| *Il sole splendeva alto nel ceruleo, terso cielo di Suna, mentre un leggero vento, seppur caldo e torrido, sospingeva gli invisibili e dorati granelli di sabbia di quel paese. Un rapace, il cui scuro piumaggio contrastava fortemente con il chiaro color del cielo, volava pigramente al di sopra del Villaggio della Sabbia, lasciandosi trasportare dalle calde correnti ascensionali, sbattendo le maestose ali di quando in quando. All'improvviso, la porta d'un piccol negozio di marionette, nulla più che un semplice edificio ligneo, che quasi contrastava con lo stile tipico di quei luoghi, si spalancò. Dalle scure ombre di quel negozio emerse una figura, quasi del tutto completamente avvolta da lunghi abiti, ch'avevan il compito di proteggerlo dai crudeli ed implacabili raggi del desertico sole. Il ragazo si portò una mano dinanzi ai chiari occhi, di un azzurro quasi gelido, nel tentativo di pararli dall'incessante movimento della sabbia, che, come sospinta da un'invisibile forza, danzava rapida nell'aere. Il giovane s'incamminò, tentando di dirigersi verso lo stadio in cui si teneva il torneo chunin, in cui alcuni dei suoi compagni, altri membri dell'Oni no Shuu, fuggiti da Kiri per mantener viva l'ultima scintilla di speranza per un glorioso futuro del Villaggio, stavano rischiando le loro vite. Una fulgida katana giaceva sulla sua schiena, risplendendo di cerulei riflessi ogni volta che la luce la colpiva. Quest'arma, che riusciva ad attirare su di sè lo sguardo d'ogni uom che passava, sembrava quasi essere dotata di vita propria, fremendo talvolta.
Il viso di Ryushi, semicoperto dal pesante vestito, s'alzò verso quel terso cielo, il cui chiarore non era oscurato nemmeno da una nube. Il suo pensiero non potè che rivolgersi a Kiri, la sua patria lontana, perduta forse per l'eternità, alla nebbia ch'ogni luogo ivi permeava, alle scure ombre che, silenziose, si muovevano con facilità fra gli stretti vicoli delle sue case, facendo rabbrividire chiunque le scorgesse. Eppure, era quel luogo tanto inospitale ad essere la sola, vera casa, l'amata patria in cui dover tornare, per lo Spadaccino. Ogni cosa a Suna, dal torrido calore, all'incessante vento, ai granelli che, continuamente, cozzavano contro la sua chiara pelle, lo infastidiva. Immensa era la nostalgia per la frescura date dalle nebbie, per il cielo che a malapena si scorgeva, per la luce che poco tempo riusciva a filtrare attraverso quella tetra cortina. Kiri, l'unico luogo in cui si applicasse davvero il credo tipico degli shinobi, l'unico luogo in cui assurde illusioni di pace ed amore non offuscavano il giudizio degli uomini, era la patria dello Squalo e di ogni altro membro dell'Oni no Shuu.
Mentre procedeva a passo lento, tentando di rimuovere dalla mente le tetre immagini della missione appena svolta, i pensieri del ragazzo fluttuarono ancora, rivolgendosi questa volta alle prove che aveva dovuto sostenere al torneo chunin, dal quale era oramai passato quasi un intero anno. La prima prova scritta, che non gli era sembrata tanto complessa, pur avendolo lasciato con un senso d'inquietudine, che crebbe fino al sospirato sentir il proprio nome nella lista dei promossi; la seconda, che doveva essere la difesa d'un fortino e l'estorsione di informazioni, poi divenuta tragedia quando un gruppo di mukenin aveva fatto irruzione nella Foresta della Morte. Dopo il crollo della loro postazione, lo Spadaccino non aveva potuto far altro che fuggire, accompagnato da Ryu-Gin e Heiji, tentando di salvare la propria vita.
