Narrato
*Pensato*
"Parlato"
Si sforzò di sorridere, e la cosa non gli riuscì poi tanto difficile. Yukiko sapeva come scacciare i cattivi pensieri, e anche se nella sua mente questi erano pesanti come macigni, lei li aveva resi più leggeri.
"Si, andiamo"
Sorrise, e in cuor suo sentì un calore confortante. Lei era diversa da chiunque conoscesse, ma soprattutto da se stesso. Forse era per questo che sentiva un forte e indissolubile legame con lei. Lei era spensierata, quando lui sentiva anche il peso delle cose più sciocche sulle sue spalle. Lei riusciva ad essere positiva, quando lui non faceva altro che piangersi addosso.
Sentiva un bisogno, un leggero formicolio sulle labbra, un sussulto. Voleva baciarla, sfiorare le sue labbra su quelle di lei, per poi premere delicatamente su di esse, e sentirne il sapore. Era così sbagliato desiderarlo? Perchè si sentiva a disagio? Aveva già baciato la sua pelle liscia, la sua fronte, la sua guancia, ma mai le sue labbra.
"Dammi solo un momento, vado ad indossare abiti più adatti"
Si voltò, e rapido uscì dal loro rifugio, senza dare modo a Yukiko di dire nulla. Sembrò quasi fuggisse da lei, e in parte era vero. Benchè non volesse ammetterlo, Tatsumaru conosceva la ragione il disagio. I baci dell'amore fraterno, della vera amicizia, quelli li aveva già dati, ma il bacio che desiderava dare, era il bacio degli amanti.
***
CITAZIONE
Osservò soddisfatto le piante a cui aveva appena potato delle foglie morenti, per permettere a quelle nuove di spuntare. Nonostante in parte fosse diventato un compito ripetitivo, provava sempre una certa soddisfazione nel prendersi cura di quelle piante, di badare alla loro crescita come un padre fa con un figlio.
D'un tratto però il calore donatogli da quella sensazione venne meno. C'era qualcosa di strano, qualcosa di insolito. Intorno a lui, nell'aria, un'aura violacea tingeva ogni cosa del medesimo tetro colore. Lentamente, il sorriso gli morì in volto, trasformandosi in una smorfia di terrore quando la vide. Candida come neve, nel buio violaceo della serra, lo osservava coi suoi occhi dipinti, vuoti, immobili nella stessa espressione che aveva la prima volta che gli era apparsa.
L'araldo di porcellana disse poche parole, fluttuando senza peso verso di lui, dopodichè allungò la mano in direzione del suo petto. Tatsumaru era pietrificato, non era mai stato così vicino a quell'essere che risvegliava in lui paure sconosciute. Il ricordo di quanto gli aveva detto Yukiko martellava la sua mente, mentre le fredde dita dall'araldo marchiavano la sua pelle come un fuoco di ghiaccio. Chiuse gli occhi.
Quando li riaprì ogni cosa era come prima. Gocce di sudore scendevano placide dalle sue tempie, e la stessa espressione di terrore era impressa sul suo volto pallido. Aprì la casacca, osservandosi il petto. Nel punto dove l'essere lo aveva toccato, il marchio risaltava sulla carnagione pallida, livido come la luce che lo aveva avvolto. Richiuse immediatamente le sue vesti, guardandosi intorno con agitazione, come se si fosse appena macchiato di un crimine orrendo. Nessuno doveva vedere, l'Hokage non doveva sapere nulla, non poteva permetterlo, non dopo ciò che aveva detto pubblicamente. Aveva paura. Paura delle conseguenze, dell'Hokage e di Watashi allo stesso modo. Non era più al sicuro, non era più innocente. L'agitazione cresceva in lui come uno tsunami, travolgendo tutto il resto. Corse via dalla serra, fuggì dagli sguardi che sentiva su di se, benchè probabilmente nessuno di loro avesse visto.
Terrore, puro terrore. Gli ultimi raggi del sole morente filtravano nel tetto di foglie della foresta, tingendo il verde paesaggi con sprazzi di rosso e arancione. Su un tappeto di erba scura, Tatsumaru giaceva sul fianco, i lunghi capelli sciolti incoronavano il suo volto, il cui sguardo era rivolto nella sua mente.
Si era rifugiato in quel luogo isolato, lo stesso dove soleva allenarsi. Lo scorrere del ruscello placava la sua agitazione, il terreno soffice lo faceva sentire in comunione con la natura, la stessa che scorreva nelle sue vene. Aveva bisogno di pace dopo la terribile visione, pace per riordinare le idee, per capire come agire. Non era mai stato un ragazzo d'azione, preferiva pensare prima di agire, ma a che sarebbe servito farlo in quella circostanza? Il suo destino gli sgusciava tra le dita qualora cercava di afferrarlo saldamente, e in quell'occasione sentiva di non poterlo nemmeno sfiorare.
Il buio calava, e il freddo giungeva con esso. Non il piacevole fresco delle sere di Konoha, ma il freddo nel cuore che giungeva col buio, con l'ignoto. Per questo decise di tornare a casa. Aveva bisogno di luce, di calore, di una persona amica. Aveva bisogno di Yukiko. Lei poteva comprendere, lei aveva sperimentato quell'esperienza sulla sua pelle, e con coraggio l'aveva accettata. Chissà se anche lui ci sarebbe riuscito.
Dopo una rapida doccia, fu lui questa volta a recarsi per primo nella casa sull'albero, accendendo la candela, e aspettando che il suo personale raggio di sole entrasse nella stanza. Nell'attesa si era seduto sul pavimento, poggiandosi contro la parete, accarezzando il marchio sul suo petto, lo sguardo sempre perso nel buio dei suoi pensieri.