guerra molto corpi erano stati abbandonati al loro destino è faine tè qualcuno espero i genetica avrebbe potuto ricavare le cellule dei Senju; un discorso che filava alla perfezione, ma perché proprio Fumiki? Se suo padre Michihiro fosse stato ancora lì, non i sarebbe dato pace e l'avrebbe cercata per tutto il mondo. Makoto, però, era ancora troppo piccolo per farlo.
Anche l'identità di Katsumi e sua madre fu chiarita: erano due Jashiniste e quindi dotate dell'immortalità, i bambini rapiti servivano per essere sacrificati al loro dio. Makoto ne aveva sentito parlare in qualche libro dell'Accademia, tuttavia le considerava una sorta di leggenda e lontane dalla sua realtà.
Hitomaru e Yosai si congedarono e abbandonarono lo studio dell'Hokage; Makoto li salutò seguendoli con lo sguardo magari ringraziandoli per bene quando quella giornata-incubo sarebbe finita.
Akane richiamò lo Yamanaka Hachi, il quale promise a quei bambini qualsiasi cosa per il pranzo e condusse il gruppo fuori dallo studio. Makoto seguì la loro uscita con lo sguardo ritenendo quelle piccole vite così fortunate rispetto sua sorella. Rimase il ragazzino dai capelli biondi, il quale interagì con degli strani toni con l'Hokage. Gli fu lanciato un coprifronte e uscì dalla stanza quasi sbuffando. Fu in quel momento che Makoto realizzò che si trattasse del figlio del kage e si stupì di come il ragazzino la chiamasse "Hokage" e non un semplice "mamma".
Il rospo arancione commentò l'uscita del biondo, ma Makoto non ci capì un bel niente; lanciò uno sguardo confuso a Jin che gli stava affianco. Poi proseguì chiedendo notizie di Gamatatsu e l'Hokage rispose sostenendo di sapere cosa avesse. Makoto si sentì in colpa e non esitò a scusarsi.
Makoto: "Mi dispiace, io non immaginavo..."
L'Hokage si congratulò con i due shinobi per il lavoro svolto, anche se Makoto non ci vedeva niente di positivo nel suo operato. Sua sorella era stata rapita, l'uomo con la maschera era scappato senza lasciare traccia se non una copia lignea, Katsumi non era stata neutralizzata perché immortale e sopratutto Fumiki non era stata recuperata. Rimase con un viso mesto di fronte alle parole dell'Hokage ma non proferì parola. I due genin abbandonarono lo studio e Makoto eseguì un inchino verso il suo kage e verso il rospo arancione.
Sulla strada di ritorno, Makoto osservò Jin per tutto il tempo cercando di capire cosa pensasse dell'accaduto ma non osò chiedergli niente.
Makoto: "Ora che ci penso, ti chiami Jin e non Jon. Scusami veramente, non so dove mi sia uscito!"
Gli rivolse un triste cenno con la bocca sperando che il ragazzo non se la fosse presa. Quando i due dovettero separarsi per percorrere strade diverse, Makoto gli rivolse delle ultime parole.
Makoto: "È ora di salutarci, grazie di cuore per l'aiuto anche se non è finita come speravo... A presto!"
Con gli occhi lucidi fece un mezzo inchino al Nara e si diresse verso sud per uscire dal villaggio. La prossima destinazione era quella che temeva da un po'.
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Entrò in casa aprendo silenziosamente la porta d'ingresso. Si tolse le scarpe senza fare rumore e percorse con passo lento il corridoio. Sulla sua sinistra vi era sua madre seduta sulla sedia in cucina a fissare il vuoto. Quando la vide, Makoto stava per proseguire verso camera sua non avendo il coraggio di guardarla in faccia. Sua madre però la fermò in tempo con voce tremolante.
Ami: "Makoto, vieni qui."
Si alzò in piedi avvicinandosi al ragazzo; anche Makoto fece un passo avanti. Si guardarono negli occhi in silenzio entrambi con le lacrime pronte a scoppiare; guardava sua madre poco più alta di lui.
Makoto: "Mi dispiace! Mi dispiace tanto!"
Sua madre lo zittì prima che potesse proseguire con delle stupide scuse. Abbassò lo sguardo sulle mani del ragazzo ed osservò con attenzione la destra.
Ami: "Sarà meglio farti medicare subito queste dita. Penso dovranno essere immobilizzate per qualche giorno"
Pronunciò queste parole cercando di farsi forza senza mostrarsi debole davanti suo figlio. Makoto annuì con la testa e la abbracciò con forza. Entrambi scoppiarono in lacrime.
Ami: "Non devi scusarti, non è colpa tua!"
Il nonno Aritomo non era in casa, per cui Makoto non lo incrociò quel giorno. Probabilmente era con gli altri saggi del clan per discutere sull'accaduto.
La notte fu una persecuzione. Restare in silenzio ma assalito dal rumore dei pensieri era uno strazio. Decise di alzarsi dal letto per dirigersi in cucina e bere dell'acqua. Incamminatosi nel corridoio sentì oltre la porta della camera di sua madre dei singhiozzi. La donna stava piangendo disperatamente è quasi sembrava le mancasse l'affanno. Makoto non osò aprire quella porta, ma scappò di casa indossando la prima cosa che gli capitava.
L'idea era folle: tornò nel cuore della notte nel posto in cui sua sorella era stata rapita. Impensabile che un posto così bello potesse nascondere un fatto così terribile. Scoppiò in lacrime accasciandosi sul terreno e sbattendo i pugni a terra. Le rane nello stagno gracchiavano facendo un gran casino durante la notte.