Fino a giungere a quello che sembrava essere l'ingresso per gli Inferi, ad un sepolto e dimenticato cimitero, i cui cadaveri in putrefazione fornivano l'energia che serviva alle piante della foresta per crescere. Così, anche Konoha, che tanto predicava la pace e l'amore, la fratellanza e la tolleranza, si fondava in realtà su un cumulo di cadaveri, ben nascosto, però, nelle tetre profondità della terra. Qual più profonda ipocrisia avrebbe potuto esserci? Predicare la pace e perpetrare in silenzio gli omicidi? Illudersi che le guerre sarebbero potute cessare, per poi eliminare ogni oppositore, ogni personaggio scomodo? Gli unici, nell'intero mondo ninja, a non nascondere le proprie, seppur efferate, azioni, erano gli shinobi di Kiri, il Villaggio della Nebbia, temuto dagli altri paesi come un covo di pazzi e sanguinari assassini. Tutti lo erano, eppure solamente Kiri veniva indicate come la sorgente del male e dell'odio dagli ipocriti abitanti della Foglia, illusi dalle menzogne dette loro dai governanti. Infine, v'era stato l'incontro con lei, con quella che sembrava esser l'incarnazione della morte in questo mondo. Un vago spettro di donna li aveva guidati lungo gl'intricati corridoi del cimitero sotterraneo, di quel passaggio per l'Ade, prima di tornar nel proprio corpo ed essere ad un passo dall'uccidere i tre shinobi con la propria falce. Solamente l'intervento di alcuni anbu aveva posto fine a quell'orrore. Dopo la tanto agognata promozione, Illya Momochi aveva ordinato ai suoi fedeli di tornare in patria. Il Diavolo Rosso della Nebbia, Mizukage, strappata a questo mondo durante un violento scontro con Otomika, il Kokage. Era per quel motivo, per la vendetta della nera ombra di Oto, che i cinque Spadaccini rimasti fedeli a Kiri, con alcuni altri shinobi, eran fuggiti dal proprio Villaggio.
Al solo pensiero di ciò che avevano fatto, di ciò che era loro accaduto, l'animo del chunin piombò nelle tenebre, mentre una profonda tristezza toccava persino la Samehada, che già era tornata ad essere affamata. Ryushi scosse la testa, cercando di allontanare tali, tristi emozioni dal suo cuore. Oramai non mancava più molto al gigantesco stadio in cui si svolgeva il torneo, un'immensa costruzione fatta interamente in sabbia. Il ragazzo sospirò, ripensando nuovamente al fatto che, in quell'istante, l'unica persona che avesse realmente creduto in lui, l'unica che gli avesse dato tanta fiducia da assegnargli una delle Sette Spade, tesoro di Kiri, meraviglia dell'intero mondo ninja, era morta, lasciando un vuoto incolmabile nel suo animo e nella stessa Kiri. Solamente la vendetta, la dolce pietanza della rivalsa, avrebbe potuto saziare, seppur solamente in parte, il terribile odio ch'in lui e nella Samehada, suo eterna e fedel compagna, scorreva. Ogni provocazione, ogni ingiuria, ogni infamia sarebbero state, prima o poi, cancellate dal sangue, dalla morte e dalla disperazione dei loro nemici. La Samehada fremette di goia, al solo pensiero che gli abitanti di Konoha, che tanto predicavano la pace, avrebbero potuto conoscere la sua fame ed il suo odio.
Tali pensieri cessarono d'intorbidire la mente dell'anbu nell'istante in cui varcò la porta della costruzione che ospitava il torneo. Seguendo le indicazioni, salì fino agli spalti, gremiti di gente, tentando, senza successo, d'individuare qualcuno che conoscesse. Forse Kugi, il suo allievo, che era sparito alcune ore dopo il completamento della missione, si trovava lì, intento ad assistere a ciò che l'avrebbe potuto attendere al suo torneo. Dopo aver guardato più volte in ogni direzione, dopo aver cercato d'individuare dei tratti conosciuti in mezzo a quella folla, lo Spadaccino s'arrese, sedendosi dove v'era ancora posto. Gli spalti davano su otto grandi teleschermi, disposti in forma geometrica, che mostravano le immagini delle prove in corso di svolgimento al torneo.
Quattro ring, creati anch'essi con la sabbia, ospitavano i partecipanti che erano riusciti a superare la prima prova. Il chunin cercò d'individuare i due membri dell'Oni no Shuu che sostenevano le prove di quel torneo, mentre brividi freddi cominciarono a scoterlo, dal momento che non riuscì a scorgere i suoi due compagni. Che fosse accaduto loro qualcosa? Inquieti pensieri agitarono la mente di Ryushi, mentre la Samehada fremeva con forza, sperando che, in quella prova di puro combattimento, potesse essere versato del sangue.*
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