Makoto: "PERCHÉ LEIIIIIIIII!!!!!! DIMMI PERCHÉ NON ME!!!! NON HA FATTO NIENTE DI MALE!!!!! AAAAAAAAAAAAH!"
Strillò con tutta la voce che aveva e improvvisamente le rane non gracchiavano più. Si accasciò sul fianco rannicchiandosi e continuando a piangere.
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Qualche giorno dopo Makoto di risveglio con la mano destra indolenzita. Provò a muoverla dimenticandosi che un medicoe o clan gliel'aveva immobilizzata. Doveva stare circa una settimana a riposo e questo significava non poter uscire e distrarsi dai suoi pensieri. Quei giorni riposò poco e niente; ne approfitto per allenarsi e migliorare l'uso della sua mano sinistra riuscendo adesso a lanciare gli shuriken decentemente. Nella sua testa ancora la sensazione di debolezza provata nel corso di quella giornata. Doveva diventare più forte e per questo aspettava l'arrivo di Kinji per iniziare il loro addestramento. Sua madre Ali piangeva tutte le notti, mentre suo nonno Aritomo l'aveva visto ma non gli aveva detto neanche una parola.
Chissà se era deluso o arrabbiato in Makoto, ma a questo avrebbe pensato dopo. Nell'ingresso di casa una lettera con il sigillo dell'Hokage giaceva per terra: poteva essere una buona o una cattiva notizia. Fece una corsa per recuperarla e aprirla ma si accorse che era già stato strappato il sigillo. Lesse il contenuto che lo convocava oggi nello studio dell'Hokage tra circa un'ora. Si voltò indietro dove vi era sua madre.
Ami: "Scusami, non ho potuto farne a meno. Ho visto il sigillo e ho letto. Pensavo fossero buone notizie. Non lo farò più...
Makoto fece cenno con la mano alla madre di stare tranquilla e che non se l'era di certo presa. Incredibile come sua madre riusciva a rimanere gentile anche in quella situazione. Piuttosto si sbrigò a prepararsi indossando coprifronte ed equipaggiamento.
Si incamminò subito verso la stanza dell'Hokage, presentandosi in perfetto orario o forse con qualche minuto di anticipo. Ma non era il primo, inaspettatamente Jin era già lì. Insieme all'Hokage c'erano anche i due rospi evocanti qualche giorno fa; Gamatatsu sembrava stare bene. Fece quindi l'inchino verso i presenti.
Akane raccontò di Mariko, la quale stava bene e non rischiava la carriera per fortuna. Poi disse di aver ottenuto alcune informazioni dalle due Jashiniste e in quale momento Makoto faticò a trattenersi. Avrebbe voluto tempestarla di domande, ma probabilmente il nonno Aritomo era già stato informato dal capoclan.
Con lo stupore di entrambi i genin, l'Hokage si scusò. I rapimenti delle due Jashiniste erano dovuti a dei suoi errori in passato. Le due erano cambiate e continuavano a svolgere una vita peccaminosa agli occhi dei kami, ma non del loro Jashin, sacrificando bambini di giovane età. Gamakichi aiutò la sua evocatrice a spiegare i fatti. C'era poco da dire e commentare: fatalità. La colpa non era proprio dell'Hokage, ma ci tenne. Inique a mostrare le sue scuse. Inoltre anche il rospo arancione ci tenne a scusarsi con Makoto per la perdita della sorella, seguito da Gamatatsu dopo una scenetta comica.
Non finiva lì, Akane prese un grosso rotolo verde e lo aprì dinnanzi ai due genin sulla scrivania già in disordine. Al suo interno vi erano delle firme in rosso di alcuni shinobi, i quali avevano nomi di clan di Konoha e alcuni sconosciuti.
L'Hokage offrì loro la possibilità di firmare un contratto evocativo con i rospi dopo che i suoi fedeli avevano testato l'animo dei due shinobi. Parlò di incorruttibilità, ovvero la capacità di lottare per ciò che si ritiene giusto. I rospi sono pacifici e non combattono mai se non esiste un motivo valido. Una scelta di vita nobile che poteva essere anche quella di Makoto: fino ad oggi lo aveva dimostrato e poteva essere così anche in futuro.
Credette alle parole di Akane, vedendo quel rotolo come un'occasione di riscatto. Fumiki amava i rospi, i rospi avevano aiutato Makoto nelle ricerche e Makoto rispettava quegli animali pacifici che combattono per difendere il loro stagno.
Makoto: "io vi ringrazio tutti per questa opportunità. Non sapete che gioia provi nel sapere che qualcuno crede in me e nelle mie capacità. Accetto di firmare questo rotolo giurando di collaborare con i rospi solo per un motivo nobile."
Le firme sul rotolo erano già numerose e di colore rosso. Ricordò di come Akane si ferì il pollice permettendo al sangue di fuoriuscire prima di evocare i rospi. Intuì quindi che il patto andava firmato con il sangue e si ferì quindi il pollice sinistro con i denti. Poggiò la sua firma con la mano sinistra tremolante accanto a quella di un certo Kyōmei Yūzora, che non aveva mai sentito. Segnata la sua firma, fece un passo indietro e si chinò nuovamente.
Makoto: "Grazie, grazie, grazie!"
Disse rimanendo con la testa bassa e voce tremolante. I suoi occhi erano carichi di lacrime che a fatica riusciva a trattenere.
Quando rialzò lo sguardo, l'Hokage mostrò loro i sigilli per effettuare il richiamo. Quei movimenti non poteva ripeterli per la mano bloccata, ma li memorizzò nella sua testa ripensando a Fumiki che inseguiva le rane.